Non è che nel mio paese mi sentissi più libero, anzi. Però, se libertà vuol
dire abitare in una casa di
cartone, alzarsi alle 4,30 della mattina, salire su un camion per stare
alle 5,30 sotto il cavalcavia di un’autostrada e, al freddo umido di quell’ora,
attendere e sperare che il “caporale” ti scelga per una giornata di lavoro
sottopagato e senza alcuna sicurezza; se libertà vuol dire spaccarsi schiena e mani per un
giorno intero rischiando la vita su un’impalcatura traballante e poi desiderare
solo di andare a riposarsi magari saltando la cena perché fra il sonno e la
fame vince il sonno; se libertà è tutto questo, allora c’è qualcosa che non va.
Ho temuto alcune volte, non conoscendo ancora bene la lingua italiana, di
aver frainteso il significato delle parole, che per esempio “libertà” significasse: “comprare o prestare un libro”.
D’altronde tanto errato non era questo mio pensiero, poiché il libro, in quanto
conoscenza, è lo strumento che ti avvicina di più alla libertà, però, come il
libro, se la “presti” puoi stare certo che non ti torna più indietro.
Ecco, io di libri ne ho letti molti, sperando di “liberarmi” dalla
schiavitù della miseria e dall’oppressione del regime militare che governa il
mio popolo, ma poi ho fatto il
fatidico errore del prestito; no, non dei libri, ma della mia libertà, e
l’ho messa in mano a persone poco raccomandabili che mi promettevano una vita
dignitosa in cambio di un periodo di lavoro “condizionato”: “Lavorerai un anno
per noi in cambio del trasporto in Italia, e poi, pagate le spese di viaggio,
sarai libero di andare dove vuoi”. “Andare dove vuoi”?
Vediamo: per abbandonare la mia “casa” di cartone dovrei affittarne una in
muratura, ma non avendo risparmi perché lavoro gratis, credo che rimarrò qui.
Però dopo, andrò alla ricerca di un nuovo lavoro più dignitoso e pagato, anche
se poco, ma pagato.
Non ho cittadinanza, né residenza, né casa, e a dire il vero neanche degli
abiti decenti per presentarmi da qualche parte. Allora resterò a fare il muratore clandestino e
a nascondermi quando arriva un controllo; però mi farò pagare. Sì, mi farò
pagare. Il padrone ha detto che non può pagarmi direttamente perché per lui non
esisto. Sono un clandestino e non vuole grane. Pertanto seguiterà a dare i
soldi al mio “protettore” e lui li darà a me…, se vuole, quanto vuole e quando
vuole.
Abdul mi ha proposto di dividere la stanza che
occupa con altri cinque connazionali per soli duecento euro. È
un’occasione perché a meno di quattrocento a persona non si trovano posti letto, ma io
non posso comunque permettermelo. Resterò nella mia baracca,, anche se devo
ricostruirla perché proprio questa notte una banda di ragazzi, armati di
spranghe, me l’hanno distrutta. Fortunatamente non ero ancora rientrato e così
almeno ho evitato il pestaggio o peggio. Ma ho perso ogni cosa. Ho perso anche
l’unica fotografia di me bambino con mio padre e i miei fratelli.
Sembra che sia stata una banda di “ragazzi di buona famiglia”, a detta
della stampa locale. Ma loro
chiamano “di buona famiglia” chiunque viva nell’agiatezza economica.
Quindi io automaticamente non lo sono. Certo che una famiglia che non ha saputo
dare ai figli i valori della solidarietà e dell’uguaglianza, proprio “buona”
non è stata. Ma sarà come per la parola “libertà”. Non conoscendo bene la
lingua forse ho travisato il
significato. L’italiano è proprio una lingua difficile: una stessa
parola può avere significati addirittura opposti. Ragazzo di “buona famiglia”
accoltella un migrante perché chiede insistentemente di comprargli un pacco di
fazzolettini. Ragazzi di”buona famiglia” danno fuoco ad un clochard.
Ragazzi di “buona famiglia” stuprano in cinque una studentessa canadese.
Ragazzi di “buona famiglia”, fanno morire di stenti e torture un pensionato con
problemi mentali. Un “malvivente tunisino” insulta un vigile che gli sequestra
la merce. Processo per direttissima.
E sì, credevo di trovare la democrazia vera in Italia, ma a conti fatti le
ingiustizie che ho trovato non sono poi così lontane da quelle che subivo nel
mio paese. Italiani “brava gente”!
Forse avrà lo stesso significato di “buona famiglia”. Sicuramente c’è la
brava gente, ma questa non appartiene per forza alla “buona famiglia”. Allora
saranno le persone semplici, quelle che lavorano tutta la vita per sostenere a
fatica i propri cari, a educare nell’onestà e nel rispetto del prossimo i
propri figli. Ma queste brave persone stanno dappertutto, in ogni angolo del
mondo. Ogni popolo invece è convinto di essere migliore degli altri soprattutto
se gli altri sono popoli più poveri di loro.
