La sinistra deve prendere atto del fatto che neppure i compromessi possono salvare la democrazia dal potere e dalla volontà di potenza del capitalismo e della tecnica. Rileggere Napoleoni può aiutare a trovare una via d’uscita dalla società tecnocratica
Claudio
Napoleoni (1924-1988), un altro grande intellettuale e politico della sinistra
oggi sostanzialmente dimenticato dalla stessa sinistra. Da una sinistra, oggi
ma come scriveva Napoleoni già allora, dove “non c’è più l’abitudine a
ragionare in grande, cioè per grandi problemi, per grandi prospettive,
soprattutto” – una sinistra incapace (a parte lodevoli eccezioni) non solo di
pensare alla rivoluzione, a una (in realtà sempre più urgente) uscita dal
tecno-capitalismo, o al “progressivo abbandono delle strutture in cui oggi vive
il dominio” (soprattutto la tecnica), ormai lasciandosi sopraffare e quindi
solo adattandosi o facendosi solo resiliente a ciò che il capitale e il neoliberalismo
impongono come dati di fatto ineluttabili e immodificabili. Una abitudine a
ragionare che invece dovrebbe essere ancora più necessaria oggi – ragionare in
grande, cioè per grandi problemi, per grandi prospettive, soprattutto mentre
capitalismo e tecnica (il nuovo Principe del mondo, con i suoi intellettuali
organici, altro che partito gramsciano ed egemonia del proletariato) stanno
costruendo un nuovo tecno-fascismo (Musk & Trump e i loro
emulatori in giro per il mondo), e/o una tecno-destra apparentemente
libertaria e anarchica (definizione tautologica, quella di tecno-destra:
per come si impone appunto come dato di fatto sulla società, l’innovazione
tecnologica è sempre industrialista/positivista e di destra per sua essenza,
comunque anti/a-democratica), e/o una tecno-oligarchia reazionaria a
dominio e a egemonia (sempre nel senso di Gramsci) globale,
risvegliando/riattivando con la tecnologia quel fascismo
potenziale e quella fascinazione di massa per la personalità
autoritaria di cui scrivevano settant’anni fa Adorno e la prima Scuola di
Francoforte – o quell’Ur-fascismo di cui aveva scritto Umberto Eco
nel 1997.
A rileggere
Napoleoni – economista, filosofo, politico, intellettuale poliedrico, sempre
impegnato a ragionare sull’economia (mentre oggi l’economia è chiusa nei propri
modelli autoreferenziali, avalutativi e senza confronto con la realtà reale) e
sulla politica, su Marx, su Sraffa, su Heidegger, con Rodano e con Del Noce,
sulla religione.
Impegnato
soprattutto a cercare ancora e sempre e quindi
attualissimo ancora di più oggi, ponendosi soprattutto domande (“la nostra
condizione ideale e politica presente è tale che già la formulazione di domande
determinate può essere considerato un passo avanti”), partendo da un “guardare
in modo diverso al rapporto tra l’uomo e il mondo, diverso cioè da quello
stabilito dalla prospettiva della produzione-appropriazione-dominazione” e
dalla “riduzione di ogni realtà, soggettiva e oggettiva,
a elemento di una disposizione generale alla manipolazione tecnologica di una
produzione in cui mezzo e fine coincidono”. A rileggere Napoleoni ci aiuta la
riedizione (benvenuta!) delle sue Lezioni sul capitolo sesto inedito
di Marx, appena
uscite con Rogas Edizioni, per volontà e per l’ottima cura di Gabriele Guzzi e
pubblicate la prima volta nel 1972 da Boringhieri; Lezioni tenute
da Napoleoni alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino nel
1971.
