Poco dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni annunciò di
voler lanciare un piano Mattei nei confronti dell’Africa. Inizialmente la
proposta appariva piuttosto nebulosa perché se da una parte evocava l’idea di
cooperazione, quindi di interventi senza contropartita economica, dall’altra la
chiamata in causa di Mattei enunciava la connotazione commerciale, ricordandoci
che Enrico Mattei è passato alla storia per avere instaurato nuovi rapporti
economici con i paesi del Nord Africa produttori di petrolio. Col passare del
tempo i contorni si sono fatti più chiari e alcune cose si possono affermare
con certezza.
La prima è che di tutto il Sud del mondo, il continente che Meloni ritiene
strategico per l’Italia è l’Africa. Lo puntualizzò nella Conferenza
Italia-Africa che convocò a Roma il 24 gennaio 2024. Alla presenza di una
quarantina di delegazioni africane affermò: «L’obiettivo che
ci siamo dati è quello di dimostrare che siamo consapevoli di quanto il destino
dei nostri due continenti, Europa e Africa, sia interconnesso». Un’interconnessione
che Meloni vede sotto due profili: da una parte la grande quantità di risorse
custodite dall’Africa che se sfruttate adeguatamente possono fare la ricchezza
sia dell’Africa, sia dell’Italia; dall’altra la crescita della popolazione
africana a cui va data una prospettiva economica per impedire l’emergere di
migrazioni di massa.
La seconda cosa che si può dire è che la presidente del
Consiglio, vuole seguire direttamente tutta la partita riguardante i rapporti
di cooperazione e sviluppo con l’Africa. Come ogni stato, anche l’Italia
dispone di una politica di aiuto al Sud del mondo articolata in più direzioni.
Da una parte partecipando a fondi gestiti da istituzioni internazionali come la
Banca Mondiale; dall’altra finanziando in forma diretta progetti di
cooperazione sociale e ambientale. Secondo il bilancio di previsione dello
stato, nel 2025 questo doppio canale di intervento dovrebbe assorbire 4,5
miliardi di euro, lo 0,20% del pil italiano ben lontano dallo 0,70%
raccomandato dalle Nazioni Unite. Con l’istituzione del piano Mattei,
divenuto legge con un provvedimento del gennaio 2024, tutti gli interventi
riguardanti l’Africa saranno coordinati da un organismo unico, denominato
“Cabina di regia” istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Allo stato attuale è composto da una trentina di membri, sia pubblici, sia
privati, al cui apice siede il Presidente del Consiglio.
La terza cosa che si può dire è che il Piano Mattei intende agire
fortemente anche tramite le imprese private, sia africane, che italiane. Non
a caso una buona metà dei componenti della Cabina di regia sono rappresentanti
d’impresa o di associazioni imprenditoriali, fra cui Acea, Snam, Fincantieri,
Eni, Fondazione Med-Or, Leonardo, Fs, Enel, Terna, Cna, Cia, Confagricoltura,
Coldiretti, Confartigianato. Del resto durante il discorso che tenne
alla Conferenza Italia-Africa nel gennaio 2024, Giorgia Meloni precisò che il
Piano non può «prescindere dal pieno coinvolgimento di tutto
il “Sistema Italia” complessivamente inteso, a partire dalla Cooperazione allo
Sviluppo e dal settore privato che è fondamentale coinvolgere nella nostra
strategia, dato l’enorme patrimonio di conoscenza, tecnologia e soluzioni
innovative che può vantare». Il risultato è che fra i primi
progetti inseriti nel Piano Mattei c’è l’avvio in Algeria di
un polo agricolo gestito dall’azienda italiana Bonifiche Ferraresi per la messa
in produzione di 800 ettari di terreni semi aridi, estendibili a 36.000 nella
parte sud-orientale del Sahara algerino. Oltre alla coltivazione di grano,
cereali e semi per oli, è prevista la costruzione di impianti di molitura,
spremitura e altri stabilimenti di trasformazione alimentare, precisando che il
30% della produzione sarà riservato all’esportazione verso l’Italia. La stessa
azienda sarà sostenuta per la realizzazione di un progetto agricolo in Egitto,
paese nel quale sono previsti vari altri interventi fra cui la costruzione da
parte di Arsenale Spa, di un treno turistico “Made in Italy” sulla tratta Il
Cairo-Assuan. E rimanendo in ambito agricolo compare perfino un progetto
gestito da Eni, già finanziato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Italiano per il
Clima per un totale di 210mila euro. Il paese di attuazione è il Kenya dal
quale, già da anni la multinazionale petrolifera si approvvigiona di olio di
ricino e altri oli vegetali da trasformare in biocarburante nei suoi
stabilimenti di Gela e Porto Marghera.
