Via i neofascisti dal Salone
del Libro. Abbiamo vinto. Ecco alcune cose da imparare per la prossima volta.
[Attenzione: articolo aggiornato
il 10 maggio 2019 alle h.13:20. Gli otto punti adesso sono dieci.]
L’antifascismo
ha ottenuto un risultato importante, che farà precedente: Casapound è fuori dal
Salone internazionale del libro di Torino. Aprire la contraddizione è servito,
eccome se è servito. Dare un segnale chiaro è stato determinante.
Grazie a tutte e tutti quelli che, insieme a noi, lo hanno dato.
Eppure nei
giorni scorsi il dibattito ha avuto momenti molto tossici e, nel vortice di
“voltairismi” d’accatto, pseudo-obiezioni, diversivi, sfondoni e hashtag
malissimo concepiti, pochi speravano nel buon esito della lotta.
Abbiamo
compilato, come strumento utile per il futuro, un glossario di equivoci e
malintesi rimbalzati sui giornali e sui social media, dopo l’annuncio che non
avremmo partecipato al Salone per non condividere quello spazio con un editore
fascista.
Ne abbiamo
individuati otto dieci, che a nostro
avviso raccontano qualcosa sull’Italia dei libri, su come oggi viene percepita
e percepisce se stessa. E forse anche qualcosa di più.
1. «Libertà di espressione»
Credere
nella libertà d’espressione non significa considerare ogni espressione
equivalente a qualunque altra. Ci sono idee alle quali non si può concedere la
dignità del dibattito, perché rappresentano la negazione di ogni dibattito – e
lo hanno dimostrato in mille occasioni. Non si può concedere spazio a chi
difende e inneggia al nazifascismo, perché non si tratta di una semplice
«idea», della quale discettare belli comodi, seduti sul divano. Nelle strade i
fascisti ancora prevaricano, bastonano e uccidono. Per questo vanno tenuti
fuori dalla porta e gli va conteso il terreno oltre quella
porta.
Non può
esserci alcun confronto con chi diffonde odio per una parte della specie umana
e fa della violenza sui deboli la cifra del proprio predicare e agire. Questo a
prescindere da quanti e quali reati costoro possano avere commesso in nome di
certe idee. Lo abbiamo detto e non siamo stati i soli: il problema non è
legale, ma politico e culturale. Per affrontarlo non serve un magistrato, ma
determinazione e senso di responsabilità.
Forti della
vittoria ottenuta a Torino, gli organizzatori di feste del libro, rassegne,
kermesse e fiere editoriali vanno messi di fronte alla necessità di scegliere:
se vuoi dare spazio a un editore fascista, non avrai autori antifascisti, né
sopravvissuti all’Olocausto o vecchi partigiani. La cultura non si può piegare
al modello del supermercato, dove puoi trovare tutto, dal biologico all’OGM,
dalla frutta esotica al Km Zero. La scelta deve farla chi organizza e non
soltanto il consumatore. Perché i libri e la cultura non sono una merce
qualsiasi e diffondere certi contenuti comporta delle conseguenze.
2. Lezioni di antifascismo
Il nostro è
stato un gesto unilaterale e non abbiamo mai detto o pensato che fosse l’unico
efficace nella battaglia antifascista. Il movimento No Tav ci ha insegnato che
ogni forma di lotta è legittima, purché non danneggi quella degli altri. Chi
vuole pregare, prega. Chi vuole tagliare le reti di un cantiere, le taglia. Se
le questioni tattiche monopolizzano la discussione, si finisce per perdere di
vista gli obiettivi strategici. Disquisire se sia più «culturalmente efficace»
andare o non andare a Torino ha rischiato di far uscire dal mirino i veri
bersagli, cioè la presenza di Altaforte al Salone e le responsabilità del
comitato d’indirizzo.
Una
scrittrice o scrittore va al Salone per fare il proprio lavoro: presentare un
libro. Dunque la nostra azione è stata simile a uno sciopero politico, una
forma di lotta e di protesta che vanta una consolidata tradizione. Proprio
perché con i fascisti non si dialoga, il destinatario della nostra azione non
era Altaforte, ma il comitato di indirizzo del Salone, che aveva permesso a
costoro di acquistare uno stand, quando avrebbe potuto benissimo escluderli
dalla fiera fin dal principio.