Lezioni che qui, anche se brevemente e
concentrandoci su alcuni spunti, rileggiamo a nostra volta, per poi allargare
il campo, anche noi ponendo domande. Rileggiamo dunque Marx, con Napoleoni. E
partiamo da qui: il processo lavorativo non è che un mezzo al fine del processo
di valorizzazione, scriveva Karl Marx, e nel processo di valorizzazione “non è
l’operaio che utilizza i mezzi di produzione, ma sono i mezzi di produzione che
utilizzano l’operaio. Infatti, il lavoro, in quanto lavoro astratto –
e nel processo di valorizzazione il lavoro è lavoro astratto –
non ha che una funzione da svolgere: conservare e aumentare il
valore del capitale, producendo un valore che contiene il valore del
capitale e un plusvalore”. E come correttamente sottolineava Napoleoni, “non si
tratta qui di una merce posseduta dall’operaio, ma si tratta dell’operaio
stesso, quindi si tratta della alienazione della soggettività
stessa del lavoratore”; e il lavoro, come Napoleoni legge in Marx, è usato
dai mezzi di produzione, che ne assorbono, ne succhiano la quantità occorrente
a tale valorizzazione. E tali mezzi diventano fini e il lavoro diventa mezzo
per la loro valorizzazione.
Perché –
continuava Napoleoni – “come nella religione gli uomini sono dominati dai loro
prodotti mentali, perché si ritengono creature di ciò che essi stessi hanno
creato nell’immaginazione, così nella produzione mercantile capitalistica gli
uomini sono dominati dai loro prodotti materiali, le merci […]. Quindi, come
nella religione l’oggetto, la divinità, è posto come soggetto e i soggetti che
l’hanno prodotto si pensano come suoi oggetti, così nella produzione
capitalistica l’oggetto, la merce, il capitale è realmente posto come il
soggetto a cui i produttori sono sottoposti come suoi oggetti”. Di più:
l’impiego della macchina e la diffusione della macchina, secondo un principio
di accrescimento del sistema delle macchine, “giacché l’impiego
della macchina in un luogo, da un lato consente, dall’altro pretende l’impiego
della macchina altrove, perché tra i vari settori esistono rapporti di complementarietà
tecnica […]; cioè è impossibile che un settore sia
meccanizzato e un altro no; alla fine lo saranno tutti” – come accade oggi
ancora di più con il digitale e la convergenza delle macchine (Anders) in
macchine sempre più integrate, e gli uomini con loro – cui si aggiunge l’IA.
Perché “la pienezza della produzione capitalistica si ha soltanto quando il
capitale determina la tecnologia”. Cioè il lavoro non è più al punto di inizio
di un processo tecnico, ma è soltanto inserito in un luogo intermedio di questo
processo e riceve le sue specificità non da se stesso, ma dalle macchine. Quindi,
scriveva Marx, l’attività dell’operaio è ridotta a una semplice astrazione di
attività, essendo in realtà regolata – come oggi, aggiungiamo, via digitale/IA,
ma la natura del processo non cambia, semmai si aggrava la dipendenza
dell’operaio, come di ciascuno di noi, dalle macchine e dai loro
automatismi/machine learning/IA – da tutte le parti del movimento del macchinario,
oggi diventato appunto algoritmico/digitale. Imponendo all’operaio (noi
diciamo: a tutti noi forza-lavoro di produzione, di consumo, di generazione di
dati, a pluslavoro crescente, ben più di ieri e
dell’Ottocento) le qualifiche necessarie, che non sono più provenienti dalla
soggettività dell’operaio e dal suo lavoro (e dalle sue conoscenze), ma
provengono direttamente dalle esigenze della struttura e dalla macchina, che si
pone ora all’inizio del processo produttivo – e che chiede solo competenze a fare,
avendo espropriato ciascuno della conoscenza e avendola centralizzata nelle
macchine, dal taylorismo alla intelligenza artificiale, anch’essa, aggiungiamo,
organizzata tayloristicamente. La conoscenza quindi “si trova incorporata nella
macchina, la quale – appunto perché ha in sé incorporata la scienza – può
dominare l’operaio”, producendo conseguentemente “l’inversione anche del
rapporto tra lavoratore e conoscenza, tra lavoratore e scienza”. E dare alla
produzione carattere scientifico, scriveva Marx, “è la tendenza del capitale e
il lavoro immediato è ridotto a un semplice momento di questo processo”. E
quindi il lavoro è diventato una mera azione meccanica – oggi
diciamo algoritmica/digitalizzata, ma il processo è il medesimo.
