Il Consiglio
superiore della magistratura ha dunque archiviato, cioè respinto, la procedura
di trasferimento per incompatibilità ambientale del magistrato genovese Enrico Zucca sottoposto un anno
fa a un potente shakeraggio mediatico per un’osservazione
espressa durante un convegno sul “caso Regeni” e giudicata offensiva e
scandalosa dai vertici di polizia e da certi ambienti politici e giornalistici,
ma risultata corretta anche all’analisi -peraltro non benevola- del Csm. La notizia dell’archiviazioneè passata
sotto silenzio -che io sappia nessun giornale, tg o gr di portata nazionale
l’ha riportata e tanto meno commentata- e merita invece d’essere brevemente
analizzata perché dice molte cose sullo stato presente del potere in Italia.
La prima
cosa che attira l’attenzione è la contraddittoria motivazione addotta dal Csm.
Il caso è archiviato, la punizione
di Zucca invocata a gran voce e con grande ecomediatica è respinta
perché priva dei necessari presupposti legali, disciplinari, fattuali, e tuttavia
il magistrato è indicato come reprobo. Le affermazioni incriminate sono
definite “inopportune, specie in quanto tenute da un alto magistrato, in un
convegno aperto a tutti gli operatori della giustizia, potenzialmente idonee a
ingenerare un clima di generalizzata sfiducia nei confronti della polizia di
Stato e a indurre una inappropriata associazione fra la polizia egiziana e
quella italiana”. Sembra la motivazione di una sentenza di condanna, più che la
spiegazione delle ragioni che hanno indotto a chiudere il caso. E si capisce
perché: Zucca ha osato toccare
tasti che nel gioco del potere non devono essere nemmeno sfiorati. La
regola è nota e consolidata: non si parla della polizia, delle sue mancanze,
dei suoi errori, delle sue omissioni. Non si parla del G8 genovese e della sua
pesante eredità.
Zucca, nella
frase incriminata, citava la difficoltà di ottenere giustizia per le torture e
l’omicidio di Giulio Regeni in un Paese come l’Egitto, retto da un regime
autoritario, se si pensa che anche un Paese democratico, qual è l’Italia, non è riuscito ad affrontare i suoi meno
gravi casi di tortura (al G8 di Genova). “L’11 settembre 2001 e il G8
-aveva detto Zucca- hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti
internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un Paese dittatoriale è uno sforzo
che abbiamo dimostrato di non saper fare per vicende meno drammatiche. I nostri
torturatori, o meglio chi ha coperto i torturatori, come dicono le sentenze
dalla Corte di Strasburgo, sono ai vertici della polizia, come possiamo
chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”.
Zucca dunque
citava cose ben note, sentenze scritte dai giudici di Strasburgo, ed è questo
che gli si rimprovera. Si pensi al
paradosso: Zucca ha rischiato seriamente d’essere trasferito in un’altra
città o di passare dal settore penale al settore civile per avere ricordato in
pubblico ciò che i giudici di Strasburgo hanno chiesto all’Italia con una
sentenza. La rimozione dei funzionari condannati nel processo Diaz. Funzionari
che sono rientrati in servizio al termine del periodo di interdizione
d’ufficio, occupando -in almeno un caso- posizioni di vertice nella polizia
investigativa. Il pm ha rischiato
il posto, i funzionari condannati no.
Perché
dunque il Csm ha avvertito la necessità di rimarcare la “inopportunità” delle
dichiarazioni di Zucca? Di quale inopportunità si parla? Le sentenze della Corte di Strasburgo sono forse anch’esse
inopportune? Ricordare che l’Italia sta violando, di fatto, la
Convenzione europea sui diritti umani, è forse inopportuno? E perché si è
seguita una procedura che ha impedito a Zucca d’essere ascoltato?
L’archiviazione con motivazione suicida è
stata approvata dal Csm con sei lodevoli eccezioni sotto forma di astensione (i
quattro “togati” di area progressista; l’ex pm Piercamillo Davigo; i due
“laici” indicati dal Movimento 5 Stelle) ma resta l’amara sensazione che il
plenum di Palazzo dei Marescialli abbia voluto mandare un messaggio agli altri
palazzi del potere e soprattutto al corpo della magistratura: guai a fare come
Zucca, guai a rammentare qualche scomoda verità. È un messaggio di acquiescenza e subordinazione volontaria che non
promette niente di buono.
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