Per farlo,
non aveva certo bisogno di una sentenza per apologia di reato. Ci sono molte
amministrazioni comunali, compresa quella di Torino, che per concedere sale,
spazi e suolo pubblico chiedono una dichiarazione scritta di antifascismo, in
nome della Costituzione italiana. Non è certo un’arma fine-di-mondo, ed è
facile aggirarla, ma quantomeno dimostra che si può evitare di offrire a certi
soggetti un comodo palcoscenico.
Ecco perché
abbiamo indetto lo sciopero, e accusare chi sciopera di abbandonare il campo di
battaglia è una stupidaggine che si commenta da sé. Ma abbiamo dovuto sentire
anche questo, e da parte di colleghe e colleghi che evidentemente si sentono in
diritto di dare lezioni agli altri. Ci spiace, ma va detto: non è stato grazie
a loro che si è vinta questa lotta.
3. «L’Aventino»
Per alcuni
la scelta nostra e di chi come noi ha annunciato il proprio ritiro dal Salone
equivaleva a una «secessione dell’Aventino», e quindi a un errore, visto che
l’abbandono del parlamento da parte di alcuni deputati nel 1924 non indebolì il
regime fascista.
Innanzitutto,
è bene sottolineare che il problema della secessione aventiniana non fu la
secessione stessa, bensì il suo scarso tempismo: Mussolini era già andato al
potere con la violenza e i brogli e aveva già svuotato il parlamento di ogni
significato. La mossa non poteva che concludersi in un insuccesso.
Detto
questo, ci tocca ricordare che il Salone del libro di Torino non è il
parlamento della repubblica democratica dei lettori, la quale si riunisce in
tanti altri luoghi e circostanze. Il Salone è un evento importante, senza
dubbio, ma copre solo cinque giorni all’anno e non è certamente l’unico
presidio culturale antifascista – anzi: ci sono fronti ben più attivi e più
avanzati. Chi ha chiamato in causa l’Aventino, scambia – o finge di scambiare –
il Salone per il mondo intero e il mondo intero per un Aventino.
4. «Dare ai fascisti questa visibilità significa far
loro un favore.»
Quanto detto
sopra, dimostra che nel combattere il fascismo è necessario, come in tante
altre lotte, agire per tempo. Parlare di un fenomeno preoccupante quando è già
diffuso, significa farlo quando è troppo tardi. Chi non conosceva Altaforte e
la galassia dell’editoria nera dovrebbe ringraziare quanti l’hanno additata
all’attenzione degli antifascisti. Anche perché molte realtà dell’estrema
destra amano giocare a nascondino: si presentano davanti agli ipermercati per
raccogliere cibo per i poveri, salvo poi distribuirlo con criteri razzisti e
buttare fuori di casa rom e stranieri. Dare loro visibilità non è affatto
fargli un favore.
La
situazione a cui siamo giunti in questo paese è il risultato dell’atteggiamento
lassista di chi per anni ha guardato con sufficienza all’antifascismo
militante, come fosse qualcosa di residuale e superfluo, suggerendo piuttosto
di ignorare i fascisti, visti come fenomeno nostalgico e folkloristico. Ed ecco
che da qualche anno i fascisti flirtano con chi sta al governo. Altaforte
pubblica un libro intervista con il ministro dell’Interno e fa riferimento a
una forza politica che si presenta alle elezioni. La regione Veneto, di
recente, ha acquistato per le scuole centinaia di copie di un fumetto inguardabileprodotto da Ferro Gallico,
un’altra casa editrice neofascista, distribuita da Altaforte.
Anche se non
stiamo parlando di grandi numeri, costoro godono di appoggi politici e mettono
in atto le loro strategie indipendentemente dalla visibilità – e in certi casi,
proprio grazie all’indifferenza generale.
La mappa delle aggressioni di matrice fascista, su e
giù per la Penisola, mostra come la violenza di strada faccia parte del
repertorio “retorico” di questa gente, pronta a metterla in atto senza troppe
remore.
5. «Mentre voi vi occupate di questo, Casapound si
prende le periferie!»
Altra fallacia
logica. Occuparsi di una cosa non significa ignorarne un’altra. La battaglia
antifascista si conduce su più fronti. Cioè su tutti i fronti. E non c’è
bisogno di ricordare quali e quanti sono quelli che abbiamo frequentato, in
oltre vent’anni di lavoro politico e culturale.
