lunedì 6 maggio 2019

Finanza e disastro climatico - Antonio De Lellis


Le banche sono contro il clima e determinano le migrazioni epocali forzate. Questo è l’incipit del  grande spartito che dovremmo imparare, pena la dissoluzione del genere umano e del pianeta, per come lo conosciamo. Volete le prove? Il Gruppo intergovernativo sul clima Change (IPCC) ha pubblicato un rapporto che fa riflettere sui devastanti impatti che il nostro mondo dovrà affrontare con il riscaldamento climatico.
Dalla firma dell’accordo di Parigi sul clima, nel 2015, 33 grandi banche hanno investito 1.900 miliardi di dollari nello sfruttamento delle fonti di energia fossile. Il tutto è contenuto nel rapporto Banking on climate 2019, la decima edizione della finanza annuale sui combustibili fossili. Il rapporto ritiene che il finanziamento bancario complessivo continui a essere in linea con il disastro climatico. I risultati del rapporto non lasciano margini a valutazioni diverse: le banche canadesi, cinesi, europee, giapponesi e degli Stati Uniti hanno finanziato combustibili fossili con aumenti ogni anno.
Questo rapporto rileva che il finanziamento dei combustibili fossili è dominato dalle grandi banche degli Stati Uniti, con JPMorgan Chase, che è il maggior finanziatore mondiale di combustibili fossili, seguita da Royal Bank of Canada, Barclays in Europa, MUFG in Giappone e Bank of Cina. Ma il sistema finanziario non produce solo effetti devastanti sul clima naturale, ma anche su quello sociale, attraverso le guerre provocate e minacciate. E questo anche a causa dell’Italia: sono 11 gli istituti bancari italiani che hanno concesso finanziamenti per oltre 4 miliardi di euro a compagnie internazionali coinvolte nella produzione di armi nucleari. È quanto viene affermato nel rapporto 2019 Don’t Bank on the Bomb, condotto da Pax in collaborazione con Profundo, rispettivamente una Ong che si batte contro le risoluzioni armate dei conflitti e un istituto di ricerca economico olandese.
Tra i gruppi bancari pubblici e privati nostrani che avrebbero finanziato aziende produttrici di ordigni bellici atomici vengono elencati il Banco di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Gruppo Carige, Gruppo BPM, Banco di Sardegna, Banco Popolare di Sondrio, UBI Banca, Banco Popolare e Anima. Ma soprattutto Intesa San Paolo e Unicredit, con finanziamenti di circa un miliardo di euro in più rispetto alla media degli istituti bancari citati in precedenza. E poi c’è il filo conduttore che tiene unite tutte le 11 le banche citate dal rapporto, ovvero l’azienda italiana leader nel settore della difesa, di cui il ministero Italiano dell’Economia e delle Finanze è detentore al 30,2 per cento: Finmeccanica. Su scala globale, stando ai dati di Don’t Bank on the Bomb, da gennaio 2012 a oggi almeno 382 fra istituti bancari, fondi di pensione o di investimento hanno messo a disposizione enormi finanziamenti destinati ad aziende produttrici di armi nucleari.
Allora possiamo affermare che il sistema finanziario determina e governa i più devastanti processi globali di questi ultimi anni: i cambiamenti climatici, le guerre provocate e minacciate. Ma se il sistema finanziario è determinante nella devastazione ambientale e sociale dell’intero pianeta, allora perché continuiamo ad affrontare le questioni globali separatamente? Esse hanno molteplici cause, ma trovano tutte un terreno fertile nelle ingenti somme messe a disposizione dal sistema finanziario. Chi non ferma la finanza distruttiva, deregolamentata e speculativa non affronterà le questioni epocali come il clima, le guerre e le migrazioni, strettamente correlate fra loro. Come è possibile che nelle conferenze internazionali sul clima e sulle migrazioni non sia affrontato il tema preordinato e congiunto della finanza? Perché la finanza ha un’arma micidiale e potentissima: il debito.
Da necessità e bisogno è stato trasformato in strumento di controllo dell’umanità e del pianeta. Comprendere queste interconnessioni è la premessa perché i movimenti sociali dal basso costruiscano percorsi di vita per tutti.
(Pubblicato anche su Attac Italia.)


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