La guerra è uno dei più efficaci strumenti di controllo delle coscienze. Allo stesso tempo ci distrae e alimenta paura, rabbia e rassegnazione, ostacolando il nostro processo evolutivo. Il bersaglio delle guerre non è mai uno solo. Da un lato ci sono i popoli che si combattono, o gli aggressori e i perseguitati: uomini e donne che muoiono, case che crollano, scuole, chiese e storie che vengono cancellate. Dall’altro ci sono gli spettatori, che vengono spinti nella frequenza dell’odio. I due aspetti possono sembrare distinti, ma sono in realtà strettamente collegati, parti di un unico processo. Come un circolo che si autoalimenta.
Se noi lasciamo che lo spirito della guerra entri dentro di noi, la
rendiamo possibile sul piano della realtà. Se invece costruiamo un terreno
differente e non ci lasciamo contagiare dalla violenza, stiamo contribuendo a
salvare vite innocenti.
Come si fa a essere pacifisti?
È un vero pacifista chi sventola la bandiera degli oppressi e, quando
qualcuno per errore gli taglia la strada in macchina, lo aggredisce con insulti
e minacce?
È un vero pacifista chi la domenica manifesta in piazza per la pace nel
mondo e il lunedì, in casa sua, lancia i coltelli ai parenti?
È un vero pacifista chi augura la morte a qualcuno, chiunque esso sia?
Nel momento in cui ci abbassiamo ad alimentare la violenza, nella pratica,
nelle parole o anche solo nelle immagini e nei pensieri, stiamo contribuendo
alla diffusione della guerra.
Il vero pacifista è chi lavora instancabilmente per rimuovere il germe
della guerra dalla propria coscienza. È chi diventa così bravo a osservarsi da
riconoscerlo quando si presenta e a non farsi condurre da esso. Per fare ciò
bisogna essere dei guerrieri. Come Muhammad Alì, l’uomo più forte del mondo,
quando gli chiesero di andare a sparare ai vietnamiti per rappresentare la sua
nazione e lui disse semplicemente di no. Disse che non avrebbe mai sparato
contro i suoi fratelli, ovvero altri uomini e altre donne.
Basterebbe questo. Basterebbe dire di no, quando qualcuno ci chiama a fare
ciò che va contro la nostra coscienza. Immaginate un giovane soldato, quando
viene reclutato a sterminare donne e bambini – come accade oggi e come accadeva
mille anni fa – che dice semplicemente di no: “io non lo faccio”. Con un solo
moto di coscienza tutto lo spettacolo della morte crollerebbe in un solo
istante. Ma perché ciò sia possibile bisogna educare le nuove generazioni, da
un lato all’ascolto di sé stesse e dall’altro alla forza che servirà loro per
difendere il frutto del loro ascolto. La forza senza ascolto di sé diviene
strumento nelle mani del potere. L’ascolto senza forza si spegne nel vento. È
inutile parlare di pace quando i giovani sono abbandonati alla distrazione di
massa e cullati nel mito della comodità e del minimo sforzo. La pace è il
frutto di una lotta, una lotta spirituale contro il male. Un mondo di pace è un
mondo di guerrieri.
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