È strano raccontare l’ultimo anno di vita nelle
carceri italiane partendo da un dato che a prima vista sembra contraddittorio,
inspiegabile, illogico. Eppure il sistema penale e quello penitenziario non di
rado si sottraggono alla logica e alla razionalità. Le presenze in carcere –
oggi vi sono nelle prigioni italiane poco meno di 61 mila persone – sono
aumentate di ben 3 mila unità nell’ultimo anno e di circa 8 mila unità rispetto
al 2015, così avvicinandosi pericolosamente a quei numeri che ci portarono alla
vergogna di una sentenza di condanna della corte europea dei diritti umani per
violazione di quell’articolo 3 che vieta, oltre alla tortura, anche i
trattamenti inumani, crudeli e degradanti. Una crescita nei numeri penitenziari
che non trova però spiegazione in un corrispondente aumento degli indici di
criminalità.
Tutti i reati sono in calo, e non da oggi. Finanche i
crimini più odiosi sono meno che in passato. Negli ultimi dieci anni, ad
esempio, sono notevolmente diminuiti gli omicidi (da circa 600 a 350 l’anno)
mentre nello stesso periodo è cresciuto il numero degli ergastolani, dai 1.408
del 2008 ai 1.748 odierni. Anche il numero degli stranieri detenuti è diminuito
sia in termini assoluti (circa mille in meno) che percentuali rispetto al 2008.
Dunque come spiegare questa apparente contraddizione?
Chiunque ha a che fare con le galere sa che non
necessariamente esiste una corrispondenza tra indici di delittuosità e tassi di
detenzione. Questi ultimi hanno risposte complesse e dipendono da molti
fattori. Ecco tre possibili spiegazioni.
La prima è data dalla lunghezza delle pene irrogate.
Evidentemente c’è un irrigidimento dei giudici in fase di procedimento. Per
fatti analoghi, o anche meno gravi rispetto al passato, si infliggono pene più
lunghe.
La seconda spiegazione è data dalla riduzione della
concessione della liberazione anticipata. Negli ultimi cinque anni vi è stato
un aumento vertiginoso delle sanzioni disciplinari nei confronti dei detenuti.
I soli isolamenti disciplinari inflitti, con tutto il loro carico di dolore
psico-fisico, sono aumentati dai 207 del 2013 ai 2.367 del 2018.
Ad ogni sanzione disciplinare consegue quasi
automaticamente, purtroppo, la negazione della liberazione anticipata da parte
della magistratura di sorveglianza. Dunque un detenuto che avrebbe potuto
conseguire 45 giorni di sconto sulla pena per ogni semestre di carcere espiato,
a seguito della sanzione subita (anche per fatti irrilevanti) perde questa
possibilità e così le detenzioni si allungano.
La terza spiegazione è data dalla tipologia di
detenuti che entra nel circuito penitenziario.
Sempre più si tratta di persone che portano con sé
storie di esclusione sociale, di marginalità o di disagio psichico. Persone che
hanno scarse risorse economiche e dunque ridotte opportunità di difesa tecnica
e di accesso alle misure alternative. Quando i numeri crescono inevitabilmente
in galera si tende a stare peggio.
Come si potrà mai vivere in carceri come quelle di
Como e Taranto dove la percentuale di sovraffollamento è del 200% o a
Poggioreale a Napoli dove vi sono 731 detenuti in più rispetto alla capienza
regolamentare? Non è solo una questione di spazi. È anche una questione di
opportunità di socializzazione, di qualità della vita, di occasioni educative.
Il quindicesimo rapporto di Antigone sulle carceri,
non a caso, è stato titolato «Le carceri secondo la Costituzione». Un carcere
privo di vita e di socialità, dove si è costretti a stare in cella per venti o
addirittura ventidue ore al giorno, è un carcere non costituzionale in quanto
lesivo della dignità umana. Mauro Palma, garante nazionale delle persone
private della libertà, in apertura del suo intervento alla presentazione del
rapporto in Senato, ha letto una lettera di un detenuto che rinunciava agli
studi universitari perché di fatto gli veniva impedita la possibilità di
studiare. Questa è una forma di illegalità costituzionale. Tutti coloro che si
fanno paladini della legalità nella vita libera devono sapere che non esistono
due o più legalità. La legalità è una. Così come vale fuori dal carcere, vale
anche dentro.
PATRIZIO GONNELLA
Associazione Antigone
Associazione Antigone
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