Mentre il numero delle
vittime da entrambi i lati della frontiera di Gaza continua a salire, i
politici israeliani sono impegnati con il loro stantio argomento: dovremmo
distruggere Gaza? Cancellarla? O dovremmo riportarla indietro all’età della
pietra? Propongo di trarre una lezione diversa dall’orrenda violenza che, fino
ad ora, ha già preso la vita di 16 palestinesi e quattro israeliani: noi
israeliani abbiamo bisogno di imparare l’arabo.
Sono consapevole che
la mia proposta, per la maggior parte degli israeliani, è molto meno attraente
di una ‘soluzione’ che includa più violenza e salassi, ma a lungo termine
potrebbe essere la più efficace. Imparare l’arabo, dopo tutto, è l’unico modo
per superare la nostra ignoranza su ciò che sta accadendo dall’altra parte tra
una serie di ‘escalation’ che, secondo Israele, iniziano sempre con la prima
vittima israeliana.
Israele può raccontare
a se stesso e al mondo tutte le storie che vuole. Può parlare di ‘escalation’
solo quando i razzi cadono nel sud o di terrorismo solo quando i suoi cittadini
pagano un prezzo. Può cancellare il barbaro blocco su Gaza, la fame
interminabile della sua popolazione, i cecchini che uccidono manifestanti
disarmati, i tiri contro pescatori, la mancanza di acqua potabile,
l’elettricità, le infrastrutture, l’economia e la disoccupazione.
Eppure niente di tutto
questo cesserà di far parte della storia nel processo di occupazione e
violenza. Con tutto il dovuto rispetto, una narrativa non può sostituire la
realtà, e la realtà è che Israele da oltre un decennio abusa di due milioni di
gazawi assediati. Cosa pensavamo sarebbe successo? Forse, siccome il forte ha
il potere di raccontare la storia, il debole dovrebbe semplicemente svanire?
Quanti seguono i media
in lingua araba nel mezzo degli attacchi missilistici nel sud di Israele
scopriranno un universo parallelo di cui i media ebraici difficilmente si
preoccupano. Per loro, ‘l’escalation’ non equivale al lancio di razzi nel sud,
si tratta di una caratteristica costante della vita. E non solo a Gaza,
ovviamente. Apri qualsiasi sito di notizie palestinese durante i cosiddetti
periodi di ‘quiete’ e scoprirai che la guerra non è mai veramente finita:
bambini palestinesi continuano a subire arresti, case palestinesi continuano a
essere demolite e palestinesi continuano ad affrontare l’espulsione dalla loro
terra.
E’ impossibile capire
la nostra realtà senza capire la loro. Se non per elementare umanità, almeno
per una comprensione del fatto che i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania sono
anche parte della nostra storia in divenire. Nessuna dose di propaganda
israeliana può cambiare questo.
Un tal genere di
ignoranza affligge il discorso pubblico nei confronti degli abitanti del sud di
Israele, che nell’ultimo decennio e mezzo sono stati costantemente colpiti da
razzi. La condiscendenza e il malevolo compiacimento (“Hanno votato Netanyahu?
Si meritano dei razzi”) non sono nemmeno quello il problema: il problema
principale è che questo tipo di pensiero riduce le loro esperienze al solo
essere bersagli. Essere vittime.
Questo atteggiamento
nei confronti degli abitanti di quella che viene comunemente chiamata ‘la
periferia’ non si pone solo nel contesto degli attacchi missilistici, ma caratterizza
la comprensione tradizionale di Israele di tutto ciò che non fa parte dell’area
di Tel Aviv. Il ruolo della periferia nel discorso politico israeliano è quello
della vittima. Dopotutto, Tel Aviv è già stata colpita con razzi da Gaza, ma
nessuno si aspetterebbe mai che i suoi abitanti adeguino il modo in cui votano
alla loro nuova condizione. Basti sapere che non sarebbe successo nemmeno se i
residenti di Tel Aviv avessero continuato a essere bombardati.
Personalmente, credo
che chiunque voti per Netanyahu stia non solo prendendo una decisione immorale,
ma vota contro i propri interessi personali di cittadino di questo stato.
Capisco anche che agli occhi dei suoi elettori, questo non è un mero capriccio.
Il primo ministro offre ai suoi sostenitori la promessa di una dominazione
continua e violenta sui palestinesi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza,
il tutto mentre rafforza la supremazia ebraica all’interno di Israele. Non si
può ignorare la logica di queste priorità, indipendentemente da quanto immorali
siano.
I residenti del sud di
Israele che hanno votato per Netanyahu non lo hanno fatto a causa del ruolo che
il mainstream israeliano ha ritagliato per “i poveri residenti di una periferia
sotto il fuoco dei razzi”. Lo fanno perché sono cittadini ebrei in uno stato
ebraico suprematista.
Questo articolo è
stato pubblicato per la prima volta in ebraico su Local Call.
Orly Noy – Sono
un’attivista politica, prima con la Coalition of Women for Peace e il Mizrahi
Democratic Rainbow, e attualmente come membro del comitato esecutivo di
B’Tselem e attivista del partito politico Balad. Mi occupo delle linee che si
intersecano e definiscono la mia identità come Mizrahi, una donna di sinistra,
una donna, una migrante temporanea che vive all’interno di un’immigrata
perpetua e il costante dialogo tra di loro. Traduco poesia e prosa dal farsi, e
sogno di costruire, se non un’intera libreria, almeno un modesto scaffale di
libri persiani in ebraico come atto politico nella lotta contro l’emarginazione
della cultura mizrahi nel discorso israeliano.
(Traduzione: Simonetta
Lambertini – invictapalestina.org)
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