lunedì 13 maggio 2019

La storia sarda fa discutere, viva la storia sarda (dentro e fuori dalla scuola) - Omar Onnis




La questione storica e storiografica in Sardegna è una materia particolarmente sensibile.
Dopo una fiammata il mese scorso (su cui avevo provato a dire qualcosa qui), è di questi giorni la discussione sull’inserimento della storia sarda nei programmi scolastici della scuola pubblica italiana.
Tutto è partito da una petizione degli organizzatori della mostra interattiva “Nuragica”.
L’intento è di sensibilizzare e possibilmente convincere il Ministero competente a inserire la storia della civiltà protostorica sarda nei programmi scolastici italiani.
A questo appello sono seguite diverse adesioni, ma senza un dibattito adeguato.
Dibattito che è stato lanciato invece da un articolo dell’Unione del 7 maggio u.s. (che non riproduco per questioni di copyright), in cui si chiamavano a commentare la faccenda esponenti del mondo culturale e politico.
Fin qui tutto bene. Anzi, si potrebbe dire “era ora!”.
Senonché, vuoi per la sintesi inevitabile dell’articolo, vuoi per i facili fraintendimenti che nascono dall’affrontare una questione simile partendo da punti di vista diversi, la cosa è rapidamente degenerata in una vacua polemica social.
Da un lato chi difende il diritto dei sardi a conoscere la propria storia anche e soprattutto tramite la scuola, dall’altro chi fa notare che pretendere questo risultato dalla scuola italiana e addirittura dal Ministero competente sia sbagliato e/o incongruo.
Partirei dalla prima questione: inserire la protostoria sarda nei programmi scolastici italiani.
Qui c’è già un grosso nodo che andrebbe sciolto prima di proseguire nell’analisi.
Dico la mia sul punto: questa pretesa e la relativa petizione non hanno alcun senso.
Ci sono due ordini di problemi, sulla faccenda.
Il primo è che i programmi della scuola italiana sono programmi della scuola… italiana. Ossia, come ha sottolineato lo storico Giampaolo Salice nelle sue risposte sull’Unione, sono programmi didattici volti a formare il “cittadino italiano”, tramite (anche) la conoscenza della storia “italiana”.
Possiamo discutere se esista una storia propriamente “italiana” prima che esistesse l’Italia e chi e cosa dovrebbe farne parte.
In ogni caso, per quanto mi riguarda, fino almeno a metà Ottocento, la Sardegna non dovrebbe esservi contemplata se non occasionalmente. Come del resto avviene già.
Del resto è del tutto ovvio e persino legittimo che uno stato formi i propri cittadini sulla base di una ricostruzione storica orientata.
È un fatto eminentemente politico. Sempre. Che riguardi l’Italia, la Francia, il Regno Unito, la Spagna o o chiunque altro.
Caso mai ci sarebbe da rispondere a Giampaolo Salice, quando si chiede se la battaglia sulla civiltà nuragica nella storia italiana sia più politica che culturale, che sì, è ovviamente una battaglia politica.
Ed è normale che lo sia.
Andrebbe discusso se questa pretesa abbia senso o no.
E qui entra in ballo il secondo ordine di problemi.
Pretendere che la protostoria e la storia sarda antica entrino di diritto e come elementi di peso nel novero delle civiltà che costituiscono la “storia italiana” non è un affare da poco e non è per nulla scontato.
Si tratta di pretendere che tramite lontane glorie passate la Sardegna sia legittimamente accolta tra le componenti costitutive del senso comune e dell’immaginario collettivo italiano.
A quale scopo? A scopo di maggiore integrazione.
Il vecchio pallino di una parte consistente dell’establishment affaristico, politico e intellettuale sardo dalla Perfetta Fusione in poi.
Per altro acquisito e fatto proprio dallo stesso sardismo.
Essere riconosciuti come italiani, sia pure speciali, fin da tempi lontani è una vecchia fissazione della nostra classe dominante.
Naturalmente, dal punto di vista storico, è una stupidaggine.
Beninteso, è giusto che la civiltà sarda protostorica sia conosciuta da tutti gli studenti italiani e possibilmente anche da una platea più vasta di discenti, dato che si tratta di una delle maggiori espressioni di civiltà dell’Età del bronzo mediterranea.
Ma questo in qualche misura accade già. Si potrebbe pretendere che migliori la qualità delle informazioni veicolate (di solito pessima, nella manualistica in uso in Italia), non molto di più.
Per di più, enfatizzando con tanta ostinazione il periodo nuragico si fa un enorme torto a tutto il resto della lunghissima storia dell’isola.
