Jared Gottula, afflitto da un disturbo mentale, agita una mazza da baseball fuori casa. Quando arrivano gli agenti dello sceriffo, Jared finisce crivellato di colpi
Nelle sconfinate praterie del Wyoming, dove i bovini superano in numero gli
abitanti, la modernità arriva sotto forma di sirene della polizia. A
Hot Springs County, 4.600 anime e nessuno psichiatra, Jared Gottula,
41 anni, disoccupato e afflitto da un disturbo mentale non trattato, agita una
mazza da baseball fuori casa. Non minaccia nessuno. Non ha una pistola. Ma
quando arrivano gli agenti dello sceriffo, Jared finisce crivellato di
colpi. Uno, due, tre… fino all’ultimo proiettile. Il suo corpo resta steso
sull’asfalto. Nessuna ambulanza, nessun medico, nessun negoziatore. Solo un
padre che corre urlando: “È morto mio figlio?”.
Questa non è la cronaca nera. È la radiografia di un sistema che ha
sostituito la cura con l’esecuzione. Che ha trasformato la polizia di
campagna in giuria, giudice e boia. Il caso di Jared è solo uno dei tanti che
emergono da un trend in crescita: nel 2024, 1.260 persone sono state uccise
dalle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Di queste, un numero crescente cade
sotto il fuoco degli sceriffi rurali, oggi protagonisti di una militarizzazione strisciante
e sottovalutata.
Dal 2013 a oggi, gli omicidi da parte degli uffici dello sceriffo sono
aumentati del 43%, mentre quelli dei dipartimenti cittadini solo del 3%. Il
motivo è semplice: nelle città, dopo George Floyd, le proteste
hanno costretto a riforme. Nelle campagne, invece, la repressione è diventata
vanto, segno di efficienza, spesso appoggiata da elettori che vedono negli
agenti armati gli ultimi bastioni dell’ordine in un mondo che si
sgretola.
Il caso di Hot Springs è esemplare. Qui gli agenti sono pochi, malpagati,
scarsamente formati. Non esiste un servizio psichiatrico, ma l’arma d’ordinanza
è sempre pronta. L’agente Max Lee-Crain, che ha ucciso Jared, ha
dichiarato di aver esaurito il caricatore: “Non voleva mollare la mazza”.
Eppure, lo stesso sceriffo locale non ricordava alcun precedente di
sparatorie nella contea. La tragedia è un inedito. Ma non sorprende.
In un’America dove le crisi mentali si moltiplicano e i servizi scompaiono,
chi risponde alla chiamata d’aiuto non è un terapeuta, ma un uomo armato e
addestrato al combattimento. Il risultato è scontato. Come ha ammesso Allen
Thompson, direttore dell’associazione degli sceriffi del Wyoming: “Abbiamo
bisogno di più formazione. Ma il vero problema è che non possiamo prevenire ciò
che accadrà la notte dopo”.
Il caso Gottula rivela lo slittamento profondo del ruolo della forza
pubblica. Non più tutela, ma controllo. Non più vicinanza, ma dominio. Una
logica da guerra civile a bassa intensità che, nell’indifferenza delle
metropoli, consuma vite tra i silenzi delle valli e delle riserve.
Le immagini dell’omicidio non fanno il giro del mondo, come accadde per
Floyd. Ma nelle comunità locali resta il trauma, resta la
domanda: chi sarà il prossimo? La risposta, purtroppo, non
arriva da un’aula di giustizia, ma da un poligono di tiro.
Nel cuore dell’America profonda, la frontiera non è più quella dell’Ovest,
ma quella tra civiltà e barbarie. E la linea si sposta ogni giorno più in là,
inesorabilmente, sotto il peso di un’ideologia securitaria che
giustifica tutto, anche l’ingiustificabile. Come ha detto un funzionario di
polizia coinvolto in un caso simile: “Tutti si lamentano della de-escalation”.
Già. Perché parlare, negoziare, aspettare costa tempo e soldi. Sparare, invece,
è rapido, risolutivo, e soprattutto impunito.
In questa America, il disagio psichico non è una malattia da curare, ma una
minaccia da neutralizzare. E così lo Stato uccide, a sangue freddo, chi avrebbe
solo bisogno di aiuto.
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