Rosa Maria
dell’Aria ha l’espressione mite e intelligente delle persone per bene. Anzi,
vorrei aggiungere, dell’“insegnante ideale”, del genere che ognuno di noi
vorrebbe aver incontrato almeno una volta nella propria esperienza scolastica
perché è quel particolare tipo di docente che ti insegna a conoscere e
valutare. Ha dedicato quarant’anni all’insegnamento (a 63 anni è alle soglie
della pensione), e credo che debba essere orgogliosa di ciò che ha seminato se
i suoi allievi hanno acquisito la capacità di leggere la Storia e di ricercarne
gli insegnamenti per la vita che la sua II^ E dell’Istituto industriale Vittorio
Emanuele III di Palermo ha mostrato con il proprio elaborato per il Giorno
della memoria.
Non
altrettanto può dirsi delle Autorità governative coinvolte nel caso, a
cominciare dalla sottosegretaria leghista ai Beni culturali (sic!) la quale non
sembra di certo mite, se è vero che l’indagine del Ministero della Pubblica
istruzione culminata con la sospensione della professoressa Dell’Aria per
quindici giorni è partita da un suo tweet (un tweet!!!) in cui dichiarava
(testualmente) che “andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e
interdetto a vita dall’insegnamento”, concludendo minacciosamente: ”Già
avvisato chi di dovere”. E – si potrebbe aggiungere –, anche la facoltà
di intelligere non sembra abbondarle, se è vero che la sua
iniziativa “social” è stata innescata da un altro messaggio, di un energumeno
vicino a Casa Pound si dice, autodefinitosi “sovranista” che aveva postato il
seguente messaggio: «Salvini-Conte-Di Maio? Come il reich di Hitler, peggio dei
nazisti. Una professoressa ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è
come Hitler perché stermina migranti. Al Miur hanno qualcosa da dire?». Erano
una serie di fake: non è vero che quegli studenti avevano
identificato il governo italiano “con il Reich hitleriano”, non è vero che fossero
stati “obbligati dall’insegnante” a farlo, non è vero che Salvini fosse
accusato di “sterminare i migranti”. Una lettura di questo genere non può che
essere frutto di una totale mancanza di “comprensione del testo” e/o di
un’assoluta mala fede (tipica di chi fa la vittima per spegnere ogni critica).
Basta dare un’occhiata, anche solo fuggevole, alla ricerca incriminata.
Ho voluto
guardarmelo bene, quel “lavoro” delle ragazze e dei ragazzi della II E di
Palermo, come credo dovrebbe fare chiunque voglia pronunciarsi nel merito di
questa vicenda. È – lo dico senza timore di smentite – eccellente. Mette in
pratica, con estrema sobrietà, il tradizionale concetto crociano (non certo
eversivo) della storiografia come storia contemporanea («Il bisogno pratico,
che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere
di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che
sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia
sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti
propagano le loro vibrazioni», Benedetto Croce, La storia come pensiero
e come azione, Laterza, Bari 1938, p. 5). Cioè la lettura e lo studio delle
vicende storiche del passato non per trovarne l’identificazione o l’omogeneità
con il presente (l’invarianza tra i fenomeni è solo delle scienze della natura,
per le vicende umane non è data), ma le assonanze, gli insegnamenti, i caveat propri
dell’uso critico della storia, per affrontare con la consapevolezza del passato
le sfide politiche e i dilemmi etici della contemporaneità (altrimenti a che
servirebbe una storiografia ridotta a muto museo delle cere?).
Si tratta di
un video di 4 minuti e 45 secondi, strutturato in 7 slides divise ognuna a metà
(a sinistra quanto avvenne IERI a destra quanto viviamo OGGI, così da far
scorrere in parallelo le due temporalità storiche) e accompagnata da un breve
testo vocale descrittivo (lo sottolineo, non valutativo). Più
una “copertina” e una conclusione. Dopo l’introduzione, in cui si premette che
“drammaticamente” la storia può insegnare e “ciò che è stato ieri potrebbe
ripetersi domani”, nella prima slide compare il testo di quella splendida
poesia di Emily Dickinson, That sacred Closet when you sweep, che
recita: “Quando spazzi quel sacro ripostiglio/ Intitolato "Memoria"/
Scegli una Scopa riverente/ E fallo in silenzio/ Sarà un Lavoro a sorpresa/
Oltre all'Identità/ Potrebbe darsi/ Che altri interlocutori si presentino/ Di
quel regno la polvere è solenne/ Sfidarla non conviene (Unchallenged – let
it lie –)/ Tu non puoi sopraffarla/ Ma essa può zittirti”, affiancato alle
immagini di un rastrellamento in un ghetto e di un lager. Nella seconda,
accanto alla prima pagina del Corriere della sera del 6 novembre 1938 con la
notizia dell’approvazione delle “leggi per la difesa della razza” da parte del
Consiglio dei ministri (IERI) compare l’annuncio dell’approvazione del “Decreto
sicurezza” (OGGI). Il testo vocale informa che quella legge del ’38
“discrimina(va) gli ebrei e li esclude(va) dalla vita sociale”, e che il
Decreto del 2018 cancella “il permesso di soggiorno per motivi umanitari [che]
consentiva l’accesso al lavoro, alla scuola, al Servizio sanitario nazionale,
all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale. Gli Sprar e i Cara, gestiti
dai comuni, vengono chiusi. I migranti perdono ogni diritto e ogni possibilità
di interiezione”. Non una parola di più.