6. Mi si vede di più se vado o se non vado?
Per alcuni
particolarmente dediti a scimmiottare le prese di posizione altrui la questione
si riduce al celebre quesito “morettiano”, non ci sarebbe alcuna sostanza in
questa protesta, sarebbe soltanto una gara tra scrittori a chi si fa notare di
più. Sminuire i termini del dibattito è l’argomento salva-coscienza per
qualunque immobilista paraculo: chi fa, lo fa per farsi vedere. E allora tanto
vale non fare niente, o tutt’al più pontificare e tirare frecciatine dalle
pagine di qualche quotidiano o blog.
Praticamente il secondo sport nazionale.
Praticamente il secondo sport nazionale.
7. Giammai accodarsi a Wu Ming!
Inutile
nasconderselo: per alcuni il malcelato problema è stato chi ha aperto le danze.
O anche l’eventualità stessa di accodarsi a chicchessia, guai a passare per
gregari. Men che meno gregari di quei “cinesi”… Forse per questo il primo ad
“accodarsi” è stato un signore che di queste menate può farsene un baffo, Carlo Ginzburg.
Tuttavia,
proprio perché sappiamo di stare sulle balle a molti, non abbiamo promosso
azioni collettive, boicottaggi o grandi campagne. Abbiamo voluto soltanto porre
una questione, con uno degli strumenti che abbiamo a disposizione.
8. Individualisti & divisivi?
Qualcuno ci
ha scritto che avremmo fatto meglio a concordare con altri una linea comune. Quali altri? Non esiste un’assemblea
permanente degli scrittori, i quali sono un paradossale branco di cani sciolti,
spesso fin troppo intenti a cullare le loro malattie professionali, come il
narcisismo e la voglia di distinguersi, per poter condividere una presa di
posizione forte. In questo frangente ogni scrittore, editore, addetto ai
lavori, ha scelto in coscienza come comportarsi e quali gesti mettere in atto.
Ed è giusto così. Ci sono azioni che hanno senso solo se sono collettive e
altre che si possono fare anche da soli, specie quando la risposta da dare è
urgente e non c’è modo di organizzarsi meglio.
Noi non
abbiamo linee di condotta da dettare ai colleghi. Siamo consapevoli che col
nostro atto di sottrazione abbiamo spinto altri a scegliere. Li abbiamo
costretti a schierarsi, a prendere posizione, ciascuno con le proprie parole e
sfumature di discorso. Ben venga. Che gli scrittori si schierino non può far
loro che bene.
Di sicuro ha
fatto bene alla causa antifascista.
Oggi
Casapound ha uno spazio di meno da inquinare.
Lo
sdoganamento dei camerati nel mondo culturale ha subito un’importante battuta
d’arresto.
E adesso,
metro dopo metro, vanno ricacciati indietro.
Vanno
cacciati non solo dai festival letterari, ma dalle strade, dai quartieri, dalle
città.
⁂
P.S. Per chi vorrà incontrarci al Salone, saremo là
domenica 12 maggio, alle ore 11:30, Sala Bronzo, per la
presentazione de Il fabbro di Oxford (Eterea
Edizioni)
⁂
ADDENDUM DEL 10 MAGGIO: I PUNTI 9 E 10
9. «Duri e puri»
Chi aveva
annunciato lo sciopero contro il Salone del Libro, oggi viene accusato di aver
assunto una posizione da «duro e puro», salvo poi avere la contraddizione X,
l’incoerenza Y.
È uno schema
retorico molto comune. Si va dal vegano e gli si dice: «Eh, tu non mangi carne,
ma in realtà è dimostrato che nel processo di produzione della farina vengono
uccisi migliaia di insetti, per non parlare di quelli che ti mangi con
l’insalata».
In realtà,
la nostra non era affatto una posizione «dura e pura», ma una forma di lotta
piuttosto scontata, addirittura banale. Questo non significa che tutte le
contraddizioni si debbano affrontare allo stesso modo. Abbiamo scritto fino allo sfinimento intorno al
nostro pubblicare per una casa editrice di proprietà della famiglia Berlusconi.
In quel caso, abbiamo scelto di restare «dentro», per ragioni ben precise e
discusse coram populo, mentre nel caso del Salone abbiamo scelto di stare
«fuori». Ma questa tra il «dentro» in una situazione e il «fuori» in un’altra
non è un’ulteriore contraddizione. Semplicemente, problemi diversi si devono
affrontare in maniera diversa.
La mentalità
del «duro e puro» finisce quindi per averla proprio chi accusa gli altri di
assumere quella posizione. Da chi rifiuta compromessi in una situazione si
pretende la “purezza” di rifiutarli in qualunque ambito, senza distinzioni.
