Lo ammetto, fino a qualche giorno fa mi ero convinto che dopo Gaza non avremmo più dovuto né potuto usare la parola “umanità”, in nessuna delle sue accezioni. Al di là del mero dato scientifico biologico, che ci assegna alla stessa specie, il genere umano (“il complesso di tutti gli uomini viventi sulla terra”, dice la Treccani); non avremmo più potuto affermare di appartenere a una stessa comunità “umana”. Non ne avremmo più avuto il diritto. Una comunità si fonda, innanzitutto dell’altro come nostro simile. Come qualcuno con cui si ha qualcosa da condividere e questo oggi non sta accadendo. Non siamo stati capaci di condividere questo senso di appartenenza e fino a poco fa non ne saremmo neppure più stati degni.
Lo stesso
valeva per l’altra accezione: “Sentimento di solidarietà umana, di comprensione
e di indulgenza verso gli altri uomini”. Umanità racchiude un insieme
di valori che si contrappongono alla brutalità, all’egoismo, alla
cattiveria, alla brutalità. Anche qui sembrava avessimo fallito. Fallito
per menefreghismo, indifferenza, disattenzione, cose ancora peggiori della
violenza esercitata dalle truppe israeliane.
Invece,
qualcosa è accaduto. Mi
sono tornati in mente i versi di Francesco De Gregori “E poi
la gente, (perché è la gente che fa la storia) / quando si tratta di scegliere
e di andare / te la ritrovi tutta con gli occhi aperti / che sanno benissimo
cosa fare”. Sì, nelle strade, nelle piazze abbiamo dimostrato che sappiamo cosa
si deve fare e se chi governa finge che nulla sia accaduto, significa che la
parola “democrazia” si sta svuotando dei suoi valori. Sì, perché non basta
andare a votare ogni 4-5 anni per essere democratici, se non
si ascoltano le istanze di decine di migliaia di donne e uomini che sono scesi
a manifestare il loro sdegno non solo per il genocidio in corso, ma per
l’indifferenza del governo, per non dire della sua complicità.
Democrazia
non significa dittatura della maggioranza, perché un simile
atteggiamento conduce a una forma di fondamentalismo democratico, che è
tutt’altra cosa, vedi Trump e la sua accolita. Peraltro, di fronte a una così
imponente mobilitazione spontanea, nata senza il supporto di partiti o
sindacati, non può essere liquidata con la scusa di qualche episodio fuori dal
coro. Lasciando perdere l’attribuzione della violenza alla sola sinistra,
da parte di chi continua a negare le peggiori stragi che hanno colpito il
nostro Paese, è meschino e dilettantesco tentare di sviare l’attenzione con
trucchetti di bassa lega. Sì ci sono stati episodi deprecabili, ma non si ha il
diritto di definire violenza qualche vetro rotto, dopo mesi di
silenzio su migliaia di vite spezzate. No.
Un governo
sanamente democratico dovrebbe prendere atto che una buona fetta della
popolazione, generazioni diverse, appartenenze diverse, ha voluto esprimere
solidarietà alle vittime del genocidio in corso per mano del governo israeliano,
ma anche lo sdegno per l’indifferenza manifestata dai vertici
dello Stato, asservito a interessi politici ed economici. Quelle piazze gremite
hanno urlato che ci sono altri valori da difendere al di là delle alleanze di
convenienza, che il dolore di quelle donne, uomini e bambini massacrati ogni
giorno è e deve anche essere in nostro dolore.
Che la
parola “umanità” ha ancora un senso. Forse non ce l’ha per chi
commenta con toni sprezzanti certe dichiarazioni considerate “buoniste”, non ce
l’ha chi irride chi vuole la pace.
Non ci aspettavamo di meglio da loro, anche se in fondo lo avremmo sperato.
Quello che conta è che da quelle piazze è partito un grido forte, che risuona
in tutto il Paese. Continuiamo a urlarlo, che risuoni per altre piazze, in
altre strade. Servirà.
La storia
siamo noi, nessuno si senta escluso.
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