Tra il '65 e il '66 in Indonesia si
consumò una delle peggiori stragi del XX secolo. L’esercito di Suharto
assassinò mezzo milione di militanti del Partito Comunista. Le conseguenze
furono enormi ma di quel massacro in Europa ben poco si conosce
Tra la fine del 1965 e il 1966 in Indonesia si consumò una delle peggiori
stragi del Ventesimo secolo. Nel giro di pochi mesi l’esercito guidato da
Suharto assassinò più di mezzo milione di militanti e simpatizzanti del Partito
Comunista Indonesiano, il più grande partito comunista al mondo al di fuori
degli Stati socialisti. Altri milioni di attivisti vennero arrestati e
trascorsero decine d’anni in prigione. Le conseguenze per il terzo paese più
popoloso del mondo e per il proseguo della Guerra Fredda furono enormi ma di
quell’immenso massacro in Italia ben poco si conosce. Basta dare uno sguardo
alla pagina Wikipedia sull’argomento, composta
da un solo capoverso, o al fatto che vi sia una sola monografia pubblicata in italiano,
ormai quasi irreperibile, scritta da Ennio Polito quasi vent’anni fa.
Nel 2018 Geoffrey B. Robinson, professore di Storia alla Ucla specializzato
nella violazione dei diritti umani nel Sud-Est Asiatico, ha pubblicato The
Killing Season. A History of yhe Indonesian Massacres 1965-66, un’opera
fondamentale che fa luce sugli aspetti preparatori, sulla realizzazione, sulle
conseguenze e sulle responsabilità di una delle pagine peggiori e meno note
della Guerra Fredda. L’autore ha risposto ad alcune domande di Jacobin
Italia.
Dopo più di cinquant’anni, i massacri del 1965-66 in Indonesia ancora sono
quasi del tutto sconosciuti in Europa. Anche tra attivisti di sinistra e per i
diritti umani, mentre le stragi commesse in Cile, Argentina e Cambogia sono
generalmente note, vi è una generale inconsapevolezza di ciò che accadde in
Indonesia. Tu stesso spieghi come i mezzi di comunicazione occidentali
dedicarono ben poche attenzioni al massacro anche quando si stava compiendo.
Che spiegazione ne dai?
Io credo che una spiegazione sta nel fatto che le vittime fossero militanti
e simpatizzanti del Partito Comunista. Nel pieno della Guerra Fredda, negli
Usa, Australia, Giappone e anche in Europa vi era una generale mancanza di
simpatia e empatia verso i comunisti e quindi la loro morte non solo non era
vista come una tragedia, ma forse addirittura come un fatto positivo. Pensa che
il 1965 è anche l’anno in cui cominciò da parte degli Usa l’escalation militare
nel Vietnam e quindi l’unico obiettivo era fermare, ad ogni costo, il
comunismo.
Il secondo fattore, che lo differenzia dai casi da te citati, è che a metà
degli anni Settanta si era sviluppata una forte rete transnazionale in difesa
dei diritti umani, indifferente a questioni ideologiche e a chi fosse la
vittima di abusi. Nel 1965 questa rete era ai primordi, non aveva le risorse e
la credibilità per farsi sentire.
Infine c’è il fatto che la gran parte della sinistra europea, invece di
denunciare e investigare i fatti, scelse di criticare il Pki per via della sua
tattica sbagliata. Il Pki si stava attestando su posizioni filo-cinesi e in
qualche modo il messaggio delle sinistre europee fu che la sua distruzione era
stata una conseguenza di tale scelta.
Dopo le elezioni parlamentari del 1955, nelle quali il Pki ottenne un
risultato positivo e inaspettato, l’Indonesia entrò nella fase della Democrazia
Guidata, nella quale il nazionalista Sukarno divenne Presidente a vita, le
elezioni parlamentari vennero sospese e dove elementi antagonisti (comunisti,
gruppi religiosi e esercito) furono costretti a cooperare. Per quale motivo il
Pki fu spinto ad accettare la strategia di Sukarno? E qual era invece la sua
durante la Democrazia Guidata?
