lunedì 28 luglio 2025

La frattura - Gian Andrea Franchi

Quello di Gaza è un genocidio esibito, qualcosa che viene reso accettabile. Per questo il tempo che viviamo è il tempo di una frattura: non siamo in grado di immaginare il mondo nel quale i nostri figli e nipoti si dovranno addentrare. Di fronte all’orrore del genocidio ordinario e a questa frattura prevale per lo più l’indifferenza di tantissime persone. Come si fa a contrastarla? È questa forse la prima domanda che dobbiamo porci se vogliamo vivere


Il tempo storico che stiamo vivendo è caratterizzato da una frattura indelebile del percorso storico della vita umana. In termini così profondi, ciò avviene probabilmente per la prima volta nella storia.

Questa frattura riguarda prima di tutto la trasmissione fra le generazioni. Noi non conosciamo e non possiamo immaginare il mondo in cui i nostri figli e nipoti si dovranno addentrare: non è la selva dantesca ma un oscuro deserto, un mondo ignoto sia per gli umani che per le altre forme di vita e l’intero contesto ambientale. Ciò significa, umanamente, rischio di perdita del senso della vita nei suoi passaggi fondamentali: nascere, crescere e morire.

Oggi l’anziano, l’adulto, non può lasciare il suo messaggio di vita a chi verrà dopo di lui. Il senso, il valore umano della vita, riguarda ciò che, nel linguaggio corrente, chiamiamo “interiorità” o “intimità”. L’interiorità più profonda, però, nasce e si sviluppa nel lungo e complesso percorso che ogni essere umano deve affrontare: dal grembo materno al balzo nella fuoriuscita natale, alla lunga e complessa costruzione della soggettività – nelle sue emozioni, nel suo linguaggio, nelle sue capacità trasformative dell’ambiente – per il tramite costitutivo del riconoscimento dagli e degli altri: il tutto nel contesto del tramandamento storico della cultura di una società a sua volta parte di una più vasta storia.

In quanto “europei”, non siamo figli di una cultura la cui trasmissione storica generazionale è caratterizzata da fratture anche molto violente e dolorose, da crisi epocali, devastazioni e guerre, ma lungo un cammino generazionale che non si è mai completamente interrotto: dalla crisi dell’Impero romano attraversata con il filo tenace della cultura cristiana, che procedeva a contenere la crisi dei poteri politici ed economici; alla formazione e al percorso dell’Europa medioevale; fino all’avvento, fra XVI e XVIII secolo, dell’economia di mercato, ovvero del capitalismo, sviluppatosi a macchia in alcune regioni. Con il capitalismo è avvenuta però anche l’invasione del mondo, riconfigurato con estrema violenza in termini di potere economico-politico, nell’ombra velenosa del razzismo.

Oggi, nell’indifferenza di massa e anche con la tormentata consapevolezza di minoranze attive, siamo tutti coinvolti in uno scarto temporale che possiamo definire tragico: non abbiamo, infatti, emozioni e parole in grado di elaborarlo. In verità, lo scarto è stato preceduto e gradualmente preparato da una continua regressione sociale, da una lunga crisi culturale e politica cominciata verso gli anni Ottanta.

Quel che ormai risuona nel nome “Gaza” indica un salto storico unico, una frattura, nella trasmissione fra le generazioni: le ultime generazioni vivranno in un mondo che oggi non possiamo immaginare e rappresentarci. La percezione dello scarto temporale non vuole riferirsi solo al genocidio – giustamente chiamato da uno storico del sionismo “una passione europea”1 (e al cui proposito occorre ricordare, a poche ore di auto dal nostro confine orientale, nel territorio che conosce il cammino delle nuove migrazioni, un nome e una data: Srebreniça 11-22 luglio1995). Il concetto di scarto temporale vuol indicare che è la prima volta che un genocidio è esibito in pubblico come qualcosa di accettabile, di ordinario, anzi di opportuno e anche necessario (almeno fino all’attacco israeliano e statunitense all’Iran, servito anche a mettere in secondo piano ciò che cominciava a suscitare qualche tensione, in giro per il mondo). Il genocidio nel territorio di Gaza, inoltre, con la fondamentale, esibita approvazione e compartecipazione degli Usa, senza di cui Israele non avrebbe potuto agire, ha avuto il pieno appoggio e l’aiuto concreto dell’Unione europea (tranne il parziale dissenso spagnolo). Il comportamento dello Stato d’Israele, quindi, ha distrutto definitivamente in faccia al mondo ogni retorica di diritto internazionale, con ovvie ricadute sui livelli nazionali. Ciò costituisce l’affermazione concreta coram mundo che il valore umano supremo è il denaro, il valore di scambio, tutto il resto, a partire dal valore della vita umana e non umana, viene dopo.

Di certo il valore di scambio ha un rapporto particolare con la guerra, la quale sta diventando la più importante forma di mercato ed è sempre stata centrale, sin dalla Prima guerra mondiale, nello sviluppo tecnologico.

Il tempo che viviamo è anche quello dell’annullamento di fatto della già assai limitata cultura dei diritti umani. A partire dall’attuale governo del nostro paese, che partecipa attivamente al genocidio quotidiano a Gaza inviando armi e materiali per armamenti ad Israele. La faccia interna di questa scelta internazionale è la graduale continua costruzione di un governo autoritario di cui il recente cosiddetto “decreto sicurezza” è un passaggio significativo.

Ma l’aspetto più grave di questa dinamica culturale diffusa è la passività, l’indifferenza di vaste masse di cittadini. Come si fa a contrastarla? È questa forse la prima domanda che dobbiamo porci se vogliamo vivere e non sopravvivere soltanto…

Questa breve riflessione non è puramente individuale: nasce infatti nel contesto di un impegno collettivo a partire dalla piazza del Mondo di Trieste, in cui sventola ogni sera la bandiera palestinese. Questa piazza è diventata, nel corso ormai di cinque anni, un centro d’impegno sociale e politico per portare a tutti – a coloro che vengono, a coloro da cui noi andiamo – il concretissimo messaggio storico inciso nei corpi migranti, proveniente dal passato coloniale e lanciato verso un futuro che ci appare tragico. Cercando insieme anche di trovare le parole per dirlo.


1 Georges Bensoussan, Genocidio. Una passione europea, Marsilio 2009.

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