domenica 27 luglio 2025

Stato di Palestina, tra i leader europei un dibattito fuori tempo massimo - Chiara Cruciati

I palestinesi e le palestinesi hanno diritto di vivere in libertà e dignità e di decidere per sé. Di stabilire quale forma giuridica dare alla propria società liberata. Si chiama decolonizzazione

Ci sono abitudini dure a morire. Come quella a ritenersi in potere di stabilire quali popoli abbiano il diritto di vivere liberi, o quella a tracciare su una mappa le frontiere di uno stato con penna e righello. Accade così, e non è una novità, che a 77 anni dalla Nakba del 1948 la presidente del consiglio Giorgia Meloni ritenga prematuro e controproducente che il popolo palestinese si autodetermini. Un pensiero indegno che condivide con il cancelliere tedesco Merz, con il presidente statunitense Trump, con il premier israeliano Netanyahu, e giù a scendere, la lista del suprematismo bianco è lunga e prevedibile.

Il punto non è lo stato in sé, l’edificazione di infrastrutture istituzionali, una capitale, una banca centrale o un passaporto che non sia una farsa. Il punto è la permanenza dell’oppressione: il popolo palestinese è sotto occupazione da quasi un secolo. È soffocato da un colonialismo d’insediamento da cui è disceso – com’è naturale che fosse – un regime di apartheid, e ora anche un genocidio.

La sua libertà è prematura? Esiste un momento in cui diventa legalmente accessibile come la patente, o è il diritto innato di qualsiasi essere umano? Rimandare la sua liberazione perché controproducente (per chi?) non è un’opzione tra le altre, ogni giorno di ritardo significa un giorno in più sotto occupazione e non semplicemente senza statualità. Lo ha ordinato nel luglio 2024 la Corte internazionale di Giustizia quando ha dato un anno di tempo a Israele per smantellare l’occupazione. Tempo scaduto.

I palestinesi e le palestinesi hanno diritto di vivere in libertà e dignità e di decidere per sé. Di stabilire quale forma giuridica dare alla propria società liberata. Si chiama decolonizzazione. Ma proprio perché le abitudini sono dure a morire, all’Europa pare più che normale dettare i tempi, le forme, i confini. Gode di una certa esperienza, nel Medio Oriente del secolo scorso ha disegnato stati e generato mostri.

Appare dunque surreale, e invece è orribilmente vero, che i leader mondiali, di fronte al controllo strutturale esercitato da Israele su ogni aspetto della vita palestinese, di fronte alla distruzione sistematica di un popolo intero una persona dopo l’altra, di fronte a metodi di sterminio che tolgono il sonno, stiano là ad arrovellarsi se riconoscere o meno lo stato di Palestina. È la cometa di Don’t Look Up: riempiamo giornali e tv con un dibattito destinato a sopravvivere il tempo strettamente necessario a dirsi innocenti, in attesa di essere inceneriti. I palestinesi, però, a differenza di Meloni, Merz, Starmer e Macron, hanno fretta.

Vengono inceneriti ogni minuto che passa, nel corpo e nella dignità.

***

A cosa serve il riconoscimento dello stato di Palestina? Se serve a salvarsi dal giudizio della storia, delle società civili globali e da quello (si spera arrivi) degli umanissimi tribunali internazionali, è tardi: la cortina fumogena di dichiarazioni di sdegno per le pratiche di sterminio israeliane non nascondono la faccia di nessuno dei complici materiali del genocidio.

Se serve a fare pressione sul governo israeliano – che, lo dice dal 1948, non ha intenzione di riconoscere alcunché – ci tocca dare una delusione ai protagonisti di tale entusiasmante dibattito. Esistono metodi più rapidi delle strigliate in tv e degli appelli accorati a Israele per interrompere lo sterminio attraverso l’uso barbaro e fascista della fame, per impedirgli di bombardare tende e macerie a Gaza e di dare fuoco e spianare comunità in Cisgiordania, per porre fine alla carcerazione collettiva di milioni di persone.

Sanzionare Israele, isolarlo diplomaticamente, smettere di vendergli armi, mettere in pratica le decisioni dei tribunali dell’Aja su mandati d’arresto e fine dell’occupazione. Togliere la benzina alla macchina genocidaria: schiaccia e annienta quel che resta dei corpi scheletrici dei palestinesi e dell’anima dell’umanità intera solo grazie ai rifornimenti esterni. I nostri.

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