La terza
slide presenta sulla sinistra (IERI) una fotografia dei convenuti alla
Conferenza di Evian, tenutasi nel luglio del 1938 nella città termale francese
su richiesta del presidente degli Stati Uniti per discutere la distribuzione
delle quote di ebrei in fuga dalla Germania nazista e in cerca di rifugio.
Non sono
affatto sicuro che la sottosegretaria ai Beni culturali conosca quell’evento.
Come ci giurerei che lo ignora il Ministro della Pubblica istruzione dai cui
uffici è partito l’interdetto contro l’insegnante palermitana, come
probabilmente lo ignorano gli alti funzionari che hanno mosso l’inchiesta, e lo
stesso Provveditore agli Studi di Palermo che ha dato esecuzione alla fatwa
romana. Eppure esso è altamente istruttivo: ci dice la storia, e i ragazzi
della II E ce lo ricordano, che quella conferenza fallì drammaticamente. Dei 32
Paesi convenuti, solo 2 (due!) – quelli più poveri – accettarono di ospitare
sul proprio territorio quote consistenti di ebrei, Santo Domingo (10.000) e la
Bolivia (30.000). Tutti gli altri, quelli più ricchi, chiusero le loro
frontiere, dichiarandosi unanimemente contrari a un’“immigrazione
incontrollata”. Nei nove giorni dei colloqui andò in scena lo spettacolo
dell’egoismo nazionale e dell’inumanità, nonostante fosse ormai chiaro che
nella Germania nazista ognuno dei 600.000 membri della comunità ebraica tedesca
era a rischio della vita, come lo era ognuno dei 250.000 ebrei dell’Austria
appena annessa. La Francia – presentatasi, per bocca del senatore Henri
Bérenger che aveva aperto i lavori, come «terra d’asilo e di libera discussione
[…] fedele alle sue più antiche tradizioni di ospitalità universale» – si
affrettò ad alzare la bandiera del “Prima i francesi” (les français d’abord).
Le si affianca il Regno Unito, il cui rappresentante esclude in via di
principio che ebrei tedeschi possano trovare ospitalità nell’isola, con qualche
piccola eccezione solo per quelli dotati di “alta qualificazione
professionale”. Persino l’Australia, dove di certo non manca lo spazio e la
popolazione è estremamente rarefatta, si chiude a riccio (“Noi non abbiamo
nessun vero problema razziale in Australia e non siamo disposti a importarlo e
favorire una vasta immigrazione straniera” dichiara a nome del suo governo il
colonnello Thomas White) e il Canada la segue a ruota (“Uno solo sarebbe di troppo!”).
Il risultato
sappiamo quale è stato, e il giorno della Memoria dovrebbe ricordarcelo. Gli
studenti della professoressa Dell’Aria hanno montato la fotografia di quella
Conferenza (IERI), a fianco di quella di Innsbruck del 12 e 13 luglio 2018 (OGGI),
quando – spiegano nello stringato commento – si trattava di dividere “le quote
di accoglienza per i migranti” nell’ambito dell’Unione Europea e l’operazione
fallì (in quella sede il nostro rappresentante, il Ministro dell’interno e
vice-premier, dichiarò che “bisogna difendere i confini, ridurre le partenze,
gli sbarchi, e i costi”). Si può dire, sinceramente, che sia un uso improprio?
