Briefing del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenuto da Tom Fletcher, Sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari, sul Medio Oriente – New York, 17 luglio 2025
Signor Presidente,
Desidero ricordare a questo Consiglio il motivo per cui siamo qui oggi a
riferire.
L’Assemblea Generale ci ha conferito un mandato umanitario – con la
risoluzione 46/182 – e una serie di principi che voi, Stati Membri, ci avete
chiesto di rispettare: umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza.
Questo significa che gli aiuti devono andare dove i bisogni sono maggiori e
senza discriminazioni. Significa che rispondiamo ai civili in difficoltà, non
alle parti in conflitto.
Il nostro mandato è anche di difendere il diritto umanitario internazionale
– non solo riferirvi ciò che vediamo, ma permettervi, voi membri di questo
Consiglio, di agire.
Anche quando chi è responsabile preferirebbe farci tacere.
Signor Presidente,
Non esistono più parole adeguate per descrivere la situazione a Gaza.
Lasciate che condivida dunque i fatti:
Il cibo sta finendo. Chi lo cerca rischia di essere colpito. Si muore
cercando di sfamare la propria famiglia. Gli ospedali da campo ricevono
cadaveri, e i soccorritori ascoltano le storie direttamente dai feriti. Giorno,
dopo giorno, dopo giorno.
I tassi di malnutrizione infantile hanno raggiunto livelli record a giugno:
oltre 5.800 bambine e bambini sono stati diagnosticati come gravemente
malnutriti.
La scorsa settimana, nel pieno di questa crisi alimentare, bambini e donne
sono stati uccisi in un attacco mentre attendevano gli aiuti nutrizionali che
li tenevano in vita.
E Hamas continua a tenere gli ostaggi, e abbiamo ricevuto segnalazioni di
attacchi contro operatori umanitari.
Il sistema sanitario è distrutto. Solo 17 su 36 ospedali e 63 su 170 centri
sanitari primari funzionano, e comunque solo parzialmente, mentre ogni giorno
arrivano feriti in massa.
In alcuni ospedali, cinque neonati condividono una sola incubatrice. Il 70%
dei farmaci essenziali è esaurito.
Metà delle attrezzature mediche è danneggiata. Le donne partoriscono senza
assistenza medica. Donne e ragazze affrontano il ciclo mestruale senza prodotti
sanitari di base.
I sistemi idrici e fognari sono distrutti. Circa quattro strutture su
cinque, compresi i punti di distribuzione idrica, si trovano ora in zone
militarizzate o soggette a ordini di evacuazione – quindi anche se funzionano,
non sono accessibili per chi dipende da loro.
Signor Presidente,
La crisi del carburante a Gaza è a un livello critico.
La settimana scorsa, le autorità israeliane hanno accettato di far entrare
a Gaza due camion di carburante al giorno, cinque giorni a settimana,
attraverso il valico di Kerem Shalom, e abbiamo qualche segnale che queste
autorizzazioni possano aumentare leggermente. Speriamo che questo accada.
Questa è la prima volta in 130 giorni che entra carburante nella Striscia e
ancora non è stata autorizzata la benzina, la quale rifornisce ambulanze e
altri servizi vitali.
Due camion rappresentano una frazione del necessario per mantenere in
funzione i servizi essenziali.
E anche quando il carburante è autorizzato per scopi umanitari, non è
garantito l’accesso alle risorse per immagazzinarlo e trasportarlo dove
necessario.
Signor Presidente,
Nella Cisgiordania la situazione resta allarmante: si registrano continue
perdite di vite umane e mezzi di sussistenza, restrizioni alla mobilità e
crescono gli sfollamenti.
Nel fine settimana, due giovani palestinesi sono stati uccisi in un attacco
di coloni vicino a Ramallah: uno è stato picchiato a morte, all’altro hanno
sparato. Decine di feriti e le ambulanze sono state bloccate e non sono
riuscite a raggiungerli.
La violenza dei coloni sta aumentando a un ritmo allarmante e le comunità
palestinesi vengono sfollate, ferite e le loro proprietà danneggiate.
Ogni giorno di questo anno, l’ONU ha documentato una media di quattro
episodi di violenza da parte dei coloni contro palestinesi e le loro proprietà.
A giugno, 100 palestinesi sono stati feriti dai coloni israeliani – il
numero più alto in due decenni.
Signor Presidente,
I crescenti bisogni umanitari di Gaza devono essere soddisfatti senza
trascinare la popolazione in una linea di fuoco.
