I. Un ricordo dell’epoca di Expo
Oggi a
Milano una stanza decente non costa meno di 650-700 euro, nelle zone vicino
all’università, e il costo della vita è fra i più alti in Italia. È una città
dove il consumo di cocaina è il doppio della media nazionale, e dove la
voracità predatoria dell’urbanistica, come scrive la Procura, ha ridotto
ulteriormente le aree verdi.
Ma facciamo
un passo indietro.
Mi ricordo
dal 2015 circa al 2018, gli ultimi anni in cui ho frequentato la Statale di
Milano, che tutto il cortile interno veniva affittato per la settimana del
Design e riempito di ‘opere’ che esprimevano alla perfezione tutto il glamour,
la nullità e il carattere nichilistico-mercantile del modello meneghino
attuale.
Una folla,
che mi stupiva ogni anno, di turisti, di milanesi, di esperti di design e
architettura, veniva a rendere la Statale di Milano una fantasmagoria che
colonizzava le menti e l’immaginario.
Come scrive
Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane:
“Solo dieci
anni fa Milano era vista come una città produttiva, elegante, ma grigia. Poi,
con l’Expo2015, ha assunto l’immagine di una metropoli splendente e attrattiva.
Il passaggio
però non è la conseguenza di una trasformazione oggettiva ma, all’opposto, è la
metamorfosi fisica a essere effetto di una campagna di marketing senza precedenti,
il cui successo è stato ottenuto spostando le risorse materiali e intellettuali
destinate alla produzione di cultura, ricerca, servizi di welfare verso la
produzione dell’immagine di una metropoli globale del lusso.
L’aspetto
più perturbante dell’intero processo è il ruolo giocato dalla finanza,
impegnata in una doppia missione: concentrazione della ricchezza attraverso la
privatizzazione della città pubblica, dei suoi spazi e delle sue istituzioni
sociali e culturali; cattura o neutralizzazione delle forze che potrebbero
produrre attrito nel sistema e lotta alle disuguaglianze.”
II. La città
è la dimora del collettivo
Dunque il
decennio dai venti ai trent’anni della mia vita è cresciuto dentro questa
metamorfosi di Milano, la città della moda, della fashion week,
delle discoteche in Corso Como, degli Influencer con decine di
milioni di followers; la Milano dei Boschi Verticali e delle droghe
orizzontali.
Una città
che assieme all’attrattività, al trendy e al lusso, ha
iniziato a produrre sempre più effetti desiderati, da chi ha voluto farne una
metropoli stile Londra o New York, e cioè per ricchi, dove i miliardari possono
spostare la residenza senza pagare le tasse, e gli studenti non possono
prendere in affitto una stanza decente a meno di 700 euro.
Una città
cioè dove per sopravvivere bisogna lavorare sempre di più e avere sempre di
meno, perché Milano è anche un luogo che progressivamente è diventato sempre
più gentrificato;
dove
l’urbanistica ha colonizzato sempre più le aree verdi, rendendo quindi non solo
tante volte l’aria irrespirabile, ma anche il tessuto sociale sempre più
disgregato e privo di realtà comunitarie.
Si sono
create perciò per contrasto aree del ‘degrado’, come Rogoredo, dove il ritorno
dell’eroina segna l’espressione di un malessere politico prima ancora che
interiore.
O come Via
Padova, e cioè di aree urbane sottratte al controllo dell’amministrazione, dove
regna un popolo degli abissi e un sottosuolo che cresce al di là dello schema
prefissato.
In realtà
questa metamorfosi di Milano è stata un’operazione simile a quella di Haussmann
nella Parigi del XX secolo. Allora si trattò di costruire grandi viali, i boulevard, per
impedire il diffondersi delle barricate ai tempi delle rivoluzioni.
A Milano si
è trattato della costruzione di un mito, un modello dei dominanti, di un potere
neoliberale, tecno-finanziario, del marketing ubiquitario, di un consumismo
pregiato, di una erosione progressiva della sostanza a favore di un’apparenza
che attira i grandi capitali.
Si tratta di
rendere impossibili delle barricate interiori, delle difese antropologiche e
spirituali di fronte a questa metamorfosi.
Per questo è
importante chiedersi: siamo diventati così anche noi? Questo sistema, questa
mentalità che ci seduce, che ci convince a tratti a farci brand di
noi stessi, e che se non riusciamo a sopravvivere in questo contesto è perché
non siamo stati abbastanza forti e vincenti, ci è entrata dentro?
III. O
mia bela Madunina: salva Milano!
Vorrei
chiudere però con una nota di speranza, o forse di utopia, che però non è
retorica, né tantomeno a buon mercato.
La vera
questione che emerge dalla degenerazione di questo modello urbanistico non è
morale, e non solamente culturale.
È un
problema antropologico. La domanda cioè è quale modalità di abitare
collettivo vogliamo scegliere. Chi vogliamo essere?
E in questi
anni ho conosciuto tante persone, magari spinte dal malessere lavorativo ed
esistenziale, iniziare a rendersi conto che questo modello, al di là di tutte
le considerazioni possibili, non ci offre la possibilità di un’esistenza
dignitosa e soprattutto non ci rende felici.
Questo
sistema non ha niente a che fare con l’anima di Milano, che è sempre stata una
città popolare, creativa, rivoluzionaria. La Milano che amo e porto
nel cuore ha dato i natali a Cesare Beccaria e Alessandro Manzoni, che ha
scritto probabilmente il romanzo più popolare italiano; è la Milano di Gaber e
Jannacci, di Dario Fò e Celentano, di Cochi e Renato.
È la Milano
di Alda Merini e di una comicità che nasce dal basso, dal freddo, capace però
di farsi caldo, e motore di nuove idee.
Milano non è
una città del Lusso, della finanza e degli influencer senz’anima. È una
metropoli capace di coniugare il sentimento popolare con una virtù
imprenditoriale trainante e visionaria.
Milano è una
città che ha saputo fare della povertà e della sobrietà delle qualità umane
funzionali alla laboriosità.
E credo che
le nuove generazioni possano rendersi conto che tanti modelli e valori sono
semplicemente delle trappole, e iniziare dei percorsi nuovi di socializzazione,
di riscoperta della città, e fioritura di una creatività capace di lottare per
un futuro migliore.
È arrivato
il tempo di formare una nuova classe dirigente, che sia in grado, nei prossimi
decenni, di sostituire questo sistema marcio, e dare vita ad una nuova città.
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