Per
noialtri, già andare al Salone è un compromesso: prima del 2017 noi non eravamo
mai stati nel programma del Salone come relatori. Ci eravamo andati nel 1999
per assistere di nascosto a una delle fasi del Premio Strega – in
quell’occasione scrivemmo un breve resoconto – e nel 2004 per
sostenere la campagna di Greenpeace «Scrittori per le foreste». Quella kermesse
ci sembrava soltanto un grande mercato, poco interessante per un autore che
voglia davvero incontrare lettori e lettrici. Abbiamo cominciato a partecipare
nel 2017, come atto di fiducia nel nuovo corso diretto da Nicola Lagioia. E un
contributo a quel nuovo corso, nel nostro piccolo, in questi tre anni lo
abbiamo dato.
Come si vede, nessuna purezza da sbandierare.
Come si vede, nessuna purezza da sbandierare.
10. «I fasci esultano, quindi hanno vinto!»
Esercizio
critico: chiedetevi come mai stiano esultando («successo d’immagine!») e
frignando («ci censurano!») allo stesso tempo.
L’esultanza è la posa che devono mantenere, il piagnucolio è la loro vera cifra.
L’esultanza è la posa che devono mantenere, il piagnucolio è la loro vera cifra.
Detto
questo: per quale motivo a noialtri dovrebbe fregare qualcosa se i fascisti
comprano libri fascisti?
Risposta:
per nessun motivo. Noi dobbiamo curarci di tutt’altro: di sbatterli fuori dagli
spazi che fin qui si sono presi e che in molti casi gli sono stati
semplicemente regalati, offerti su un piatto d’argento, spesso da chi oggi
sostiene che vendono i loro libri grazie a chi li contrasta. Dobbiamo liberare
dalla loro presenza gli spazi di vita comune. Ormai fanno i presidii di
intimidazione nell’androne di casa, vogliamo aspettare che buttino giù la
porta?
Inoltre,
stiamo parlando di un libro-intervista con il Ministro dell’Interno e
segretario di uno dei principali partiti italiani. Roba che qualche migliaio di
copie lo vende di default. Sarebbe diventato il titolo più venduto di Altaforte
a prescindere da qualsiasi ulteriore pubblicità. E in Italia, dove si
acquistano pochissimi libri, mille copie in più (su sessanta milioni di
abitanti) fanno la differenza.
Più nello
specifico: quando vi fermate a pisciare in autogrill e vedete uno di quei libri
con la fascetta gialla o rossa, di un editore minuscolo, che strilla in
caratteri da grafico dilettante «100.000 copie vendute!» , «15 ristampe!», «Un
successo internazionale grazie al passaparola», voi ci credete? Perché
d’accordo, se ci credete allora potete credere anche a Francesco Polacchi,
quando dice che tutta questa storia gli ha portato un grande beneficio e sta
vendendo carrettate di copie dei suoi libri. Ma se in autogrill esercitate il
minimo sindacale di spirito critico, perché non fate altrettanto in questa
situazione?
Dice: «Ho le
prove! Su Amazon il libro di Salvini è schizzato ai vertici della classifica
dei bestseller!». Sì, ma sarebbe bene, prima di strombazzare certi risultati,
avere una minima idea di come funzionano le classifiche su Amazon. Ad esempio,
una clausola come questa:
«La classifica
di libri con una cronologia di vendite consistenti che sono stati disponibili
su Amazon per un lungo periodo può subire variazioni minori rispetto alla
classifica di nuovi libri o di libri la cui cronologia di vendita non è
stabile. La singola vendita di un libro molto popolare potrebbe non influire
sulla sua classifica, ma la vendita di un libro con un volume minore potrebbe
migliorare in maniera significativa la classifica di tale libro.»
Traduzione:
se un libro che ieri ha venduto 2 copie oggi ne vende 30 sale in classifica più
di un libro che ieri ne ha vendute 200 e oggi ne vende 90. Già solo questo
dovrebbe rimettere in prospettiva il «grande ritorno» che la vicenda Salone
avrebbe avuto per Altaforte. Oltretutto, non stiamo parlando dell’intero
catalogo, ma di un solo libro.
Infine, va
fatto notare che non si tratta di reali dati di vendita su cui discutere,
perché Amazon non fornisce cifre ma solo posizionamenti relativi, decisi
dall’algoritmo dell’azienda stessa e non verificabili da terzi.