Israele, come potenza occupante, ha l’obbligo di assicurare che la
popolazione abbia cibo e cure mediche.
Ma ciò non sta avvenendo. Al contrario, i civili sono esposti a morte,
ferite, sfollamento forzato e perdita di dignità.
Tocca a voi trarre le vostre conclusioni. Ma sicuramente non abbiamo
bisogno di discutere se uccidere civili in fila per ricevere beni essenziali
sia compatibile con l’obbligo di provvedere ai loro bisogni.
Stiamo aspettando i risultati delle indagini di Israele su questi e
precedenti episodi. Spero che esaminiate se le regole d’ingaggio israeliane
prevedano tutte le precauzioni possibili per evitare danni ai civili, come
richiesto.
Questo significa: verificare i bersagli, dare avvisi efficaci, scegliere
con attenzione tattiche e armi, e annullare o sospendere un attacco se può
causare danni eccessivi ai civili.
Signor Presidente,
Ogni volta che denunciamo ciò che vediamo, affrontiamo minacce di ulteriori
restrizioni all’accesso alle popolazioni civili che tentiamo di aiutare.
Questo accade ovunque, ma in nessun luogo la tensione tra il nostro mandato
di difesa umanitaria e l’erogazione di aiuti è alta quanto a Gaza. I visti non
vengono rinnovati, o vengono ridotti, come risposta esplicita al nostro lavoro
di protezione dei civili. I nostri operatori non ottengono le autorizzazioni
per entrare a Gaza e continuare a fare il loro lavoro.
I nostri partner umanitari sono sempre più respinti. Nel 2025, il 56% delle
richieste di ingresso negate riguardava le squadre mediche di emergenza.
Naturalmente, come sapete, centinaia di operatori umanitari sono stati
uccisi. E chi continua a lavorare soffre fame, pericolo e perdite, come tutti
nella Striscia di Gaza.
Le tragedie personali risuonano tra le nostre squadre e le loro famiglie.
Questa mattina, un altro collega del CICR è stato ucciso.
Rendo omaggio a tutti loro, e al coraggio degli operatori dell’UNICEF e di
altre agenzie a Gaza.
Migliaia, compresi molti colleghi feriti, non possono lasciare Gaza per
curarsi.
Signor Presidente,
Vorrei illustrarvi brevemente cosa comporta portare gli aiuti che voi
finanziate a Gaza.
Prendiamo un semplice sacco di farina.
Prima di arrivare al valico, deve superare numerosi controlli, doganali e
ministeriali.
Una volta approvato, viene scansionato, caricato su camion israeliani, e
spesso ispezionata nuovamente a Kerem Shalom.
Poi, viene trasferita su camion palestinesi lungo la strada del confine
oppure su “camion sterili” che scaricano da una parte e vengono raccolti da
altri mezzi dentro Gaza.
Quindi contare i camion è fuorviante, perché non è un rapporto uno-a-uno.
Una volta entrata a Gaza, la farina deve affrontare un percorso a ostacoli:
serve coordinamento con l’esercito israeliano, si attraversano zone sotto
attacco, strade danneggiate, posti di blocco, e spesso si devono evitare bande
armate. E la distribuzione è incerta: persone affamate cercano di saltare sui
camion per prendere i sacchi.
Con questi ostacoli, i vostri aiuti rischiano di non arrivare mai. E anche
se arrivano, la distribuzione su larga scala è molto incerta.
E come ho già detto: non deve essere così.
Abbiamo un piano che funziona. Servono aiuti prevedibili, in quantità
sufficiente, attraverso più valichi, in zone sicure, su percorsi scelti da noi,
senza ritardi, verso i nostri magazzini e punti di distribuzione, secondo i
principi umanitari che ci avete affidato.
Signor Presidente,
Anche se questo piano resta fermo, migliaia di colleghi, ogni giorno, a
rischio personale estremo, continuano a salvare vite.
Tra il 19 maggio e il 14 luglio, solo 1.633 camion – il 62% di quelli
richiesti – sono arrivati a Kerem Shalom e Zikim.
Trasportavano principalmente farina di grano, insieme a quantità limitate
di alimenti per le cucine, forniture nutrizionali, forniture mediche e cloro.
Dopo molteplici fasi di scarico e ricarico della merce su diversi veicoli, un
totale di 1.600 camion palestinesi ha potuto essere raccolto per la
distribuzione all’interno di Gaza.