Il problema
è che Marx distingueva tra macchine e loro uso capitalistico –
una “distinzione insostenibile” secondo Napoleoni, proponendo una critica della
tecnica che svilupperà sempre di più partendo proprio da Heidegger (per il
quale la macchina esiste solo in base all’impiego dell’impiegabile, cioè
diviene produttiva e impiegabile per uno scopo che tuttavia cessa
progressivamente di essere uno scopo umano e diventa lo scopo
dell’impiegabilità della macchina, dove soggetto e oggetto si confondono
definitivamente). “Se con la macchina si compie fino in fondo il processo della
sottomissione reale del lavoro al capitale […] una macchina non
capitalisticamente usata dovrebbe essere una macchina diversa da
quella usata capitalisticamente. In altri termini, le macchine, così come noi
le conosciamo, sono il frutto di una tecnologia (e fors’anche di una scienza)
che è stata pensata tutta sulla base del presupposto del lavoro alienato. In
una situazione diversa, il mutamento dovrebbe interessare lo stesso processo di
conoscenza e di realizzazione tecnologica al cui termine la macchina si trova”.
E quindi l’alienazione è “il piano in cui si riprende la
tematica dell’inclusione dell’uomo moderno dentro meccanismi, non
importa se pubblici o privati, che lo dominano, ne espropriano
l’autonomia, ne fanno l’elemento di una macchina; [ma] è anche il
piano in cui si parla di distruzione della natura e di questione femminile”.
Conseguentemente, non basta un uso socialista della tecnica e
della scienza capitalistiche – è da sempre il tragico errore dei marxismi
novecenteschi – ma occorre appunto, con Napoleoni, un mutamento dello stesso
processo di conoscenza e di realizzazione tecnologica. Ovvero, non basta mutare
la proprietà dei mezzi di produzione, occorre mutare la razionalità utilizzata.
Perché è proprio qui – come sottolineava Napoleoni e come anche noi sosteniamo
– che si gioca il futuro della libertà e della democrazia. E della biosfera.
Soprattutto, di nuovo, quando oggi le oligarchie/plutocrazie del capitale e
della tecnica rivendicano esse stesse, esplicitamente e in prima persona e non
più nascostamente come ieri, il governo del mondo e della vita.
E cioè,
Napoleoni: “Il dominio va guardato in faccia per quello che è, non per quello
che noi immaginiamo che sia”; perché “c’è una malizia fondamentale della
tecnica, una malizia intrinseca”; e il dominio delle cose sull’uomo acquista
una forma diversa, “culminante nel modo in cui si presenta e viene esercitata
la tecnica”. Per cui la questione è proprio ragionare prima sulla tecnica e
sulle macchine (allora e ancor più oggi), che non solo sostituiscono
l’operazione fisica del lavoro ma anche quella mentale (questo è, soprattutto,
l’IA), e poi su come “sistemarla [la questione della tecnica] sul piano
teorico”. Ma le sinistre e i marxismi non vedono la tecnica come potere e come
volontà di potenza. Non vedono che oggi, diceva Napoleoni nel 1987, “l’espropriazione della
soggettività è molto più radicale di quanto Marx non pensasse. Il
punto decisivo, dove lui si arresta nella deduzione rigorosa delle conseguenze
che si debbono trarre dalla figura dell’alienazione, è la questione delle
macchine […] la distinzione tra macchine e uso capitalistico delle macchine. A
quel punto, Marx invece di portare la questione alle sue conseguenze estreme,
si arresta. E allora la macchina usata non capitalisticamente diventa il punto
di forza su cui far leva per sollevare il mondo. Solo che questo punto, secondo
me, non regge”. Neppure per noi. Appunto, occorre altro.