La quinta
slide (nella quarta si fa un rapido cenno al rastrellamento nel ghetto di Roma
nel 1943 e allo sgombero forzato del CARA di Castelnuovo di Porto nel 2019)
ricorda (IERI) la vicenda della Saint Louis, il cosiddetto “Viaggio dei
dannati” sulla nave che nel maggio del 1939 salpò da Amburgo col suo carico di
930 rifugiati ebrei in fuga dalla Germania dopo la “notte dei cristalli” e
l’incrudelirsi della persecuzione razziale. Furono respinti da Cuba, dagli
Stati Uniti e dal Canada, dopo essere stati trattenuti a lungo al largo delle
rispettive coste. Costretto a ritornare indietro in un Europa a rischio di
invasione nazista, e dopo il rifiuto dell’Inghilterra, che ne accettò poco più
di 200, il Comandante Gustav Schröder (un marinaio non ebreo e anti-nazista che
fece di tutto per garantire condizioni di sopravvivenza umana ai passeggeri
costretti a restare a bordo per il diniego allo sbarco) fu costretto a
ritornare al porto di partenza scaricando quando possibile il proprio carico
umano tra Francia, Belgio e Paesi Bassi dove, pochi mesi più tardi, sarebbero
arrivate le armate hitleriane: 254 di quei disperati moriranno nei campi di
Auschwitz e Dachau. A fronte, per l’OGGI, il caso della nave Sea Watch 3,
rimasta per giorni al largo delle coste siciliane nonostante l’arrivo di un
ciclone mediterraneo, per il rifiuto del governo italiano di aprire i porti e
permettere lo sbarco di decine di persone, tra cui molte donne e bambini,
stremati dal viaggio e dal mare.
L’ultima
slide, infine, mette a confronto l’immagine di un lager tedesco della prima
metà degli anni ’40 con la prima pagina dell’Avvenire dove si denunciano gli
orrori e i crimini contro l’umanità compiuti nei lager libici oggi. Un
accostamento che parrebbe naturale a chiunque dotato di senso (non
necessariamente “senso storico” ma semplicemente senso comune), e che tuttavia
è apparso anch’esso degno di infoltire i capi d’imputazione mossi a studenti e
insegnante da una destra politica e giornalistica ossessionata dal bisogno di
cancellare le proprie tracce e, in qualche caso, il proprio materiale genetico.
A leggere il lavoro degli allievi della professoressa Dell’Aria si capisce la
furia ministeriale contro lo studio della storia nelle scuole patrie e il
tentativo di ridimensionarla nei piani didattici. Evidentemente vogliono che
dalla scuola esca una generazione senza storia per avere nel paese una cittadinanza
senza morale.
Per questo è
importante la mobilitazione – sul piano degli elementari diritti
costituzionali, della libertà di insegnamento e di opinione – che in questi
giorni denuncia e contrasta l’assurda, rozza e autoritaria persecuzione cui la
professoressa Dell’Aria è stata sottoposta, l’uso grottesco della Digos,
l’imputazione di mancata “vigilanza” (che per gli insegnanti riguarda
esclusivamente la sicurezza fisica degli alunni, non certo la censura del loro
pensiero), infine l’umiliante sanzione… Ma altrettanto importante è il
riconoscimento del valore culturale del “lavoro” dei suoi allievi: per quanto
mi riguarda, vorrei che quel video di poco più di quattro minuti e mezzo fosse
presentato in tutte le scuole della Repubblica, come esempio di “buona scuola”
per futuri buoni cittadini. E personalmente sottoscriverei ogni riga della
lettera che una giovane di Palermo, Irene Carmina, ha indirizzato alla
professoressa Dell’Aria. Incominciava così:
“Gentile
Prof.ssa, non provi neanche per un attimo vergogna, amarezza o rimorso per
quanto accaduto, sebbene ora sia costretta a subire un provvedimento grave e
riprovevole e a vedere il suo viso triste comparire su tutte le testate
giornalistiche, come fosse colpevole di una condotta illegale o, peggio, di un
comportamento diseducativo nei confronti dei suoi allievi. Sia invece
orgogliosa del pensiero critico che ha saputo instillare nei suoi studenti,
della libertà di manifestazione del pensiero che non è solo formale, ma
sostanziale e praticata nella sua scuola, della levatura culturale di un gruppo
di studenti che non si limita a imparare pedissequamente la data di una
battaglia, ma riflette, analizza criticamente e crea un suo pensiero
indipendente, manifesta i suoi dubbi e la sua contrarietà”. E concludeva:
“Gioisca perché, pur inconsapevolmente, ha palesato la verità di questo governo
allergico al diverso, allo straniero, all’oppositore, che si serve di una
squadra della Digos per fare irruzione in un liceo. Sia fiera dei suoi studenti
perché il paradosso di quanto accaduto è che hanno mostrato, con i fatti
susseguenti al video incriminato, che un dubbio ragionevole esiste
sull’accostamento dell’agire di questo governo ad una condotta di regime. Alzi
lo sguardo, perché noi non ce lo facciamo abbassare”.
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