Solo la scorsa settimana, abbiamo schierato 21 squadre mediche di emergenza
che hanno fornito servizi salvavita e un po’ di sollievo ai medici a Gaza; sono
entrati 238 pallet di forniture mediche, tra cui 10 pallet a catena del freddo
con 1.396 unità di sangue e 1.550 dosi di plasma – sufficienti per 10 giorni.
Abbiamo sostenuto 800 consultazioni mediche settimanali per donne e
ragazze, reso operative 84 cucine che servono 260.000 pasti al giorno e
distribuito 17.000 metri cubi di acqua potabile attraverso 1.300 punti di
raccolta. Questo è un sostegno salvavita offerto con dignità.
Ma, per essere chiari, è una goccia nell’oceano, rispetto ai 630 camion al
giorno durante il cessate il fuoco.
Il cessate il fuoco ha dimostrato cosa è possibile fare. E noi dobbiamo
tornare a quei livelli, senza ritardi.
Il nostro lavoro – quello delle Nazioni Unite e dei suoi partner – non è
perfetto, ma si basa su principi umanitari e decenni di esperienza. E vi
chiediamo ancora una volta: lasciateci lavorare.
In questo senso, accogliamo con favore l’accordo tra l’Unione Europea e
Israele sull’accesso umanitario. Attendiamo dettagli e capiremo come verrà
attuato.
Signor Presidente,
Mi permetta di ricordare a questo Consiglio che la Corte Internazionale di
Giustizia ha chiesto a Israele misure immediate ed efficaci per consentire
l’accesso ai servizi essenziali e agli aiuti.
Alla luce dei fatti, chiedo a questo Consiglio di valutare se Israele stia
rispettando le sue responsabilità legali e se noi umanitari possiamo adempiere
al nostro mandato.
Questo significa consentire e facilitare il passaggio rapido e senza
ostacoli degli aiuti umanitari imparziali, come richiedono le regole della
guerra? O si tratta di un’ostruzione? Sarete voi a trarre le vostre
conclusioni.
Signor Presidente,
Settimane fa, un ministro israeliano ha definito l’ingresso degli aiuti a
Gaza una “decisione disastrosa”; altri hanno giustificato moralmente la fame
finché gli ostaggi non verranno liberati – e sì, devono essere liberati.
Usare intenzionalmente la fame dei civili come metodo di guerra sarebbe,
naturalmente, un crimine di guerra.
Più recentemente, il Ministro della Difesa israeliano ha parlato
apertamente della possibilità di trasferire i palestinesi in quella che ha
definito una “città umanitaria”. Da quanto abbiamo compreso, la proposta
prevede di sfollare con la forza i palestinesi verso una zona designata nei
pressi di Rafah.
Ora, non so come definire tutto questo, ma di certo non è umanitario.
Signor Presidente,
Gli Stati e i gruppi armati devono rispettare le regole – forgiate a causa
degli orrori del conflitto e dell’odio – che proteggono i civili durante la
guerra.
Oggi, in tutto il mondo, assistiamo alla corrosione e al degrado di queste
regole.
Naturalmente, spetta a voi decidere come agire per garantire che tutte le
parti rispettino il diritto umanitario internazionale.
Ma sono d’accordo con alcuni membri del gabinetto israeliano sul fatto che
voi avete costantemente sopravvalutato il vostro potere di persuasione
silenziosa.
Noi chiediamo conto a tutte le parti del rispetto delle norme del diritto
internazionale in questo conflitto.
Non dobbiamo scegliere – e anzi, non dobbiamo assolutamente scegliere – tra
chiedere la fine della fame dei civili a Gaza e chiedere la liberazione
incondizionata di tutti gli ostaggi.
Dobbiamo anche rigettare l’antisemitismo. Dobbiamo combatterlo con ogni
fibra del nostro essere. Ma dobbiamo anche chiedere conto a Israele secondo gli
stessi principi e le stesse leggi che valgono per tutti gli altri Stati.
I civili devono essere protetti, ovunque si trovino. Gli ostaggi devono
essere liberati – lo ripeto. Gli aiuti umanitari devono poter entrare su larga
scala. E gli operatori umanitari devono essere protetti.
Lo dovete ai civili israeliani e palestinesi, alle ultime speranze di una
pace sostenibile, e alla Carta delle Nazioni Unite.
Tutti i membri di questo Consiglio sono stati chiari: cessate il fuoco,
cessate il fuoco, cessate il fuoco.
Grazie.
(Traduzione non ufficiale)
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