Dopo che Trump ha chiuso i cordoni della borsa per
sostenere l'Ucraina all'Europa non rimangono che due strade per sostenere Kiev:
o saccheggiare gli asset della banca centrale russa congelati in Europa ed
esponendo così l'Euro ad un danno reputazionale nei confronti degli investitori
internazionali oppure far imbestialire le popolazioni europee spendendo soldi
per la guerra magari sottratti ad altre poste di bilancio come per esempio il
welfare o le spese per le infrastrutture.
Una volta
compreso che la guerra in Ucraina era inevitabile - sostanzialmente
parliamo dell'epoca in cui furono sottoscritti gli accordi di Minsk – i leader
europei si sono attivati per minimizzare i costi umani e finanziari per
l'Europa. Almeno nelle intenzioni.
Molto
probabilmente capirono subito che lo schema che avrebbe consentito all'Europa
di minimizzare il più possibile i costi del conflitto era quello applicato alla
Libia di Gheddafi. Ovverosia, quello schema per il quale, dopo l'aggressione
militare alla Libia, che decretò la caduta del regime di Gheddafi, si
procedette al saccheggio degli investimenti finanziari effettuati dallo stato
libico in Europa attraverso la finanziaria statale Lafico.
Premessa
fondamentale per realizzare questo genere di operazione è quella di “congelare”
gli assets del paese aggredito sin dal primo momento. Così avvenne con la Libia
e così è avvenuto immediatamente con le riserve valutarie della Banca Centrale
Russa presenti in Europa, appena le truppe russe sono entrate ufficialmente nel
Donbass il 24 Febbraio 2022.
A pensarci
bene il piano europeo era ben congegnato. Imporre sanzioni molto forti alla
Russia e armare l'Ucraina così da provocare una sconfitta di Mosca o sul campo
di battaglia o mediante un rovesciamento interno del “regime di Putin” (usiamo
l'espressione tanto cara al mainstream occidentale) e infine ripagarsi dei
costi sostenuti impossessandosi – in tutto o in parte – di quanto la Banca
Centrale Russa ha investito in assets europei. Secondo le stime del Centro di
analisi della politica europea di Washington (CEPA) si parla di cifre davvero
astronomiche; circa 200 miliardi di dollari nell'Unione Europea e altri 30
miliardi di dollari in Gran Bretagna.
Vista
l'inaspettata – e per gli occidentali davvero incredibile – resilienza dei
russi, il piano di saccheggio delle riserve russe investite in Europa era stato
messo in stand-by anche perchè i rischi erano (e sono) maggiori rispetto al
possibile tornaconto. Infatti se la Russia continua a stare in piedi e a combattere
nonostante gli assets russi venissero saccheggiati, tutti i governi e gli
investitori capirebbero due cose: che chiunque può essere derubato da atti di
pirateria occidentali ma anche che si può resistere all'occidente e dunque è
possibile creare alternative finanziarie ad esso.
L'unica
eccezione fatta dai governi europei alla decisione di mettere in stand-by
la questione degli assets russi congelati è quella di utilizzare gli interessi
sugli assets russi congelati per sostenere l'Ucraina nel conflitto (ad agosto sono stati sbloccati 1,6 miliardi di
euro a questo scopo); comunque sia l'immenso tesoro russo bloccato in Europa, è rimasto
comunque intonso, nonostante le mire e gli appetiti degli europei.
Il tema
dell'utilizzo di questi fondi è riemerso in maniera fortissima in questi primi
giorni d'autunno. Secondo l'analista del CEPA
(Centro Analisi Politica Europea di Washington) Aleksandr Kolyandr ciò è dovuto al fatto che
l'Ucraina ha urgente necessità di ingenti somme per sostenere il suo sforzo
bellico e soprattutto, a causa del fatto che gli USA di Trump hanno stretto i
cordoni della borsa e sostanzialmente demandato all'Europa l'onere di sostenere
Kiev.
Nota
sempre Kolyandr, che l'eventuale “esproprio” degli assets russi
comporterebbe l'immediata rappresaglia di Mosca che immediatamente si
approprierebbe degli assets europei in Russia. Ma la cifra ammonterebbe
comunque a circa 20 miliardi di euro e dunque una frazione quasi irrisoria
rispetto a quanto incasserebbero i paesi europei.
Ad aver
riaperto le danze sulla questione, sono stati i tedeschi (bisogna dire sempre
attentissimi alle questioni finanziarie). Secondo Politico,com Michael Clauss,
consigliere per gli affari europei del cancelliere tedesco Friedrich Merz ha
dichiarato che la Germania è pronta a valutare proposte per la requisizione
degli assets russi purchè siano giuridicamente fondate.
Manco a
farlo apposta, è uscita immediatamente l'ultima proposta della Commissione
Europea in relazione a questo tema. L'organo presieduto da Frau Ursula von der
Leyen prevede infatti di prendere miliardi di euro delle riserve valutarie
russe congelate, sostituendoli con obbligazioni garantite dall'UE. Sempre
secondo la pubblicazione americana Politico la Germania sta facendo pressione
sugli altri paesi europei affinché sostengano il piano in vista dell'incontro
informale dei leader dell'Unione Europea a Copenaghen il 1° ottobre. La
Commissione Europea intende presentare una proposta ufficiale quando questa
riceverà l'approvazione della maggioranza dei paesi UE.
Una proposta
che, va detto, lascia perplessa sia la società Euroclear nella quale sono
detenuti la maggior parte degli assets russi, sia il Belgio che è il paese dove
Euroclear ha sede legale, perchè potrebbe esporre sia la società sia Bruxelles
a gravi conseguenze legali.
Comunque
anche su questo tema l'Europa sta giungendo al punto di non ritorno:
Bruxelle dovrà scegliere, tra il far imbestialire la popolazione europea
spendendo cifre enormi per sostenere l'Ucraina nel suo sforzo bellico
oppure requisire gli asset russi procurandosi un danno reputazionale agli
occhi del mondo che vedrebbero questo comportamento come un vero e proprio atto
di pirateria finanziaria. Un danno reputazionale che alla lunga potrebbe destabilizzare
sia il sistema finanziario europeo che non avrebbe più la fiducia degli
investitori mondiali.
Una scelta
non facile che sarà comunque gravida di conseguenze negative.
Nessun commento:
Posta un commento