Pubblichiamo un corsivo de il manifesto firmato da Luigi Pintor il 10 settembre 1972, un corsivo dedicato alla tragedia del popolo palestinese, alla resistenza contro la violenza dell’occupazione israeliana e al silenzio della stampa italiana. Non è cambiato nulla. (red)
Azione “fulminea” e “rappresaglia” furono due dati
distintivi della guerra nazista. Della rappresaglia, in particolare, gli ebrei
furono la vittima storica. Oggi, Golda Meir e Dayan la scatenano altrettanto
fulminea e feroce, contro i profughi palestinesi, prima cacciati con le armi
dalle loro case, ed ora inseguiti e fatti a pezzi dalle bombe nei loro miseri
rifugi in altre terre arabe. La nostra stampa borghese, i propagandisti del
terrore legale e della guerra imperialista, gli uomini di cuore straziati dal
sangue versato in una palazzina olimpica, asciugano ora le lacrime e tornano a
sorridere, felicemente risarciti con cadaveri di donne e bambini trionfalmente
vendicati da una flotta aerea mille volte più nobile del coltello dei feddayn.
Questo non è finalmente, il crimine turpe dello straccione, è il diritto
luminoso dei signori della guerra. Non è più sangue e barbarie e terrore, è
potenza e pulizia. Non è merda, è civiltà. Aspettiamo il pagliaccio di turno
che dica: l’hanno voluto loro. Occhio per occhio, dente per dente: ecco la
prova che il terrorismo non paga (qualche disgraziato, anche a sinistra, già
l’ha detto). Come se la guerra fosse cominciata ieri in Palestina. Come se quei
profughi oggi uccisi nei loro campi non fossero i sopravvissuti di uno
sterminio a cui da anni concorrono la generosa Israele, Hussein il gentiluomo, la
incorrotta destra egiziana, con la complicità vorace delle grandi potenze, la
vergogna sordida dell’ONU, l’inerzia che la grande opinione pubblica riserva
alla causa dei deboli, per meglio concentrare le sue emozioni sui lutti
olimpici. Come se i capi di Israele non dichiarassero sfacciatamente al mondo
che la “rappresaglia” è in scientifica continuità con la guerra, per
consolidarne ed estenderne i risultati, col fine di legittimare per sempre
l’usurpazione territoriale e politica. Oggi non è solo chiaro che i 17
macellati all’aeroporto di Monaco potrebbero essere vivi al Cairo se i
poliziotti di Brandt (anche di Brandt caro Avanti! non solo di
Strauss) e i capi di Israele non ne avessero decretato la morte. Oggi non è
solo chiaro da chi quel macello è stato voluto, ma perché e in quale quadro è
stato voluto. Non perché c’era un ricattato che non poteva cedere al
ricattatore, ma perché c’è un oppressore che non può cedere all’oppresso, non
può ammetterne la rivolta e neppure l’esistenza, preferisce sterminarlo e lo
stermina, in Germania come in Palestina. E nel quadro di una guerra di
aggressione e di annichilimento di un popolo povero, simbolo delle minoranze e
delle classi subalterne contro cui in tutte le società capitalistiche si
accentua la repressione. Chi sono i macellai, chi sono i terroristi, chi sono
gli oppressori? Basta con questa storia, conosciamo a memoria le posizioni di
principio, politiche e morali, che il movimento operaio ha maturato nella
sua storia sulla lotta rivoluzionaria e i suoi metodi. Sono le nostre. Non i
manualetti di marxismo, però. Guai a chi, a sinistra, anche per un momento
mette tra parentesi la causa degli oppressi, confonde le vittime con i
carnefici, crede di stare nel mezzo. Oggi costui si accorgerà forse di avere, nei
giorni di Monaco subito una manipolazione che lo ha portato a piangere le
stesse lacrime e trasudare la stessa indignazione dei cecchini di Baviera e dei
piloti di Dayan, dei macellai in nero e dei benpensanti a colori di tutto il
mondo. Anche se ora riscopre, più scientificamente, le colpe dell’imperialismo:
con meno emozione, tuttavia, perché la morte si armonizza al paesaggio
palestinese infinitamente meglio che alla Monaco olimpica.
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