Noa Avishag Schnall è stata arrestata l'8 ottobre dalle forze speciali israeliane che hanno abbordato l'imbarcazione Conscience e le otto barche a vela delle Thousand Madleens
La denuncia
è terribile: “Sono stata appesa per i polsi e per le
caviglie, ammanettata con catene di metallo, colpita sullo
stomaco, sulla schiena, sul viso, sull’orecchio e sulla testa da un gruppo di
guardie, uomini e donne, una delle quali si è seduta sul mio collo e sul mio
viso, impedendomi di respirare”. Questo il racconto agghiacciante delle torture
subite da Noa Avishag Schnall, fotoreporter ebrea di origini
yemenite nata a Los Angeles negli Stati Uniti, arrestata l’8 ottobre dalle
forze speciali israeliane sulla nave Conscience della Freedom Flotilla
Coalition, con a bordo oltre cento tra medici e infermieri e alcuni
giornalisti che volevano arrivare a Gaza. Lungo curriculum da fotografa e scrittrice,
dallo Yemen alla Norvegia e all’Africa, era lì per documentare la spedizione
umanitaria. Ora è libera come tutti gli altri partecipanti. Il caso è stato
reso noto dalla Freedom Flotilla Coalition.
La nave
Conscience e le otto barche a vela delle Thousand Madleens sono state bloccate
all’alba dell’8 ottobre a circa 150 miglia nautiche dalle
coste della striscia di Gaza. Qualche giorno prima, la notte tra il 1° e il 2
ottobre, erano state intercettate qualche decina di miglia più avanti le 43
barche della Global Sumud Flotilla. Tutti i partecipanti, i 462
della Sumud e i 150 della Freedom Flotilla, sono stati portati al porto
di Ashdod e poi nel carcere speciale di Keziot.
Cambiano le sigle e alcuni dettagli, l’obiettivo era sempre quello di forzare
il blocco navale che da 18 anni stringe anche dal mare la Striscia,
lasciando a Israele la piena potestà di stabilire cosa entra e cosa no in
termini di aiuti alimentari, medicinali e operatori umanitari.
“Le
testimonianze riferiscono di aggressioni fisiche e verbali, di
persone costrette a restare per ore sotto il sole, della confisca di beni
personali, di condizioni di prigionia estremamente dure nel carcere di Ketziot,
tra cui mancanza di cibo e acqua potabile, sequestro e negazione
all’utilizzo dei medicinali salvavita, negazione dell’accesso
agli avvocati e udienze svolte senza preavviso o adeguata
rappresentanza legale”, riferisce Adalah, l’associazione delle avvocate quasi
tutte donne arabo-israeliane che hanno assistito, nei limiti del possibile, i
partecipanti alle due missioni. È evidente che si tratta di comportamenti
illegali, fin dall’abbordaggio in acque internazionali. Alla Procura di Roma
peraltro dovrebbe essere già aperto un fascicolo sulla base di due
esposti degli avvocati dei partecipanti alla Global Sumud, altre
iniziative giudiziarie sono in corso a livello internazionale.
Ma in alcuni
casi il trattamento è stato peggiore, gli arrestati sono stati colpiti,
costretti a stare in ginocchio con la faccia a terra, costretti con
la forza e la minaccia a ripetere frasi a favore di Israele o insulti rivolti
a sé stessi. In questo campionario si ritrova l’episodio più grave ai danni di
Noa Avishag Schnall. A Keziot diversi partecipanti alla Global Sumud tra cui il
brasiliano Thiago Avila, la svedese Greta Thunberg e
l’italiano Tony Lapiccirella, che erano al secondo tentativo di
rompere il blocco navale davanti a Gaza, sono stati trattenuti in isolamento. E
fin dal trasferimento dal porto al carcere, sui furgoni blindati, decine di
arrestati sono stati sottoposti a un getto di aria gelida, una
tecnica impiegata anche con i detenuti palestinesi che certamente rientra in
tutte le definizioni internazionali della tortura. È stata somministrata anche
a chi scrive.

Nessun commento:
Posta un commento