Pubblichiamo la lettera integrale che Maiindifferenti e L3a, reti ebraiche per la pace, hanno indirizzato all'Unione delle comunità ebraiche e ai presidi delle scuole che hanno invitato un soldato dell'Idf nei loro istituti
di LƏa –
Laboratorio ebraico antirazzista e
Mai Indifferenti – Voci ebraiche per la pace
Alle soglie
di una fragile “pace” e davanti a uno scenario di completa distruzione, dove
sta andando l’UCEI? Le reti Maiindifferenti – Voci ebraiche per la
pace e L3a – Laboratorio ebraico antirazzista, da anni attive in Italia, hanno
segnalato all’Unione delle Comunità ebraiche, alle scuole ebraiche e alle
Comunità medesime, già dal 3 ottobre, l’inopportunità del tour di un soldato IDF nelle scuole, quasi a
voler fare proseliti tra la gioventù dei licei. A questa lettera, di cui qui si
riporta il testo integrale, nessuno ha risposto.
***
Alla c.a. Presidenti e consiglieri dell’UCEI e delle
Comunità ebraiche di Roma e Milano
Presidi delle scuole ebraiche di Roma e Milano
Gentili
presidenti, presidi, e consiglieri,
Siamo rimasti sconcertati nell’apprendere che le scuole delle Comunità
ebraiche di Roma e Milano hanno invitato un militare dell’IDF, Adi
Karni, a incontrare gli studenti dei licei. Immaginiamo che l’evento
sia avvenuto con il coordinamento dell’UCEI, la cui presidente era presente in
almeno una occasione.
Seppure nella continuità di una linea politica di appoggio alle
sciagurate azioni militari israeliane, che abbiamo già più volte deplorato,
questo episodio ci sembra di una nuova e particolare gravità.
Del
sig. Karni sono disponibili video in cui, con lo stesso
sorriso smagliante che ha sfoggiato nelle scuole ebraiche, fa esplodere una
moschea – un probabile crimine di guerra, come ben sa l’UCEI che ha
avuto modo di ricordare (quando nel luglio scorso Israele ha attaccato una
chiesa di Gaza uccidendo tre persone) che “il rispetto e la protezione dei
luoghi religiosi, di qualunque fede essi siano, sono fondamentali per la convivenza,
la dignità umana e la speranza di pace”. Karni stesso ha dichiarato di aver
evitato di pubblicizzare la propria venuta in Italia per timore di
finire oggetto di un esposto per crimini di guerra come già gli è
successo in altri paesi.
Si obietterà
probabilmente che gli studenti hanno potuto vedere che un tipico soldato
israeliano non è altro che un ragazzone di 22 anni, un giovane
affabile che ama la sua famiglia e il suo paese, che è coraggioso ma anche
simpatico, che potrebbe essere nostro cugino. Non dubitiamo che anche tutte
queste cose siano vere. Ma agli educatori è ben noto che le persone che
partecipano a massicci crimini contro l’umanità (e l’assalto israeliano a Gaza
rientra, al minimo, in questa categoria) non sono psicopatici, ma
per lo più persone normalissime che sono state educate male. O meglio: che
hanno ricevuto un’istruzione normalissima sotto la maggior parte dei punti di
vista, ma al contempo sono stati educati a svalutare o negare l’umanità delle
vittime designate.
Così Karni
può a sua volta predicare, riferendosi al massacro di cui è parte, che
nella Gaza che ha contribuito a radere al suolo ha visto “solo
odio”, che “stiamo facendo il lavoro sporco per voi”, spiegando che “l’Islam
avanza in Europa”. Insomma il più puro prodotto della peggiore
educazione israeliana (musulmani = male da eliminare fisicamente, con
sorriso e armi pesanti) viene importato e proposto come progetto educativo alle
ragazze e ai ragazzi riuniti apposta in Aula Magna.
Il fatto è
ancora più preoccupante se è vero, come la radio di Tsahal ha
riportato il mese scorso, che l’esercito israeliano, a corto di personale, sta
cercando modi di arruolare centinaia di giovani ebrei della Diaspora.
L’affabile propaganda di Karni andrebbe contrastata coi numeri della catastrofe
in corso da due anni: più di 65mila palestinesi uccisi, di cui oltre l’80%
civili secondo dati dello stesso esercito, centinaia di palestinesi morti per
fame. A fronte di 8 ostaggi recuperati vivi in azioni militari, 3 ostaggi sono
stati uccisi a bruciapelo dalla stessa fanteria israeliana e un numero
indeterminato da attacchi dell’aviazione; oltre 900 soldati uccisi in
combattimento, 46 morti per suicidio post traumatico.
