Generazione Vietnam e generazione Gaza
Sono stati in molti, davanti alla clamorosa, continua,
crescente, spontanea e trasversale partecipazione di massa alla mobilitazione
contro la guerra genocida di Israele e a favore di Gaza, a cercare paragoni e
raffronti con momenti simili di coinvolgimento e partecipazione del secolo
scorso: dalla Guerra civile spagnola degli anni Trenta al movimento No Global a
cavallo del Millennio. Con in mezzo l’appoggio alla lotta di Liberazione
algerina; le mobilitazioni contro la guerra USA in Vietnam; le proteste contro
il golpe di Pinochet in Cile; le mobilitazioni di massa contro le Guerre del
Golfo dei Bush. un-movimento-eclettico-e-spiazzante
Momenti e movimenti che hanno mobilitato enormi masse
a livello planetario, e momenti altissimi di partecipazione e solidarietà
attiva, anche simili per alcuni aspetti al “fenomeno Flotilla” (pensiamo alle
Carovane per Sarajevo assediata nei primi anni Novanta: www.balcanicaucaso Cercavamo-la-pace
https://www.mimesisedizion, alle delegazioni internazionali che
accompagnarono la marcia Zapatista nei primi mesi del 2001: ilmanifesto.it/archivio/2001002992).
La partecipazione degli internazionalisti antifascisti
in prima persona alla difesa della Repubblica spagnola, le mobilitazioni per
raccogliere fondi da parte di intellettuali e artisti di tutto il mondo,
rimangono forse l’esempio più eclatante a livello globale, con le sensazioni
della catastrofe che stavano preparando nazismo e fascimo. Il massacro delle
carovane di civili in fuga su e giù per la Striscia di Gaza ci ha ricordato
la Desbandà (itagnol.com Spagna-ricorda-desbanda), quando 150.000 persone in fuga da
Malaga verso Almeria furono bombardati dai franchisti con l’aiuto decisivo
dell’aviazione fascista mandata da Mussolini, provocando fra i tre e i
cinquemila morti (in bottega norman-bethune).
Ma il movimento contro la guerra in Vietnam rimane
quello apparentemente più affine, apparentemente e auspicabilmente, considerato
che fu fra le cause e le condizioni che permisero la nascita dei movimenti del
Sessantotto e dintorni. E che il Vietnam vinse.
“La Palestina è il Vietnam di
oggi, i giovani scendano in piazza per scrivere la storia.” Scrive Andrea Ranieri su l’Unità dopo l’enorme partecipazione
allo sciopero e alle manifestazioni del 3 ottobre, “Riempie il cuore vedere un
movimento così giovane e folto impegnarsi per un popolo oppresso. Un’occasione
di riscatto per il Paese, per il sindacato e per la politica intera.
(…) Forse sta crescendo una generazione per cui la Palestina rappresenta
quello che ha rappresentato per la mia generazione il Vietnam. Una lotta
certamente di solidarietà per un popolo in lotta bombardato col napalm, di cui
si distruggevano i villaggi e i campi che davano loro da vivere, e il rifiuto
della sopraffazione e della violenza di chi, gli Stati Uniti d’America,
quel napalm lo faceva piovere sulla testa di uomini, donne e bambini.
Ma anche qualcosa di più. La voglia di partecipare in
prima persona a definire i valori e le caratteristiche del mondo che ci
aspettava, a non essere rassegnati ad accettare un destino già segnato, dalla
onnipotenza del profitto e del mercato, e dalle scelte di una politica che
considerava il profitto e il mercato, come la prima cosa da difendere e
tutelare. Le bombe che piovevano sul Vietnam le consideravamo anche come bombe
che piovevano anche sulle nostre teste.”1
La ricerca delle affinità non riguarda solo il tipo e
la portata della solidarietà internazionalista (con tutti i limiti e riserve
che pure è giusto ci siano, vedi l’intervento di Karim Franceschi ripreso anche
qui in Bottega: la-carne-bianca-e-il-genocidio-invisibile/), e di quanto questa sia poi propedeutica
alla crescita di movimenti interni alle nazioni che si mobilitano. Che sarebbe
comunque un buon risultato, sulla pelle ancora una volta di “un altro popolo”,
ma sarebbe grave non ci fosse almeno questo “minimo sindacale”.