I portavoce della “buona
politica” poi, dicono che noi migranti togliamo lavoro agli
italiani, che siamo violenti e mettiamo a rischio l’incolumità delle loro
donne. Mi dispiace, questo non lo sapevo. Non sapevo che gli italiani
vendessero i fazzolettini davanti ai semafori e trattassero così bene le
proprie donne. Leggo in continuazione la cronaca di mariti o ex compagni che
uccidono di botte la moglie e qualche volta anche i figli.
Sono fuggito dal mio paese perché ora, con l’arrivo delle cosiddette multinazionali, molte statunitensi ma altre italiane, olandesi, francesi, che depredano le nostre risorse, c’è una massa talmente enorme di povertà che si litiga e ci si accoltella anche per il predominio della spazzatura. Sono fuggito perché nel mio paese non c’è libertà né di pensiero, né religiosa. Rubano i nostri soldi e, per non farlo comparire un furto, fanno leggi che stabiliscono la spartizione del bottino, in maniera “equa e solidale”. Ogni paio d’anni dividono le entrate fra i gruppi industriali più grandi, nei quali gruppi siedono ai vertici o gli stessi politici o i loro parenti e amici. La corruzione è talmente dilagante che anche le associazioni più “umanitarie” diventano lobby di potere e bacini di consensi.
Sono fuggito dal mio paese perché ora, con l’arrivo delle cosiddette multinazionali, molte statunitensi ma altre italiane, olandesi, francesi, che depredano le nostre risorse, c’è una massa talmente enorme di povertà che si litiga e ci si accoltella anche per il predominio della spazzatura. Sono fuggito perché nel mio paese non c’è libertà né di pensiero, né religiosa. Rubano i nostri soldi e, per non farlo comparire un furto, fanno leggi che stabiliscono la spartizione del bottino, in maniera “equa e solidale”. Ogni paio d’anni dividono le entrate fra i gruppi industriali più grandi, nei quali gruppi siedono ai vertici o gli stessi politici o i loro parenti e amici. La corruzione è talmente dilagante che anche le associazioni più “umanitarie” diventano lobby di potere e bacini di consensi.
È per questo che ci chiamate
“Terzo Mondo”? O perché non possedendo i vostri beni di consumo,
produciamo meno spazzatura? Perché qui in occidente, ho imparato che la
quantità di spazzatura prodotta è direttamente proporzionale al “benessere”.
Quando ero piccolo non c’erano ancora tanti militari in giro, poi con la
scusa della sicurezza, la polizia ed anche i vigili urbani sono stati armati e
per sopperire alla mancanza di personale si è iniziato ad usare l’esercito per
l’ordine pubblico fino ad arrivare alle cosiddette “ronde nere” per il basco
che indossavano. Le ronde erano formate da persone vicine al potere o che
volevano farsi ben volere dai capi locali. Dapprima le ronde giravano disarmate
poi furono armate anche loro e gli “incidenti”
di pallottole vaganti cominciarono a moltiplicarsi, ma cadevano
guarda caso, solo sui cosiddetti dissidenti.
Per fortuna tutto questo in Italia non c’è. Però nel mio caso non cambia
molto perché nel mio paese dovevo nascondermi e scappare ed in Italia
altrettanto. E pensare che sono sbarcato in questa nazione non solo per la
vicinanza ma anche per il fatto che a forza di stare in contatto con le
numerose ditte italiane che lavorano nel mio paese ho imparato abbastanza bene
la lingua. Le ditte italiane si sono ben integrate, soprattutto con il potere
politico. Loro non sembrano molto spaventati dal clima di repressione e corruzione,
pur provenendo da una nazione democratica, sembra quasi che ci siano abituati.
“Corruzione”. Ecco un’altra di quelle parole
strane che in Italia sembrano avere un valore diverso a seconda se vengono
usate in patria o all’estero. Così se un imprenditore corrompe un politico
italiano allora può scattare la denuncia, ma se l’imprenditore sta all’estero e
corrompe il potere locale magari per sfruttare risorse naturali e umane, allora
quell’azione diventa un “incentivo”,
un “investimento” e
magari il “costo” viene scaricato dalle tasse.
Che lingua strana l’italiano! I benpensanti per non offendere le persone
dal colore scuro della pelle evitano
di chiamarci “negri”, perché così venivano definiti gli schiavi
africani. Allora ci chiamano “neri”, con una punta di orgoglio, come per
sottolineare: “Vedi sto dalla tua parte, io ho un pensiero liberale e ti
considero una persona come me”. Ecco un altro doppio significato della lingua
italiana che ho difficoltà a comprendere. Se la parola “nero” viene riferita ad una persona dalla pelle scura è un
segno di rispetto, ma poi il lavoro che sono costretto a fare viene
chiamato:”lavoro nero”, in senso dispregiativo. È proprio vero che
la lingua si evolve. Quando anche in Italia c’era la dittatura non c’era il
lavoro nero, ma noi venivamo chiamati negri. Ora che c’è la democrazia veniamo
chiamati neri, ma dobbiamo fare il lavoro “negro”!
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