Certo, Marx
aveva capito come funzionano le macchine e a cosa si riduce il lavoro umano in
un sistema di macchine – cioè “riesce a dare la rappresentazione di una società
di pura oggettivazione, e quindi riesce a prevedere con assoluta esattezza la
società tecnocratica”, scriveva Napoleoni in una lettera ad Augusto Del Noce –
ma poi, pur vedendo le leggi della tecnica, le legava/subordinava al solo
capitalismo sfruttatore. Ovvero, Marx “che pure fornisce le categorie
occorrenti alla comprensione di questo processo, non spinge la sua comprensione
fino a rappresentarsi l’esito del processo stesso”, tanto è vero che egli
“immagina la presenza, nel processo, di un soggetto capace di riconoscere
nell’oggetto la propria negatività” e quindi di sollevarsi/ribellarsi a questa
oggettivazione; e pensa poi l’uscita da tale condizione solo in un ulteriore
sviluppo delle forze produttive, “in termini di rafforzamento e compimento di
quel dominio dell’uomo, del soggetto, sul mondo che sta [invece proprio]
all’origine della conversione del soggetto stesso in oggetto producibile”. La
contraddizione marxiana è evidente (per Napoleoni e per noi), ma in realtà non
lo è mai stata, per la sinistra che oggi guarda affascinata e sedotta al
digitale e all’IA (pellegrinando alla nichilistica e
antidemocratica/reazionaria Silicon Valley), incapace di proporre una diversa
razionalità e un governo democratico dell’innovazione tecnologica
(capitalistica o meno che sia), incapace anche oggi di vedere il sistema
tecno-capitalista, secondo Napoleoni “nella sua globalità (…) e di darsi il compito
di uscire da esso in linea di principio”. Di uscire “dalla società
tecnocratica”. Per costruire una storia altra rispetto a quella capitalista e
tecnica. Altrimenti l’uomo diviene egli stesso e sempre più un prodotto/merce,
ma soprattutto diviene “disponibile per essere impiegato nel processo, e dunque
non domina il processo ma ne è dominato”, come oggi nel digitale e nella
digitalizzazione della vita. Di più: la sinistra ha ormai messo da parte, come
detto, la questione dell’uscita dal capitalismo “non riuscendo mai a definirla
in termini positivi, ma solo in termini negativi” – mentre Napoleoni credeva
invece che “il processo storico fosse giunto [si era a fine anni Ottanta] a un
punto in cui una definizione in positivo di questa uscita potesse
essere data”. E il tema oggi si ripropone, n volte maggiore.
Ma nel silenzio catatonico della sinistra o di quello che ne resta.
Ma allora –
e diversamente da Napoleoni, per il quale “capitalismo e democrazia non sono
tra loro compatibili e se mai possono coesistere solo mediante compromessi”; e
quindi “si tratta di allargare nella massima misura possibile la differenza tra
società e capitalismo” – si tratta oggi di prendere atto del fatto che neppure
i compromessi possono salvare la democrazia dal potere e dalla volontà di
potenza del capitalismo e della tecnica (ancora Musk e Trump e Zuckerberg e
Bezos, eccetera); e che la differenza tra società e
capitalismo è stata sostituita dalla identificazione di
capitalismo/sistema tecnico e società, cancellando la società umana. E quindi
l’unico modo di salvare la democrazia e l’autonomia della società dal
capitalismo e dal sistema tecnico reciprocamente totalitari sembra essere solo
quello di uscire radicalmente dalla tecnica e dal capitalismo.
E dunque,
le Lezioni sul capitolo sesto inedito di Marx – ma anche le
molte Lezioni di Napoleoni alla sinistra – tornano di doverosa
e urgente attualità. Sinistra, sinistre, economisti, sociologi – soprattutto i
giovani: rileggete Napoleoni.
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