Fuori dai tunnel
Da fronti diversi e opposti, con finalità diverse ed
opposte, alcuni aspetti comuni alla resistenza palestinese, in particolare a
Gaza, e a quella dei Vietcong, hanno intrigato già da tempo alcuni analisti,
anche per spiegare/paventare il “rischio pantano” (temuto dagli stessi vertici
dell’IDF) di un’occupazione totale e prolungata di Gaza City. Scomodando
addirittura (Haaretz) un vecchio reportage dal Vietnam di Moshe
Dayan, del 1966.
“Il governo del Primo Ministro Benjamin
Netanyahu ha dovuto affrontare crescenti disordini interni, segnati dalle
dimissioni di alti funzionari e dallo scaricabarile interno. Per deviare le
critiche sulla debacle di Gaza, Netanyahu ha cercato capri espiatori, come l’ex
Ministro della Difesa Yoav Gallant. Questa erosione della coerenza politica ha
ulteriormente infiammato le già fragili dinamiche interne di Israele.
La frattura più drammatica, tuttavia, si verifica nel
settore dell’intelligence. Gli eventi del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato
un attacco transfrontaliero senza precedenti, hanno messo in luce un collasso
totale dell’architettura di sicurezza israeliana.
L’incapacità sia dello Shin Bet che del Mossad di
prevedere e sventare questo attacco, nonostante le operazioni di sorveglianza
che penetrano in profondità a Gaza, ha innescato un dibattito più ampio sulla
validità della dottrina di sicurezza israeliana” (…) “Israele è intrappolato in
una campagna che non può vincere in modo decisivo, di fronte a un avversario
resiliente, al dissenso interno e al crescente isolamento internazionale.” (…)
“Dal 7 ottobre, l’opinione pubblica mondiale, in particolare in Occidente, è
cambiata radicalmente. Milioni di persone si sono mobilitate per chiedere un
cessate il fuoco. Questa crescente pressione da parte della società civile ha
reso sempre più difficile per i governi occidentali mantenere un sostegno
incondizionato. L’allineamento di Israele con la politica statunitense è
diventato un ostacolo piuttosto che un vantaggio.
Come il Vietnam, la guerra di Israele contro Gaza è
ora una guerra globale di resistenza”
da Come la guerra di Gaza si è trasformata nel
Vietnam di Israele, di Mehmet Rakipoglu, su Invictapalestina: invictapalestina
In particolare è stata analizzata la funzione
particolare ed essenziale del sistema dei tunnel nella lotta
di resistenza dei due popoli (ma non solo di loro due) marx21.it
La-guerra-dei-tunnel-cina-vietnam-striscia-di-gaza, fattore che fu decisivo, assieme alla
crescita nell’opinione pubblica della condanna dell’occupazione e dei suoi
metodi brutali, della sconfitta degli USA esattamente 50 anni fa.
Ovviamente non vengono taciute le differenze che
paiono rendere difficile una conclusione simile per la Palestina, almeno sul
piano militare: “Ora certamente il contesto è differente. Non c’è, per dirne
una, un dirigente politico come Ho-Chi-Minh cui fare riferimento, né un capo
militare come Giap; non c’è un movimento comunista impegnato in una riscossa
nazionale e nella riunificazione di un Paese smembrato dal colonialismo, come
appunto nel caso del Vietnam. I leader di Hamas, e dei suoi alleati sul terreno,
non sono nemmeno lontanamente degli eroi; sono piuttosto dei
sottoprodotti dell’incancrenirsi di una situazione (che dura dal 1948) e di cui
il maggiore responsabile è Israele, che, pervicacemente sfuggendo a ogni
progetto di pace, ha svuotato lo stesso suo interlocutore, cioè quell’Autorità
nazionale palestinese che conta oggi pochissimo ed è accusata, da molti, di
collaborare con l’oppressione.”2
Ma le suggestioni sono comunque forti, vista la
trasversalità della partecipazione ai due movimenti: dagli studenti, anche
giovanissimi, agli operai; dalle comunità religiose ad intere famiglie; dal
mondo delle arti e della cultura. E se quella di Giap e Ho Chi Min fu anche una
vittoria militare, non fu solo militare, e non sarebbe stata possibile senza
quel movimento che indebolì dall’interno delle “democrazie occidentali”, in
particolare degli USA. Forse è proprio questo che ancora manca oggi nel Paese occupante:
un forte e vasto movimento di rifiuto totale che dall’interno di Israele ne
metta in discussione la stessa struttura statuale. Quel che vediamo, anche fra
ex militari o renitenti alla leva, è ancora troppo poco. E diversi,
tremendamente diversi, pervasivi, sono i poteri di controllo e di persuasione,
non solo sulla propria popolazione ma anche sulle classi dirigenti delle
potenze occidentali. Alcune forme di condiscendenza (anche da parte
dell’establishment statunitense e al di là delle sparate di Trump)
sembrerebbero spiegarsi più con qualche forma di ricatto (e visto il potere
dato da tanti Paesi alle agenzie di cybersicurezza israeliane non so se si
tratti solo di fantascienza) che con la semplice condivisione e affinità
ideologica.
