domenica 26 maggio 2019

Le città negate alle persone “permale” - Lorenzo Guadagnucci



(Tratto da Altreconomia 215 — Maggio 2019)


La prima zona rossa fu istituita a Genova, nel luglio 2001. Il centro storico della città venne recintato, chiuso con reti metalliche e altri supporti, l’accesso proibito a chiunque non vi abitasse. I residenti erano obbligati a transitare per appositi checkpoint. La libera circolazione delle persone sul suolo pubblico era sospesa per “motivi di ordine pubblico”. È cosa nota: la città ospitava il cosiddetto G8, il vertice fra i leader dei Paesi più industrializzati del mondo, e capi di Stato e di governo andavano protetti da ogni insidia, separando loro dal resto della società e il centro di storico di Genova dal resto della città.
Ci fu, all’epoca, chi invocò la natura incostituzionale del provvedimento, ma l’obiezione fu respinta e la zona rossa svolse il suo compito sia pratico sia simbolico: per la prima volta si metteva in scena la separazione fisica fra il mondo dei potenti e il mondo dei comuni; una separazione fisica, giustificata da ragioni di sicurezza, che segnava anche un confine etico, morale, politico. La città di Genova, nelle giornate del G8, fu una rappresentazione visiva della natura della globalizzazione neoliberale.
Oggi le zone rosse tornano, come i vecchi amori che non tramontano. Cambia però lo scenario. Non si tratta più di separare otto uomini di potere da tutto il resto, ma si intende marcare un ulteriore confine fra noi e loro, fra la gente perbene e la gente permale. L’obiettivo anche stavolta è duplice: pratico (ma è il meno importante) e simbolico (il vero motivo della scelta).
A Calolziocorte, in provincia di Lecco, il consiglio comunale a guida leghista ha approvato un regolamento che istituisce zone rosse e zone blu pensate per tenere lontano certe persone -in questo caso cittadini stranieri ospiti di un eventuale centro di accoglienza per profughi- dal resto della popolazione. Le zone rosse sono state tracciate attorno a luoghi definiti “sensibili” -150 metri dalla stazione e dalle scuole- precluse ad eventuali centri di accoglienza; nelle zone blu (in realtà zone rosse aggiuntive), che circondano oratori e biblioteche, l’accoglienza è possibile solo dopo apposito nulla osta. Lo spirito del regolamento è chiaro: separare i profughi dagli altri, tenerli lontani dai luoghi di aggregazione, insinuare nella gente l’idea che la presenza di quelle persone sia una minaccia.
Dalla Lega intesa come partito a Laura Lega, intesa come prefetta di Firenze, il quadro è simile. La prefetta ha disposto il divieto d’accesso a 17 fra strade, piazze, giardini, parchi (incluse aree enormi come le Cascine, la Fortezza da Basso, la zona della stazione Santa Maria Novella) per chiunque sia stato denunciato dalle forze di polizia (denunciato, non condannato) per spaccio, reati contro la persona, danneggiamento, commercio abusivo.
La prefetta, con l’appoggio del sindaco Dario Nardella, ha messo in pratica il cosiddetto “Daspo urbano” previsto dalla legge Minniti e così Firenze avrà una zona rossa a macchia di leopardo. L’ordinanza promette insomma di scacciare e mandare altrove -verso le periferie, probabilmente- varie categorie di indesiderati, a protezione dei cittadini “perbene” e degli affari legati all’asfissiante turismo fiorentino. Le zone rosse prolungano dunque l’interminabile stagione dei sindaci-sceriffo e confermano la scelta di governare con la paura. Il messaggio è forte e chiaro. Anche stavolta c’è chi solleva forti dubbi di costituzionalità, ma intanto prosegue la notte delle nostre democrazie.

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