E la
baldanza di Karni andrebbe contrastata con la testimonianza su Haaretz di
un altro soldato, Yoni:
“Terroristi,
terroristi”, ha
gridato un commilitone [a maggio 2025, a Beit Lahia]. “Ci siamo lasciati
prendere dal panico, io ho preso subito il Negev [una mitragliatrice] e ho
cominciato a sparare all’impazzata, lanciando centinaia di proiettili. Poi
avanzando mi sono reso conto che era stato un errore”. Di terroristi non ce
n’erano. “Ho visto i corpi di due bambini, forse di 8 o 10 anni, non ne ho
idea”, ricorda Yoni. “C’era sangue ovunque, molti segni di spari, sapevo
che era tutta colpa mia, che ero stato io a farlo. Volevo vomitare.
Dopo pochi
minuti è arrivato il comandante della compagnia e ha detto freddamente, come se
non fosse un essere umano: ‘Sono entrati in una zona di sterminio, è colpa
loro, la guerra è così’”. […] “Soffro di flashback di quell’evento”, racconta.
“I loro volti mi tornano in mente e non so se riuscirò mai a dimenticarli”.
Riteniamo
che l’organizzazione di questo evento rappresenti una perversione
totale della missione educativa delle scuole delle nostre comunità.
Chiediamo le dimissioni immediate degli assessori alle Scuole
e delle altre persone responsabili. E proponiamo come necessaria
l’organizzazione per gli studenti di un incontro con associazioni di refusnik israeliani
e altre organizzazioni che si oppongono all’approccio militarista e di continua
disumanizzazione dei palestinesi. Accanto a loro, potrebbero essere invitati
esponenti di molte organizzazioni israeliane e palestinesi che non esitano ad
affrontare insieme anche gli aspetti più dolorosi di quello
che sta succedendo, per capire cosa possono fare per un futuro di giustizia.
E questo non
per realizzare una “par condicio” amorale, ma perché riteniamo
che se le scuole ebraiche intendono inculcare valori civili ed ebraici, e al
contempo una conoscenza ragionata della società israeliana, non c’è di meglio
che conoscere i ragazzi che incarnano questi valori nel modo più puro oggi
possibile: rifiutandosi, a rischio di un forte costo personale, di partecipare
al massacro. Crediamo che non promuovere e supportare il loro lavoro
sia un grande errore e porti le comunità a un isolamento autoindotto. Ci
rendiamo fin d’ora disponibili a collaborare alla realizzazione di queste
proposte.
Shanà tovà e
un cordiale Shalom
***
Le reti
speravano in una risposta “equilibrata”, pur nella consapevolezza
della diversità delle posizioni culturali e politiche del mondo ebraico
ufficiale rispetto alle nostre. Invece l’UCEI non si è espressa, e il silenzio
è calato anche su altri episodi recenti:
– una squadraccia capitanata dal noto Riccardo Pacifici, esponente
della Comunità ebraica romana, ha aggredito gli studenti di un liceo che
confina con la sinagoga di Roma; alcuni sono finiti all’ospedale, e gli
insegnanti della scuola testimoniano la brutalità dell’aggressione;
– la ministra Roccella, in un convegno cui partecipavano anche la presidente UCEI e l’assessore alla Comunicazione, ha dichiarato
che le “gite” ad Auschwitz sono state “incoraggiate e valorizzate” perché avevano come bersaglio “una
precisa area storico politica”, quella fascista , affermando quindi che le
“gite” servono solo a ribadire “che l’antisemitismo è solo una questione degli
antifascisti”.
– una inquietante pdl a firma Gasparri, che segue la presentazione di
altri due progetti a firma Lega e Italia viva, potrebbe condurre a definire
antisemita qualsivoglia manifestazione di dissenso nei confronti del governo
israeliano da parte di chiunque – movimento, associazione, partito – e in
qualsivoglia azione/iniziativa pubblica, colpendo preventivamente i soggetti.
A breve si
terranno in Italia le elezioni del nuovo Consiglio dell’UCEI, nonché dei
Consigli delle Comunità ebraiche italiane. E allora ci si chiede: dove
sta andando l’UCEI?
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