Nel 1949 il Pki subì una prima pesante purga (il cosiddetto Incidente di
Madiun) e in tale situazione migliaia di quadri vennero
uccisi dall’esercito. All’inizio degli anni Cinquanta il partito era piuttosto
debole e la giovane leadership ideò una strategia nuova, tutta parlamentare e
che rinunciava a qualsiasi connotazione militare. Fino al 1965 funzionò: il Pki
ottenne risultati molto buoni alle elezioni politiche del 1955 e ancor di più a
quelle locali del 1957 e 1958. Soprattutto fu il più grande partito comunista
non al governo al mondo, con 3 milioni di iscritti e 20 milioni di sostenitori
in strutture parallele e con enormi capacità di mobilitazione. Tuttavia, la sua
popolarità fu legata anche a posizioni non propriamente comuniste, come il
nazionalismo e un legame sempre più forte verso Sukarno. Costui concesse al Pki
non solo sempre più spazio politico e ma anche protezione fisica davanti ai
nemici della destra. Tutto ciò fece pensare ai comunisti che il legame con
Sukarno gli avrebbe concesso ancora più spazio, anche se c’era una conseguenza:
il partito stava perdendo col tempo la forza di difendere, anche fisicamente, i
lavoratori e i contadini, i quali spesso si dimostravano più radicali del
proprio partito. Col tempo questo limite divenne noto anche ai propri
principali nemici.
Il genocidio del 1965-66 trova origine nel presunto e tentato colpo di
stato che un gruppo di generali del Movimento 30
Settembrerealizzarono il 1º ottobre 1965 e del quale venne
accusato il Pki. Al riguardo, John Roosa, autore di Pretext for Mass Murder,
ritiene che il partito fosse ignaro dell’organizzazione del golpe a eccezione
del leader D.N. Aidit e del capo della struttura clandestina Sjam. Sei
d’accordo con questa posizione?
Roosa apporta nuovi documenti su questo difficile tema. È possibile,
come dice lui, che uno, due o pochi altri dirigenti del Pki sapessero qualcosa
dell’azione del Movimento 30 Settembre. Tuttavia ho molti dubbi riguardo al
vero ruolo del capo della struttura clandestina del Pki, Sjam. Il suo
comportamento successivo al golpe, il buon trattamento ricevuto e il fatto che
abbia confermato interamente la versione dell’Esercito sui fatti del 1º ottobre
fa sospettare che lavorasse in combutta con esso. Ad ogni modo ancora non
possiamo dare una risposta definitiva su questo punto.
Ciò che importa veramente è che la gran parte dei dirigenti e dei militanti
del Pki non sapeva assolutamente nulla del presunto golpe. E anche nel caso in
cui Aidit avesse preso parte all’organizzazione di esso, niente giustifica
lontanamente gli atti di violenza commessi contro milioni di membri di un
partito legale. Questo è il punto fondamentale: in qualsiasi caso i massacri
commessi dall’Esercito sono ingiustificabili.
Riguardo al coinvolgimento degli Usa, si passa da posizioni come quelle dell’allora
Ambasciatore statunitense che scrisse che gli avvenimenti del 1º ottobre furono
per loro “un’assoluta
sorpresa”, a quelle dell’attivista e ricercatore David Johnson
che scrisse che quegli eventi furono “una creazione
della Cia”. Tu rifiuti entrambe queste posizioni.
Perché?
Che gli Usa siano stati presi di sorpresa dagli eventi del 1º ottobre e
dalla successiva campagna contro il Pki è assolutamente falso. Ci sono dozzine
di documenti che provano il contrario. Essi non solo furono coinvolti ma fecero
di tutto per assicurarne la riuscita e spinsero l’Esercito al compimento delle
stragi. Il coinvolgimento degli Usa si divide in due momenti, uno prima del
presunto golpe e uno successivo. Per dieci anni gli Stati Uniti fecero di tutto
per scatenare un intervento militare che abbattesse Sukarno e bloccasse
l’avanzata del Pki. Siamo oggi in possesso di documenti che provano che il
presunto golpe era esattamente ciò che avevano progettato e, a prescindere dal
fatto che l’abbiano organizzato loro, di certo ne posero le basi.
Come spiego nel libro, dopo i fatti del 1º ottobre, gli Usa sostennero
l’Esercito, lo incoraggiarono nella distruzione fisica del Pki, gli fornirono
aiuto economico, logistico e propagandistico – sempre in segreto perché un
sostegno aperto sarebbe stato improduttivo. Ma questo sostegno si realizzò solo
quando essi furono rassicurati del fatto che l’Esercito era impegnato a pieno
nel genocidio. Essi sapevano dei massacri, sapevano delle torture che si
stavano compiendo e decisero di restare in silenzio, che non corrisponde
affatto a una posizione neutrale. Gli Usa furono pienamente coinvolti in un
crimine contro l’umanità.
Tuttavia non credo che il Movimento 30 Settembre sia stata un’operazione
costruita dagli Usa, non credo che ne avrebbero avute le capacità. Pensare che
dietro a tutto ci siano sempre e solo gli Stati Uniti nega importanza agli
attori locali tra i quali, il più importante in quel caso, vi fu l’esercito
indonesiano.
