"Questa
visione è rappresentata dall'ideale utilitarista ed economico - si potrebbe
dire quasi finanziario - come l'unico, rispettabile proposito della comunità
nel suo complesso: la più orrida eresia, forse, che abbia mai raggiunto
l'orecchio di un popolo civile".
John Maynard Keynes,
1936
E' buffo parlare della
sconfitta di un fantasma. L'homo oeconomicus infatti non è mai esistito se non
come fantasma. L'homo oeconomicus è un'astrazione del quale un certo filone
(invero dominante) della teoria economica classica ha bisogno per sostenere le
sue tesi. Tale teoria, in termini un po' semplicistici, sostiene all'incirca
così: supponiamo che esista un mercato perfetto, dove tutti i soggetti hanno,
nello stesso momento, le stesse informazioni, conoscenze, gusti e
disponibilità, perfettamente isolato dal resto del mondo e che, al suo interno,
operino uomini e donne perfettamente razionali, privi di sentimenti, passioni,
emozioni, capaci solo di calcolare. Allora è possibile sviluppare in un sistema
di equazioni il risultato economico del loro operare, sia in via consuntiva che
prospettica, risultato che, comunque, porterà sempre al perfetto equilibrio del
sistema.
Su questo assunto, passo
dopo passo, si sono sviluppate teorie economiche, eleganti, intellettualmente
coinvolgenti, alcune persino divertenti, con al centro questo omone economico,
più simile alle foche ed ai robot che ad un uomo, che passa le intere giornate
della sua vita a pensare come accrescere l'utilità marginale delle sue azioni e
delle sue disponibilità. Il peccato è che queste teorie sono in prevalenza poco
utili se non fuorvianti, come la crisi del 2008 ha, una volta di più,
testimoniato con rara evidenza. E' tra gli stessi economisti che troviamo lo
sviluppo di questo pensiero critico. In primo luogo possiamo iniziare proprio
da von Hayek che, nella sua lezione per il premio Nobel del 1974, dal titolo La
presunzione del sapere affermava:
" Ciò mi
porta ad affrontare il punto cruciale. A differenza di quanto avviene nelle
scienze naturali, in economia e in altre discipline che debbono trattare
fenomeni per loro natura complessi, sono pochi gli aspetti degli eventi
fondamentali sui quali disponiamo di informazioni quantitative e non vi è
nessuna garanzia che si tratti davvero degli aspetti più importanti…. Tale
impostazione viene spinta fino a richiedere che le nostre teorie debbano essere
formulate in termini riferibili esclusivamente a grandezze misurabili…. Questo
punto di vista, che viene spesso accettato ingenuamente come se fosse un
corollario dell'approccio scientifico della realtà, presenta alcune conseguenze
piuttosto paradossali. Del mercato e di altre strutture sociali analoghe
conosciamo tutta una serie di aspetti che non siamo in grado di misurare, sui
quali disponiamo solo di informazioni molto imprecise e generali. Dal momento
che gli effetti di questi aspetti non possono essere confermati sempre, in ogni
specifica circostanza, dall'evidenza quantitativa, essi sono semplicemente trascurati
da coloro che hanno giurato di ammettere solamente quelli che considerano fatti
scientificamente provabili. da questo momento in poi costoro procedono
allegramente sulla base della finzione che i fattori misurabili siano gli unici
rilevanti".
Si tratta di una
autentica "superstizione" (von Hayek) che ha portato la teoria
economica in un vicolo cieco; a diventare un filone di pensiero intelligente,
elegante, persino talora -come ho detto- divertente, ma assolutamente
irrilevante per il bene vivere degli uomini. Tuttavia, da circa trent'anni, la
teoria economica ha compiuto molti passi avanti,per togliersi da questo vicolo
cieco, per riaccostarsi alla complessità reale delle scelte umane.
Ciononostante i progressi non sono stati sufficienti se:
- il 30 settembre 1988
un gruppo di importanti economisti italiani sentiva l'esigenza di rendere
pubblica la propria posizione nei seguenti termini:
"Lettera a La
Repubblica, 30 settembre 1988 - Studiosi di economia politica -
I firmatari di questa
lettera sentono il dovere di prendere pubblicamente posizione contro un
pericolo che insidia gli studi di economia politica. I maestri che illustrarono
in passato questo ramo di studi si dedicarono ai grandi problemi della società
in cui vivevano e dettero ai loro insegnamenti un contenuto e una forma tali da
offrire lumi per la coscienza civile e l'azione politica. Economia politica e
riforma sociale si presentarono spesso al pubblico come un binomio
inscindibile. Ma oggi una frazione crescente di coloro che si presentano come
economisti tende a trascurare l'oggetto sociale della disciplina per
concentrare tutto il proprio interesse nello studio di strumenti analitici
sempre più raffinati. Altre professioni del campo delle scienze morali cercano
bensì di colmare il vuoto aperto dal crescente disimpegno sociale degli
economisti ma non possiedono tutte le competenze necessarie per farlo in modo
completo. I firmatari ritengono necessaria una presa di coscienza per ravvivare
e sviluppare la funzione sociale degli studi di economia politica. Essi
ritengono importante che si formino nuove generazioni di studiosi di economia
politica nel senso pieno del termine, cioè di studiosi il cui obiettivo
principale sia la comprensione dei problemi della società nella loro
concretezza e completezza, nella loro prospettiva storica, nel loro quadro
istituzionale. Naturalmente dovranno anche continuare a formarsi studiosi che
abbiano come obiettivo principale il raffinamento delle tecniche di analisi. La