Si fa un torto soprattutto alle vicende che ne hanno segnato le sorti in epoche molto più vicine a noi e che in buona misura costituiscono le premesse del nostro presente.
Qui subentra un altro problema.
Il diritto di conoscere la nostra storia è un diritto fondamentale dei sardi. Ma siamo sicuri che spetti alla scuola pubblica di stretta dipendenza ministeriale (dunque centralista e inevitabilmente italo-centrica) il compito di soddisfarlo?
Quanto può entrare, a quale titolo e con quale peso la storia sarda nell’organizzazione del sapere italiana?
C’è un bel groviglio da sbrogliare. Lanciare petizioni per inserire la storia nuragica nei programmi scolastici italiani non solo non aiuta nell’impresa, ma contribuisce ad aggrovigliare ancora di più la matassa.
Una storia sarda “istituzionalizzata” esisterà se e quando avremo un’organizzazione del sapere tutta nostra, ossia, in particolare, se e quando il sistema dell’istruzione pubblica in Sardegna sarà autonomo da quello dello stato centrale (almeno in parte).
O, ovviamente, se e quando la Sardegna avrà un suo ordinamento statuale indipendente a cui sarà incardinata la sua scuola pubblica.
Non c’è molto da aggiungere, su questo aspetto.
E non voglio nemmeno tornare sugli aspetti ulteriori della faccenda, quelli che chiamano in causa la creazione di “miti delle origini” da cui far discendere rivendicazioni “identitarie” di dubbia natura politica. Del resto, ho già detto la mia in materia.
La cosa che dovrebbe preoccuparci è molto più pratica che teorica: come mettere in contatto i discenti sardi e chiunque altro voglia conoscere la storia dell’isola e delle sue genti con i contenuti che la riguardano.
E sottolineo che sto parlando di storia, non di ipotesi tutte da validare e verificare. Tanto meno sto parlando di mitologia.
Per evitare fraintendimenti e manipolazioni, oltre alle nozioni, la cosa che va insegnata è il metodo storico. Lo dico da tempo e sono contento di non essere da solo.
Il metodo storico è uno strumento analitico e critico potentissimo, valido anche per affrontare la mole di informazioni da cui siamo quotidianamente bombardati.
Verifica e confronto delle fonti, immedesimazione, sguardo ampio, sospensione del giudizio, dubbio sistematico, consapevolezza della perfettibilità e persino falsificabilità delle conoscenze raggiunte, ecc.
Più che sul mero nozionismo (male atavico della scuola italiana), bisognerebbe puntare sul discorso metodologico, dunque.
Dopo di che, dato che la conoscenza storica è comunque un fattore culturale e civile di peso, è del tutto legittimo che si debbano cercare strade opportune ed efficaci per consentirla a tutti i sardi, a partire dalla scuola.
E qui torniamo appunto al lato pratico della questione.
Lato pratico a cui qualcuno ha già pensato di mettere mano *facendo qualcosa*, anziché parlarne e basta.
Mi riferisco in particolare al collettivo La Storia Sarda nella Scuola Italiana, che da anni lavora a produrre, in termini professionali, materiali didattici immediatamente e gratuitamente utilizzabili.
È un esempio concreto. So che ci sono altre esperienze, più localizzate o estemporanee, analoghe a questa.
Non bisogna temere la passione diffusa dei sardi per la propria storia. È sì una faccenda delicata, ma nasce da un’esigenza vera, non ideologica o necessariamente “identitaria”. È un diritto, prima di tutto.
La risposta a tale richiesta deve venire da diversi soggetti, ognuno per la propria parte di competenze e di responsabilità.
Direi prima di tutto dall’ambito storico accademico, che deve essere consapevole del suo delicato ruolo di intermediazione.
Pur facendo parte dell’organizzazione del sapere italiana e dei ruoli organici ad essa, dall’altra parte deve anche rispondere a una collettività storica a cui comunque appartiene, in cui agisce, produce saperi e senso comune.
Naturalmente, non bisogna mai cedere alla tentazione di riscrivere la storia “a tesi” (tentazione a cui a volte proprio l’ambito accademico ha ceduto, bisogna dire).
Nell’insieme, è doveroso rilanciare il dibattito pubblico su questi temi.
Il dibattito va affrontato e va alimentato, non rifuggito.
Ma vanno anche mantenuti una onestà intellettuale e un senso di responsabilità se possibile più forti del solito, data la delicatezza della materia.
Per questa serie di ragioni non ho firmato né firmerò la petizione per l’inserimento della storia nuragica nella scuola italiana, ma continuerò a battermi per la diffusione e la divulgazione della storia sarda.
Confido che la discussione prosegua e cresca, sia in quantità sia in qualità.

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