Il Pki fu il più importante partito comunista in un paese non socialista.
Era ben organizzato e con un enorme sostegno popolare. Come fu possibile che
tale struttura non fu capace di organizzare una resistenza e trasformare il
colpo di Stato di Suharto in una Guerra civile?
È una domanda davvero importante. Ci sono due possibili risposte. La prima
sta nei limiti della linea parlamentare del Pki adottata nei primi anni
Cinquanta. Era impossibile, secondo i critici di allora, essere parte di un
movimento rivoluzionario senza avere una struttura armata. Si disse che le
mosse dell’esercito dovevano essere anticipate e che l’assenza di una strategia
militare e di un piano in caso di golpe sia tra le cause del suo fallimento.
La seconda possibile risposta è che una resistenza sì ci fu ma fu
concentrata in punti precisi e venne portata avanti non tanto dai militanti ma
dagli alleati del Pki, ovvero quei settori dell’esercito ad esso affine.
Tuttavia si dimostrò debole e Suharto li sconfisse velocemente. Cosa fece il
partito a livello locale? Semplicemente non venne informato. La rete di
comunicazione venne interrotta, le basi locali erano del tutto all’oscuro di
ciò che stava accadendo e, privi di una linea precisa, i militanti si
rivelarono scioccati, confusi, del tutto indifesi e incapaci di organizzare una
controffensiva. L’unico messaggio del centro fu quello di Sukarno, che parlava
invano della necessità di una soluzione politica. E in quel contesto
cominciarono a succedere cose strane. La polizia o l’esercito giungeva nei
villaggi e chiedeva chi fosse del Pki, che andavano portati via per la loro
protezione. In tanti alzarono il braccio: non avevano paura, erano membri di un
partito grande, legale e sostenitore del Presidente. Cosa potevano temere?
Altri spontaneamente si presentarono alle stazioni di polizia, ignari del loro
destino.
Sappiamo qualcosa delle ultime mosse del Pki? Provarono a condannare il
movimento 30 Settembre?
È poco chiaro. La leadership del Pki si fratturò subito dopo il presunto
golpe perché i dirigenti pensarono che sarebbero stati arrestati. Si divisero
per l’Indonesia e si nascosero e questa fu una scelta decisiva: appena il
Movimento 30 Settembre fu sconfitto, la leadership del Pki divenne irreperibile
da Giacarta, non erano più insieme per discutere e anche tra loro le
comunicazioni furono scarse. I pochi messaggi inviati erano molto generici, le
informazioni erano poco precise, dominava il caos.
Una cosa che provarono a fare era legare il proprio destino a chi era
ancora al potere. A Bali l’esercito era posto su posizioni di sinistra e questo
spiega che lì le stragi cominciarono con due mesi di ritardo rispetto a Giava.
Appena i vertici progressisti vennero rimossi e sostituiti da uomini di
Suharto, anche a Bali non vi fu nessuno in grado di proteggerli e le stragi
cominciarono anche lì.
Qual è stato l’effetto della scomparsa della sinistra nella vita sociale e
culturale dell’Indonesia?
Profondo. Dall’inizio del 20º secolo fino al 1965 la sinistra e
specialmente il Partito Comunista furono estremamente importanti nella vita
sociale e culturale dell’Indonesia e rappresentarono il centro del movimento
anticoloniale e indipendentista. Una tradizione politica e intellettuale
fondamentale per la società indonesiana di colpo sparì e le conseguenze furono
due: 1) la storia dell’Indonesia fu completamente falsata, negando alla
sinistra e al Pki qualsiasi ruolo positivo per la costruzione nazionale. Ancora
oggi c’è chi crede che quello comunista fu il partito del terrore e della
violenza, quello che uccise i generali il 1º ottobre del ’65 e non la vittima
di un terribile crimine; 2) rimuovendo la sinistra dalla società si è persa
un’intera maniera critica di pensare. L’Indonesia è stata privata degli
strumenti per realizzare una seria critica al capitalismo e all’ineguaglianza,
per reagire alla povertà e alle ingiustizie. Ciò ha creato un vuoto coperto dai
partiti populisti di destra, sinofobi, islamisti, ipernazionalisti e da gruppi
criminali che intimidiscono, corrompono e si inseriscono nella vita politica
indonesiana in nome della religione. In Indonesia manca una seria alternativa
alla destra.
La buona notizia è che negli ultimi vent’anni, soprattutto tra i giovani,
vi è una nuova voglia di conoscere la storia silenziata, di imparare di più
anche dalla tradizione politica della sinistra, di conoscere meglio la storia,
la politica, di leggere e imparare in modi diversi.