cosa importante, però, è che la professione dello specialista di metodi
analitici per gli economisti non venga identificata con la professione di
economista politico. Il pericolo specifico sul quale si vuole richiamare
l'attenzione è che l'uso di strumenti raffinati di analisi venga scambiato, a prescindere
dai contenuti, per una prova di maturità e competenza professionale o, peggio
ancora, per il segno di riconoscimento del moderno studioso di economia
politica. E' da ritenersi che già oggi, in Italia, tale equivoco si dia con una
certa frequenza e tenda a diffondersi. I firmatari invocano un impegno comune
per riportare gli studi economici sulla via sopra indicata. Auspicando che
coloro che, in virtù della loro posizione accademica, hanno il compito di
iniziare i più giovani, vogliano esercitare ogni cura per trasmettere loro una
visione dell'economia politica come disciplina che ha contenuti e
responsabilità sociali. Ciò potrà essere meglio assicurato se i giovani
verranno educati ad impiegare bensì nelle loro ricerche tutte le tecniche
analitiche più efficaci - siano pure altamente specialistiche - ma a spiegare
alla fine i risultati raggiunti e la loro utilità anche in modo comprensibile
dall'ampia cerchia degli studiosi sociali e degli operatori economici e
politici. Quando questa spiegazione non riesce, vuol dire che il lavoro fatto
non vale come buona economia politica: è la vecchia regola insegnata da Alfred
Marshall. Questa lettera non è iniziativa di una particolare scuola, ma di
economisti di varia provenienza e tendenza. Essi ritengono che molti altri
economisti condividano la preoccupazione di fondo espressa in questa lettera,
anche se non in ogni sfumatura del testo, e li invitano caldamente a
manifestare la loro adesione."
Giacomo Becattini,
Onorato Castellino, Orlando D'Alauro, Giorgio Fuà, Siro Lombardini, Sergio
Ricossa, Paolo Sylos Labini.
- nel giugno 2000, 1545
studenti dell'École Normale Supérieure francese, firmarono un petizione contro
l'eccessiva formalizzazione matematica dei loro studi di economia che portavano
a trascurare le realtà economiche, sulla quale il Ministro francese
dell'Educazione aprì una formale indagine;
- il 2 settembre 2009 il
premio Nobel Paul Krugman pubblicò sul New York Times un articolo dal titolo.
"la crisi finanziaria. Come gli economisti sono andati fuori
strada"nel quale sosteneva che " the economics profession went
astrary, because economists, as a group, mistoock beauty, clad in impressive
looking mathematics, for truth". Il cuore dell'articolo di
Krugman fu ripreso in una petizione che fu sottoscritta da 2000 economisti da
tutto il mondo (tra i quali gli italiani Luigi Pasinetti e Stefano Zamagni).
Ma proprio la crisi e le
reazioni alla stesa dimostrano che c'è ancora molta strada da fare, come
illustro nel mio libro: "Passaggio al futuro. Oltre la crisi attraverso la
crisi (EGEA, 2010). In una visita alla London School of Economics, la regina
Elisabetta d'Inghilterra chiese al consesso degli economisti che incontrò
perché gli economisti in generale non avevano capito la gravità della
recessione. Dopo averci pensato sei mesi, i professori risposero con una
lettera alla Regina nella quale, in uno slancio di sincerità , affermavano che
" è difficile trovare un esempio più rilevante di velleitarismo
associato ad arroganza… . Concludendo, Vostra Maestà, la mancata
previsione dell'estensione e della gravità della crisi e del momento in cui
sarebbe avvenuta . così da prevenirla - nonostante abbia avuto molteplici
cause, è stata principalmente un fallimento dell'immaginazione collettiva di
molte menti brillanti, in questa nazione come a livello internazionale, nel
comprendere i rischi pendenti sull'intero sistema".
Dunque molta strada è
stata fatta per sconfiggere l'homo oeconomicus e le astrazioni che lo
accompagnano, ma forse è prematuro cantare vittoria. Il fantasma continua ad
aggirarsi tra noi ed è ancora dominante nella modellistica e nei sistemi di
equazioni delle banche centrali e dei ministeri del tesoro o dell'economia. E
questo spiega perché è proprio da queste fonti che provengono gli errori più gravi,
distruttivi e sistematici. E' vero che nel Regno Unito, Cameron ha creato una
squadra composta da economisti, studiosi di scienze sociali, psicologi per
migliorare l'azione di governo, E' vero che è nata la nuova utilissima branca
dell'economia comportamentale che contesta le premesse umane della teoria
classica (studioso di punta è Richard Taler di Chicago). E' vero che chi ci ha
aiutato di più a capire natura e portata della crisi soprattutto in Italia,
sono stati i pochi economisti umanisti, come Stefano Zamagni, i sociologi, come
Gianpaolo Fabris, gli storici dell'economia, come Emanuele Felice con il suo
ottimo: "Ascesa e Declino, storia economica d'Italia", gli economisti
d'impresa e studiosi di management che non sono mai stati vittime dell'homo oeconomicus
e si sono sempre mossi nel mondo reale. Si tratta di sviluppi importanti ma non
decisivi.
Diciamo allora che
l'homo oeconomicus è decisamente e finalmente sotto assedio, ma non è ancora
definitivamente sconfitto. Per arrivare a questo traguardo è necessario che
venga cancellato ovunque e soprattutto negli ambienti governativi e delle
banche centrali quel "velleitarismo associato ad arroganza", del
quale parlavano, nel loro confiteor alla Regina d'Inghilterra, i professori
della London School of Economics.
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