lunedì 6 maggio 2019

La Striscia di Gaza invivibile anche per l’Onu - Fulvio Scaglione





Diventa ogni giorno più difficile capire le ragioni di questa guerra di razzi e bombardamenti tra Gaza e Israele. Perché va avanti da settimane, con morti e feriti su entrambi i lati, anche se è sempre più evidente che nessuno, né i palestinesi né gli israeliani, né Hamas né Netanyahu, vuole davvero arrivare a uno scontro aperto. Eppure siamo qui, con centinaia di razzi che partono dalla Striscia e che hanno una gittata ormai doppia rispetto a quella di pochi anni fa, e i caccia dello Stato ebraico che spianano palazzi e centrano obiettivi strategici.
Con l’inevitabile dramma dei civili uccisi, donne e bambini compresi. Con lo strascico delle tensioni internazionali. L’impresa di capire si fa ancora più complessa se si tengono in conto i segnali di «distensione» (termine che da queste parti, come si vede, va usato con cautela) rilevati negli ultimi tempi. Hamas ha cercato di tenere a bada i gruppi islamisti più radicali, ancora convinti che la provocazione verso Israele sia la strada maestra per rivendicare i diritti dei palestinesi. E i suoi diplomatici non cessano di trattare con l’Egitto per tenere in vita il fragilissimo cessate il fuoco e, nello stesso tempo, allentare la morsa in cui il blocco israeliano tiene i due milioni di abitanti della Striscia.
Anche Israele aveva fatto le proprie mosse. Il regime dei transiti era stato alleggerito in vista del Ramadan, cominciato ieri. L’area di pesca dei palestinesi era stata allargata da 12 a 15 miglia nautiche, il massimo da quando è in vigore l’embargo, per poi essere ridotta a 6 dopo la solita salva di razzi. Ancora in queste ore i due presunti contendenti, al di là della retorica d’occasione, cercano di frenarsi. Israele non ha ancora portato al confine con Gaza le truppe di terra e non si registra alcuna mobilitazione dei riservisti. Hamas non alza i toni e, in curiosa sintonia con Israele, tende piuttosto a rigettare la responsabilità sulla Jihad Islamica, gruppo radicale appoggiato dall’Iran con cui intrattiene da sempre rapporti a tratti amichevoli e a tratti burrascosi. Ma è possibile che qualcuno possa lanciare centinaia di razzi dalla Striscia senza che Hamas lo sappia o intervenga?
Se non fosse che la gente muore davvero, potremmo pensare di trovarci dentro un gigantesco gioco di specchi, in cui nulla è come sembra e nessuno è davvero chi dice di essere. Resta una sola certezza. Il nostro mondo, sensibile alla causa di qualunque minoranza, non può continuare a essere tanto indifferente verso la causa dei palestinesi. Sappiamo che Hamas non è la risposta e che l’Autorità palestinese di Abu Mazen è più un organismo di spartizione che di governo. Sull’uno e sull’altra, e sulla loro inadeguatezza, ricade parte della responsabilità per la facilità con cui a Netanyahu viene concesso di applicare politiche militariste a sfondo razzista.
Ma comunque la si pensi, è innegabile che i due milioni di palestinesi di Gaza non possono restare chiusi in un pezzo di terra che ormai sta tra la riserva indiana e il carcere. In Cisgiordania il problema è la continua erosione dello spazio palestinese attraverso gli insediamenti israeliani illegali. Ma nella Striscia il problema è più basico: sopravvivere in condizioni appena umane. Inutile chiedersi, in questa situazione, che cosa succederà domani. Se nulla cambia mentre l’Onu ci avverte che dal 2020 la Striscia sarà «invivibile», avremo l’inevitabile ripetizione del passato. Altri missili, altri bombardamenti, altri morti. Israele può anche credere che si possa andare avanti così: ha guadagnato territorio e ha spazzato dal tavolo della diplomazia l’idea dei due Stati, perché no? Ma al resto del mondo conviene? Siamo tutti d’accordo?

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