Dopo la forte riduzione di gas proveniente dalla Russia, il tema energetico
è diventato di importanza strategica per tutta l’Europa e Gorgia Meloni non ha
mai fatto mistero di volere inserire la questione energetica nel Piano Mattei
con l’obiettivo di trasformare l’Italia in un hub, ossia un punto di approdo e
smistamento energetico per tutta l’Europa. Lo ha ripetuto anche
nel gennaio 2024 durante il discorso che tenne alla conferenza
Italia-Africa: «Noi siamo sempre stati convinti che l’Italia abbia
tutte le carte in regola per diventare l’hub naturale di approvvigionamento
energetico per l’intera Europa. È un obiettivo che possiamo raggiungere se
usiamo l’energia come chiave di sviluppo per tutti. L’interesse che persegue
l’Italia è aiutare le Nazioni africane interessate a produrre energia
sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Europa la parte in eccesso.
(,,,). Tra le iniziative in questo ambito voglio ricordare quella in Kenya
dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti, che punta a coinvolgere
fino a circa 400 mila agricoltori entro il 2027. Ma chiaramente questo scambio
funziona se ci sono anche infrastrutture di connessione tra i due continenti e
lavoriamo da tempo anche su questo, soprattutto insieme all’Unione Europea.
Penso all’interconnessione elettrica ELMED tra Italia e Tunisia, o al nuovo
Corridoio H2 Sud per il trasporto dell’idrogeno dal Nord Africa all’Europa
centrale passando per l’Italia».
Per capire meglio il discorso di Meloni, vale la pena precisare che Elmed è
un progetto che prevede la costruzione di un elettrodotto tra Sicilia e
Tunisia, per una lunghezza complessiva di 220 chilometri, di
cui 200 in cavo sottomarino. Un progetto portato avanti dalla società elettrica
italiana Terna e quella tunisina Steg, col finanziamento di fondi europei e
della Banca Mondiale, per garantire all’Europa energia elettrica prodotta in
Nord Africa da fonti rinnovabili. Quanto al Corridoio H2 Sud, è un progetto
portato avanti da un consorzio di imprese europee, fra cui l’italiana Snam,
finalizzato a costruire una conduttura lunga 3300 km per trasportare
idrogeno prodotto in Tunisia fino al cuore d’Europa. Viste le dichiarazioni
di Meloni, c’è da aspettarsi che entrambi i progetti saranno inseriti nel piano
Mattei assorbendo chissà quanti soldi dei contribuenti italiani.
Da un punto di vista finanziario, il Piano è piuttosto generico. Non
precisa quali progetti hanno diritto a contributi a fondo perduto, quali solo a
prestiti. Si limita a dire che in un quadriennio, il Piano potrà contare su 5,2
miliardi di euro, di cui 3 attinti dal Fondo italiano per il clima e 2,5 dai
fondi per la Cooperazione allo sviluppo. Inoltre asserisce di volersi avvalere
della collaborazione di una serie di istituti finanziari italiani di natura
pubblica come la Cassa Depositi e Prestiti, Simest, Sace e altri fondi di
livello internazionale. Ma non precisa né i criteri di finanziamento né le
procedure da seguire, forse per lasciare mano libera alla Cabina di regia che
di volta in volta potrà decidere quale forma di aiuto assicurare e da parte di
chi.
Meloni ha presentato il Piano come «una cooperazione da pari a
pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria, ma anche da
quell’impostazione “caritatevole” che mal si concilia con le straordinarie
potenzialità di sviluppo dell’Africa». Per sapere se è davvero così
dovremo aspettare qualche anno, ma l’eccessiva attenzione ai benefici che ne
può trarre l’Italia e l’eccessivo protagonismo del mondo degli affari non sono
di buon auspicio. In Kenya, ad esempio, in località Mbegi ci sono già
state proteste da parte dei piccoli contadini che producono ricino per Eni: i
guadagni promessi non sono arrivati. Lo scrive il Financial Times dell’11
aprile 2025.
I popoli del Sud del mondo sono stati depredati da secoli di colonialismo,
guerre, scambio ineguale, latrocinio finanziario. Per rialzarsi hanno
bisogno di opere e servizi di base pensati per loro: acqua, sanità, corrente
elettrica, scuole, trasporti. Il mondo degli affari ha portato sfruttamento e
miseria. Solo la solidarietà gratuita, senza aspettarsi niente
indietro, può portare sviluppo umano. Non è carità, ma giustizia.
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