Nel Sud-America e in Spagna, dove vi sono stati massacri simili a quello
indonesiano, la sinistra non è scomparsa, vi sono stati forti movimenti contro
i governi militari di estrema destra e la memoria del passato è viva ancora
oggi. Perché ciò non è accaduto in Indonesia? Perché il silenzio e la paura
continuano a prevalere dopo più di cinquant’anni e non vi è un movimento
anti-establishment?
Un movimento anti-establishment non è del tutto assente. Vi sono piccoli
movimenti sparsi nel paese, composti da persone davvero coraggiose, anche tra i
familiari degli ex-prigionieri politici.
In Indonesia l’annientamento fisico della sinistra è stato talmente grande
che non si è riusciti a ricostruire una coscienza politica di sinistra. Mentre
in Argentina e Cile i militari hanno abbandonato il potere, lì dal 1965
l’esercito continua a essere chi davvero comanda, specialmente quando si parla
della memoria storica. E ora c’è una situazione in cui il livello di violenza è
stato talmente grande che vi sono tre generazioni che hanno vissuto nella paura
e hanno introiettato una sola visione dei fatti del 1965 e del ruolo del Pki.
Ancora oggi le persone sono terrorizzate nel parlare di questa vicenda e la
paura è talmente penetrata che l’esercito quasi non serve più per imporre una
visione. Tra l’altro vi sono organizzazioni anticomuniste che violentemente
attaccano chiunque provi a raccontare una versione diversa sui massacri del
1965, chi ancora cerca giustizia o chi realizza dissotterramenti delle vittime.
È interessante, infine, il paragone con la Spagna, da te citato. È un paese
dove la violenza e la repressione sono stati simili a quella indonesiana e dove
per molti anni hanno dominato il silenzio e la paura. In Indonesia il regime di
Suharto è caduto nel 1999 forse servono ancora molti anni prima che una nuova
generazione possa chiedere giustizia e fare i conti con i massacri del regime
militare, proprio come del tempo è stato necessario in Spagna.
Nell’ultimo capitolo del tuo libro dici che in certo modo i massacri
indonesiani mettono in discussione alcuni concetti della teoria dei genocidi.
In che modo?
In vari modi ma in due soprattutto. La prima riguarda l’idea per la quale
il genocidio è relegato a questioni etniche e religiose. In Indonesia vediamo
che questo non è vero. Questo crimine venne commesso sulla base di una
differenza politica e ideologica, non etnica. Vi è poi una seconda ipotesi, per
la quale il genocidio avvenne nella costruzione di una società utopica (come
nella Germania nazista, la Cina maoista o la Cambogia di Pol Pot). In Indonesia
vi è il genocidio e non vi è utopia. Le idee che prevalgono sono
l’anticomunismo, il militarismo e l’iper-nazionalismo.
Credo che il caso indonesiano ci dica che per compiere un genocidio ciò che
realmente è necessario sono l’iper-nazionalismo e il militarismo, ovvero una
cultura, una mentalità e una struttura organizzativa militare che permettano il
compimento del genocidio.
Oltre alle responsabilità dell’esercito (per te predominanti) e dei gruppi
musulmani come Nu, parli dei crimini commessi dal Partito Cattolico e dalla
Gioventù Cattolica sull’isola di Flores. In proposito, menzioni le violente
parole dell’Arcivescovo di Ende, Gabriel Manek, che invocò la “purificazione
della terra” dai comunisti. Quale fu la posizione del Vaticano su questo
genocidio? Vi è mai stata un’autocritica da parte della Chiesa indonesiana al
riguardo?
Domanda veramente buona. Non conosco la posizione del Vaticano ma so che
l’arcivescono di Ende era stato in Vaticano quello stesso anno e che la sua
posizione non fu isolata. Il Partito Cattolico dalla sua nascita fu
profondamente anticomunista e la Gioventù Cattolica partecipò attivamente alle
stragi. Oggi ci sono gruppi religiosi di diversi credi che analizzano
criticamente il proprio ruolo nei fatti del 1965-66. Non conosco la posizione
ufficiale del Vaticano ed è un tema che varrebbe la pena studiare.
*Geoffrey B. Robinson, professore di Storia alla Ucla specializzato nella
violazione dei diritti umani nel Sud-Est Asiatico, ha pubblicato The Killing Season. A
History of yhe Indonesian Massacres 1965-66. Nicola Tanno è laureato in
Scienze Politiche e in Analisi Economica delle Istituzioni Internazionali
presso l’Università Sapienza di Roma. Vive e lavora da anni a Barcellona, in
Spagna.
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