Un testo di Karim Franceschi (*) e la risposta
di Adelinda Baumann. A seguire altri sguardi sul movimento con 6 link a
“Comune.info”.
Testo di Karim:
Cento città italiane sono
entrate in sciopero oggi.
I bambini di Gaza che muoiono
di fame, gli ospedali ridotti in polvere, i corpi che continuano a essere
estratti dalla terra, niente di tutto ciò è bastato a mobilitare la sinistra
bianca.
Alcuni attivisti europei sulle
barche vengono fermati e, per citare Joker, “beh, allora tutti perdono la
testa!”
Quello è stato il punto di
rottura.
Quando coloro che dovrebbero
muoversi liberamente, i non identificati, i mobili, i titolari di diritti
universali, vengono improvvisamente fermati, il sistema balbetta.
Non perché la giustizia sia
stata violata.
Ma perché “non faceva parte del
piano”.
Per mesi, Gaza è stata la zona
di fissità. Lo spazio del localizzabile.
Sorvegliati, uccisi, affamati,
accerchiati.
Le loro morti erano
prevedibili. Accettabili.
Ma toccate coloro che viaggiano
con il passaporto, che si presentano nel linguaggio della legge e della
neutralità, e l’indignazione esplode.
Gli attivisti torneranno a
casa. Parleranno di sconvolgimenti, resistenza, coraggio morale.
Sono stati nutriti,
fotografati, accuditi.
E sullo sfondo, un genocidio
continua, incorniciato ora non dai corpi che cancella,
ma dallo spettacolo di una deviazione
nella mobilità bianca.
Funziona così:
L’urlo non si sente finché non
echeggia attraverso una voce familiare.
Non quando i bambini muoiono di
fame, ma quando agli europei viene detto “non potete passare”.
Non è empatia. È panico
identitario.
Un tremore nel meccanismo di
chi è autorizzato a muoversi e chi è destinato a rimanere e morire.
La flottiglia è stata
brillante, non perché ha sfidato il potere, ma perché ha toccato un nervo
scoperto.
Ha portato i corpi bianchi
pericolosamente vicini ai campi di sterminio, la non-terra, il non-luogo, dove
i bambini di colore vengono cancellati con precisione industriale.
La sola vicinanza della carne
europea a una zona riservata all’infanticidio sistematico ha fatto venire i
brividi lungo le schiene europee.
Ma era una farsa.
Nel momento in cui gli
attivisti vengono nutriti, accuditi e riportati a casa, sani e salvi,
l’illusione di un destino condiviso si infrange.
E cosa resta, allora?
Risposta di Adelinda:
Quello che dici è vero e non
sei stato l’unico a farlo notare. Lo fecero notare già alcune giornaliste
italiane (Leyla Belmoh e Giulia Paganelli tra le prime che ricordi) appena
pronunciato il famoso discorso del portuense genovese, frase che poi divenne
slogan da tutte le parti, e ricordo aver condiviso questo stesso pensiero.
Certo è fortemente nichilista e certo, dopo anni di morte celebrale, leggere
questa realtà ai bianchi, comodi, europei, fa male, motivo per cui scattano. E
scattano come non mai. Chi non ha il privilegio del passaporto pass par tout lo
sa; conosce bene la differenza di peso tra la vita di chi invece ha alle spalle
una storia di cui non importa a nessuno.
Spero tu comunque sia in piazza.
Che questo non sia una distanza
da chi si è svegliato oggi, e che una riflessione come questa – che invece é
fondamentale – possa attraversare il ragionamento fino a far percepire e
comprendere loro il privilegio che si vergognano ad ammettere.
I due testi sono ripresi dalla
pagina facebook del centro sociale Arvultura di Senigallia.
(*)
https://www.labottegadelbarbieri.org/la-resistenza-curda-dopo-il-tradimento-americano
e
https://www.labottegadelbarbieri.org/ascoltando-karim-franceschi-partigiano-a-kobane/
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