Tutto molto
opaco, insomma, e nell’opacità i fascisti ci sguazzano. Evitiamo di sguazzarci
anche noi, cadendo nelle loro trappole. Chiarezza di idee e posizioni, spirito
critico, rigore e pazienza: siano queste le nostre armi.
Cosa pensate di risolvere? - Francesco Giorgioni
E cosa pensate di risolvere, disertando una manifestazione letteraria
perché non volete condividere gli spazi con un editore fascista?
Se questo dev’essere il principio, non dovremmo più entrare in una chiesa, in un bar o dal barbiere, dovremmo star lontani dalle piazze e dagli stadi.
I fascisti non sono una forza aliena arrivata da Marte. Sono sempre stati tra noi, solo che prima si vergognavano ad ammetterlo.
Per “tra noi” intendo nei nostri paesi, nelle nostre strette cerchie di amici, nelle nostre case.
Ascoltate i discorsi ai matrimoni, alle cene di Natale, alle feste di battesimo. Fascismo, oggi, non è mostrare dei simboli del ventennio, per provocazione o ricerca dell’attenzione. Non mi preoccupano tanto questi patetici rigurgiti, tutt’al più un maldestro tentativo di trovare una pezza ideologica alla propria banalità.
Oggi fascismo è lo smantellamento violento della complessità della politica.
Oggi fascismo è ruspa al posto della democrazia.
Fascismo è risolvere tutto con una pistola in casa, augurare la putrefazione in galera, non aspettare le condanne per condannare, istituzionalizzare la vendetta, respingere a cannonate tutto ciò che è diverso o lontano.
Fascismo è vedere un malfattore, un ladro o un corrotto in ogni politico che si appelli alla Costituzione.
Oggi fascismo è, per quanto bizzarro e paradossale appaia, dire sempre quel che la maggioranza della gente vuole sentire, prima che la riflessione subentri: non abbiamo tempo per la democrazia.
Che ci piaccia o no, con questa gente dobbiamo conviverci. Non solo nei saloni del libro, ma anche nel soggiorno di casa.
Fuggire da loro significa rinunciare al confronto o forse rivela un complesso d’inferiorità, un’ammissione di inadeguatezza al confronto stesso.
Dividere il mondo in paratie stagne è un nuovo passo verso una guerra civile.
Una guerra di lontananza e di silenzi, mentre l’unico strumento per vincerla sarebbero proprio le parole dette nel chiuso della stessa stanza.
A voi scrittori e intellettuali si chiede pensiero e partecipazione, non aventini.
Se questo dev’essere il principio, non dovremmo più entrare in una chiesa, in un bar o dal barbiere, dovremmo star lontani dalle piazze e dagli stadi.
I fascisti non sono una forza aliena arrivata da Marte. Sono sempre stati tra noi, solo che prima si vergognavano ad ammetterlo.
Per “tra noi” intendo nei nostri paesi, nelle nostre strette cerchie di amici, nelle nostre case.
Ascoltate i discorsi ai matrimoni, alle cene di Natale, alle feste di battesimo. Fascismo, oggi, non è mostrare dei simboli del ventennio, per provocazione o ricerca dell’attenzione. Non mi preoccupano tanto questi patetici rigurgiti, tutt’al più un maldestro tentativo di trovare una pezza ideologica alla propria banalità.
Oggi fascismo è lo smantellamento violento della complessità della politica.
Oggi fascismo è ruspa al posto della democrazia.
Fascismo è risolvere tutto con una pistola in casa, augurare la putrefazione in galera, non aspettare le condanne per condannare, istituzionalizzare la vendetta, respingere a cannonate tutto ciò che è diverso o lontano.
Fascismo è vedere un malfattore, un ladro o un corrotto in ogni politico che si appelli alla Costituzione.
Oggi fascismo è, per quanto bizzarro e paradossale appaia, dire sempre quel che la maggioranza della gente vuole sentire, prima che la riflessione subentri: non abbiamo tempo per la democrazia.
Che ci piaccia o no, con questa gente dobbiamo conviverci. Non solo nei saloni del libro, ma anche nel soggiorno di casa.
Fuggire da loro significa rinunciare al confronto o forse rivela un complesso d’inferiorità, un’ammissione di inadeguatezza al confronto stesso.
Dividere il mondo in paratie stagne è un nuovo passo verso una guerra civile.
Una guerra di lontananza e di silenzi, mentre l’unico strumento per vincerla sarebbero proprio le parole dette nel chiuso della stessa stanza.
A voi scrittori e intellettuali si chiede pensiero e partecipazione, non aventini.
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