I palestinesi e le palestinesi hanno diritto di vivere in libertà e dignità
e di decidere per sé. Di stabilire quale forma giuridica dare alla propria
società liberata. Si chiama decolonizzazione
Ci sono abitudini dure a morire. Come quella a ritenersi in potere di
stabilire quali popoli abbiano il diritto di vivere liberi, o quella a
tracciare su una mappa le frontiere di uno stato con penna e righello. Accade
così, e non è una novità, che a 77 anni dalla Nakba del 1948 la presidente del
consiglio Giorgia Meloni ritenga prematuro e controproducente che il popolo
palestinese si autodetermini. Un pensiero indegno che condivide con il
cancelliere tedesco Merz, con il presidente statunitense Trump, con il premier
israeliano Netanyahu, e giù a scendere, la lista del suprematismo bianco è
lunga e prevedibile.
Il punto non è lo stato in sé, l’edificazione di infrastrutture
istituzionali, una capitale, una banca centrale o un passaporto che non sia una
farsa. Il punto è la permanenza dell’oppressione: il popolo palestinese è sotto
occupazione da quasi un secolo. È soffocato da un colonialismo d’insediamento
da cui è disceso – com’è naturale che fosse – un regime di apartheid, e ora
anche un genocidio.
La sua libertà è prematura? Esiste un momento in cui diventa legalmente
accessibile come la patente, o è il diritto innato di qualsiasi essere umano?
Rimandare la sua liberazione perché controproducente (per chi?) non è
un’opzione tra le altre, ogni giorno di ritardo significa un giorno in più
sotto occupazione e non semplicemente senza statualità. Lo ha ordinato nel luglio
2024 la Corte internazionale di Giustizia quando ha dato un anno di tempo a
Israele per smantellare l’occupazione. Tempo scaduto.
I palestinesi e le palestinesi hanno diritto di vivere in libertà e dignità
e di decidere per sé. Di stabilire quale forma giuridica dare alla propria
società liberata. Si chiama decolonizzazione. Ma proprio perché le abitudini
sono dure a morire, all’Europa pare più che normale dettare i tempi, le forme,
i confini. Gode di una certa esperienza, nel Medio Oriente del secolo scorso ha
disegnato stati e generato mostri.
Appare dunque surreale, e invece è orribilmente vero, che i leader
mondiali, di fronte al controllo strutturale esercitato da Israele su ogni
aspetto della vita palestinese, di fronte alla distruzione sistematica di un
popolo intero una persona dopo l’altra, di fronte a metodi di sterminio che
tolgono il sonno, stiano là ad arrovellarsi se riconoscere o meno lo stato di
Palestina. È la cometa di Don’t Look Up: riempiamo giornali e tv con un
dibattito destinato a sopravvivere il tempo strettamente necessario a dirsi
innocenti, in attesa di essere inceneriti. I palestinesi, però, a differenza di
Meloni, Merz, Starmer e Macron, hanno fretta.
Vengono inceneriti ogni minuto che passa, nel corpo e nella dignità.
***
A cosa serve il riconoscimento dello stato di Palestina? Se serve a
salvarsi dal giudizio della storia, delle società civili globali e da quello
(si spera arrivi) degli umanissimi tribunali internazionali, è tardi: la
cortina fumogena di dichiarazioni di sdegno per le pratiche di sterminio
israeliane non nascondono la faccia di nessuno dei complici materiali del
genocidio.
Se serve a fare pressione sul governo israeliano – che, lo dice dal 1948,
non ha intenzione di riconoscere alcunché – ci tocca dare una delusione ai
protagonisti di tale entusiasmante dibattito. Esistono metodi più rapidi delle
strigliate in tv e degli appelli accorati a Israele per interrompere lo
sterminio attraverso l’uso barbaro e fascista della fame, per impedirgli di
bombardare tende e macerie a Gaza e di dare fuoco e spianare comunità in
Cisgiordania, per porre fine alla carcerazione collettiva di milioni di
persone.
Sanzionare Israele, isolarlo diplomaticamente, smettere di vendergli armi,
mettere in pratica le decisioni dei tribunali dell’Aja su mandati d’arresto e
fine dell’occupazione. Togliere la benzina alla macchina genocidaria: schiaccia
e annienta quel che resta dei corpi scheletrici dei palestinesi e dell’anima
dell’umanità intera solo grazie ai rifornimenti esterni. I nostri.
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