Blair prende i soldi pure dal più grande finanziatore dell’esercito israeliano - Sabrina Provenzano
Quando è
stato reso noto che Tony Blair avrebbe avuto un ruolo nella ricostruzione di
Gaza, la commentatrice di sinistra Ash Sharkar ha affermato in diretta sulla
Bbc: “Avranno pensato a lui perché Satana non era disponibile”. Un’iperbole, ma
non lontana dal sentimento popolare diffuso, almeno fra chi ricorda le menzogne
sull’esistenza di armi di distruzione di massa irachene con cui l’allora primo
ministro convinse il parlamento a votare per la disastrosa invasione in Iraq.
Di certo quella decisione segnò la fine della carriera politica dell’inventore
del New Labour: ma il parlamento censurò ogni tentativo di inchiodarlo alle sue
responsabilità. Blair non subì nessuna ripercussione legale o formale, e se la
cavò scusandosi per i suoi errori, e ha sempre dichiarato di non aver mentito
deliberatamente.
Quell’ombra,
che lo segue sempre anche fra gli elettori laburisti, non gli ha impedito di
rifarsi una verginità prima come mediatore internazionale, poi come consulente
e lobbista. Ma lo ha seguito anche la disinvoltura etica, diciamo
post-ideologica, che aveva segnato il suo successo ai tempi del New Labour: va
bene tutto, purché funzioni. La lista dei suoi potenziali conflitti di
interesse non ha fatto che crescere da quando si è ritirato dalla politica
attiva. Blair, che dopo Downing Street ha accumulato circa 20 milioni di
sterline annue, consulenze, ha intrattenuto rapporti e fornito consulenze ai
peggiori autocrati del mondo. La sua posizione filo-Israele è nota.
Da primo
ministro, dal 1997 al 2007, coltiva alleanze con Israele: visite a Sharon e
Olmert, sostiene il “diritto di Israele all’autodifesa” durante la Seconda
Intifada e vota contro risoluzioni Onu anti-israeliane. Come inviato del
Quartetto, tentativo di mediazione che univa Russia, Usa, Russia e Onu, dal
2007 al 2015 lavora ai negoziati fra Israele e Palestina ma ne approfitta per
fare da lobbista per progetti economici in Cisgiordania, fra cui un contratto
con Wataniya Telecom, società cliente della Banca JP Morgan, che lo pagava 2
milioni l’anno per una consulenza. Spinge per il gasdotto Gaza Marine, un
progetto di British Gas sempre legato a JP Morgan, ma qui il conflitto di
interessi e l’assenza di trasparenza sono così clamorosi che gli costano il
posto. Per i detrattori, queste pressioni hanno favorito investitori stranieri
a scapito delle priorità palestinesi.
Il passaggio
a Tony Blair Associates trasforma il lobbying in un meccanismo rodato. Nel
2011, la società fa pubbliche relazioni per il dittatore kazako Nursultan
Nazarbayev: ammorbidisce le critiche sui diritti umani in nome di “riforme
progressive”, in cambio di compensi destinati a opere benefiche. Colleziona
clienti accusati di orribili e sistematiche violazioni dei diritti umani, da
Gheddafi agli emiri kuwaitiani, che lo pagano milioni per costruirgli una
credibilità internazionale: una cambiale che oggi appare in riscossione.
Nel 2016,
Tba si fonde nel Tony Blair Institute for Global Change (Tbi):
un’organizzazione non profit con 800 collaboratori in 45 paesi e un fatturato
annuo di 145 milioni di sterline. Il suo maggiore finanziatore è Larry Ellison,
cofondatore ebreo americano del colosso informatico Oracle, che dal 2021 gli
dona oltre 200 milioni di sterline. Sionista convinto, Ellison è anche il
principale donatore privato alle Idf, tramite l’organizzazione di supporto
Friends of Idf; amico stretto di Benjamin Netanyahu, ha manifestato solidarietà
pubblica durante la guerra di Gaza e influenza la politica americana
pro-israeliana tramite una serie di think tank. Oracle opera in centri a Tel
Aviv e Herzliya focalizzati sull’intelligenza artificiale e sul cloud per la
sicurezza nazionale israeliana, contestati dal movimento Bbs per presunta
complicità in violazioni dei diritti umani. In perfetto allineamento con il suo
principale benefattore, Tbi spinge, anche sul governo laburista britannico, per
l’implementazione di carte di identità digitali e di una governance basata su
Ai, mentre da alcuni critici è vista come “promotore” per le vendite di Oracle
a governi mondiali.
E consiglia
il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman sulle riforme di Vision
2030, nonostante Salman sia riconosciuto come mandante del barbaro omicidio del
giornalista di opposizione Jamal Khashoggi.
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