QUESTA POESIA parla del capo della Nato e altri striscianti. Lo decido io
che è una poesia e chi vuole può tenersi la contentezza che non lo sia. Questa
poesia non aveva bisogno di poesia, volevo solo festeggiare la mia libertà,
buttarla in faccia ai servi, ai vermi della nostra occidentale inciviltà.
Questa poesia dice che il capo della Nato ha fatto il compito che gli era
assegnato: far comprare agli Stati altre armi americane. Il resto lo recuperano
i dazi. Questa poesia dice che con i soldi che si spendono in armamenti si
potevano piantare miliardi di alberi, investire sulla ricerca contro le
malattie, regalare cento libri e uno strumento musicale a tutti i bambini del
mondo. Questa poesia dice che per salvare il mondo dobbiamo capire che il mondo
è uno solo e non sta nella nostra testa, sta fuori di noi, come i sassi, come
l’erba, come i denti dei cavalli. Pensiamo al fallimento del pensiero e della
parola: in un mondo in cui tutti parlano non ci capiamo di più, semplicemente
siamo soli in mezzo alle nostre parole. Questa poesia dice che Israele a Gaza
non sta solo distruggendo un popolo, sta distruggendo il sentimento dell’umano.
Questa poesia dice che l’Europa deve costruire uno sguardo nuovo su se stessa,
accettare che il mondo ha molti centri. Questa poesia dice che sono miserabili
quei giornalisti che raccontano la possibile invasione dell’Europa da parte
della Russia. Tutti quelli che credono nella forza più che nel mettersi
d’accordo sul come affrontare insieme lo stare qui nel mondo sono nemici della
poesia e dell’amore. Questa poesia dice che invece della ragione bellica
dobbiamo costruire una ragione poetica. La poesia non esclude la lotta, il
conflitto, la poesia lotta per dire agli umani che non c’è bisogno di missili
sempre più potenti ma di un disarmo planetario. Questa poesia sa che dovrà
districarsi tra notizie di compleanni e altre poesie e notizie sul caldo e
pensieri sul riccone che si è sposato a Venezia. Questa poesia avrà una
mortalità infantile, vivrà meno di una farfalla.
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