Occhio, perché nella lunghissima diatriba tra Stati Uniti, Iran e Israele (con
quasi tutto l’arcipelago sunnita del Golfo Persico) chi rischia di pagare siamo
anche noi: l’Italietta, nazione caratterizzata da una politica estera “di
galleggiamento”, come certe sostanze innominabili. Che succede? Semplice.
Donald Trump, per la serie “ora ve ne combino di tutti i colori”, ha deciso di
dare libero sfogo alle sue foie anti-ayatollah e ha fatto entrare in vigore il
divieto di commercializzare petrolio con Teheran. Sanzione che, in prima
battuta, aveva temporaneamente esentato otto nazioni. Tra cui, appunto,
l’Italia.
Senza avventurarci in analisi sulle nostre
strutturali debolezze energetiche, che ci porterebbero lontano, vogliamo
focalizzare l’attenzione solo sul vero scenario da incubo, che potrebbe
scaturire dall’agitarsi scomposto (e pericoloso) dell’inquilino della Casa Bianca:
il blocco dello Stretto di Hormuz. Non bisogna essere specialisti in
geo-strategia per capire come mai, in queste ore, i tre quarti degli analisti
(e dei politici) di mezzo mondo abbiano le mani ai capelli. Se gli iraniani
dovessero arrivare a tentare di chiudere Hormuz, da dove passa almeno un terzo
del greggio planetario, ce ne accorgeremmo rovinosamente tutti. L’indomani.
Perché i prezzi, non solo quello della
benzina, comincerebbero a lievitare. Prima di esplodere in poche settimane. E
siccome le catastrofi, nel caso specifico, non arrivano mai senza annuncio,
ecco cosa dice il “bollettino per i naviganti” in partenza dalla plancia di
comando della teocrazia sciita: il capo di Stato maggiore, generale Mohammed
Bagheri, ha lanciato una minaccia non tanto di sguincio. Se il petrolio
iraniano non potrà più essere venduto, allora da Hormuz non passerà più
nessuno. A ruota è stato un florilegio di imprecazioni “diplomatiche” e di
feroci promesse, di altrettanto feroci vendette.
Nel “dibattito” all’arma bianca, sono
intervenuti, nell’ordine, la Guida suprema Alì Khamenei, il Presidente Hassan
Rohuani, il Ministro degli Esteri Javad Zarif e il comandante della Marina
“pasdaran”, Alireza Tangsiri. Fuoco di paglia? Calma. E gesso. Perché per
chiudere Hormuz col catenaccio non ci vuole certo Napoleone e manco
l’ammiraglio Nelson. No. Bastano un buon numero di mine magnetiche prodotte a
prezzi da supermercato per strangolare tre quarti del pianeta. A cominciare
dall’Occidente. Secondo gli specialisti di “warfare” sarebbe sufficiente anche
un singolo attacco contro un’inerme petroliera, per fare zompare il prezzo del
greggio oltre i 100 dollari in un’ora. E non sapremmo cosa ci riserverebbero i
mercati l’indomani.
Le altre novelle che arrivano da Teheran,
poi, non promettono nulla di buono. Anzi. Khamenei ha sostituito il capo delle
Guardie rivoluzionarie con un “falco”, il Brigadier Generale Hossein Salami. Un
“duro”, modi spicci e mani che gli prudono. Secondo i servizi segreti “bene
informati” a Salami è stato dato un incarico preciso: preparare il terreno per
far pentire dei loro peccati Trump, sauditi, israeliani e tutto il resto della
compagnia rabbiosamente anti-sciita. E gli altri? Come al solito. Vasi di
coccio in mezzo alle brocche di ferro. Intanto, le Cancellerie sono in
preallarme. Il cosiddetto “contrabbando di Stato” già esiste.
Ma le quantità di greggio che Russia,
China, Turchia, Indonesia, Malesia e, soprattutto, l’Europa Occidentale,
riescono a sgraffignare, sottraendole alla tagliola delle sanzioni americane,
sono insufficienti. Tra l’altro, gli 007 occidentali temono anche una ripresa
in grande stile del terrorismo di marca sciita, che negli ultimi 25 anni era
praticamente quasi scomparso dal teatro internazionale. Insomma, se a qualcuno
scappa di mano il bandolo della matassa, la situazione potrebbe rapidamente
precipitare, rinfocolando crisi catastrofiche che ancora covano sotto la cenere
(come appunto il mortale confronto tra Arabia Saudita e Iran) e aprendo il vaso
di Pandora degli scannamenti nel vicino Libano.
Dove a sentire i “rumors” che circolano,
gli israeliani, sostenuti dal sempre più assatanato Trump, vorrebbero eliminare
il loro dente cariato. Che si chiama Hezbollah. Guerra in Libano in vista,
allora? Forse. Se non ne scoppia prima una, ancora più devastante, nel Golfo
Persico.
Nessun commento:
Posta un commento