Intanto, proprio quest’anno, è uscito un film
vietnamita, Red Rain, che parla di un episodio cruento della
guerra, “la battaglia degli 81 giorni a Quảng Trị”. Lo
racconta dalla parte dei vietnamiti, dopo una marea di film, anche bellissimi e
necessari, girati da registi americani; e lo racconta senza demonizzare i
soldati “nemici” (pare, non avendolo visto riporto quanto leggo (https://www.tuttovietnam.it/red-rain/). Dopo l’eneorme successo in patria il
film, il cui titolo originale è Mưa đỏ, della regista Đặng
Thái Huyền, è candidato dal suo paese per concorrere agli Oscar
2026: comingsoon
Chiudiamo con una osservazione, amara ma reale,
di Giuliano Santoro, dall’articolo su il manifesto citato
all’inizio, che evidenzia una differenza sostanziale fra il movimento per il
Vietnam e quello per Gaza.
“C’è però una differenza sostanziale, che introduce un
altro elemento utile a capire cosa accade. Il Vietnam suscitava entusiasmi
perché la vittoria era percepita, cosa che effettivamente accadde, come a
portata di mano. In questo caso, ci si batte per una causa che parrebbe perduta
in partenza. Se la bandiera del Vietnam era il simbolo della rivoluzione che
contagiava l’intero pianeta, quella della Palestina è il simbolo delle vittime
che cercano disperatamente di sopravvivere. La sumud, la
persistenza tenace, non è la ricerca del grande balzo in avanti che interrompe
il corso lineare della storia. È la tignosa affermazione della vita e della
lotta.
Collocata nei contesti metropolitani, nella
prospettiva no future dei figli della generazione
precaria resi ancora più precari dal collasso climatico e dalla guerra, questa
tenacia indica una strada: la mobilitazione permanente e i cortei che si
succedono senza sosta che avevamo visto nelle lotte francesi degli scorsi
anni.“
Per approfondire
Riportiamo, oltre i link già inseriti lungo l’articolo,
altri riferimenti ad alcune analisi sull’argomento, divise in due gruppi:
A) sui tunnel e le similitudini delle due
resistenze, con analisi disparate, uscite di recente o vecchie di oltre dieci
anni;
B) sulle similitudini fra i due movimenti.
Invitando come sempre a segnalarci altri contributi
nei commenti.
In chiusura, infine, i link ad alcune delle canzoni
del movimento contro la guerra in Vietnam, o comunque solidali, per rinverdire
un po’ la memoria. O forse perché la redazione de La Bottega è abbastanza
avanti con gli anni da aver vissuto anche i movimenti contro quella guerra.
A)
lastampa – gaza_vietnam “Anche la Striscia di Gaza sarà un Vietnam”:
ecco l’incubo infinito dei militari 09.08.25
invictapalestina.org Come la guerra di Gaza si è
trasformata nel Vietnam di Israele 22.05.2025
izitour.com tunnel Tunnel di Cu Chi e tunnel di
Vinh Moc: le strutture sotterranee importanti durante la guerra del Vietnam
14.05.25
www.marx21.it/internazionale/la-guerra-dei-tunnel La guerra dei tunnel: dalla Cina al
Vietnam alla Striscia di Gaza 26.09.24
insideover.com haaretz-gaza-come-il-vietnam.html 18 mesi di guerra e arroganza:
i leader israeliani dovrebbero leggere ciò che Moshe Dayan ha imparato in
Vietnam 18.04.25
lettera43.it L’uso dei tunnel sotterranei nelle guerre: dal Vietnam
a Gaza 12.11.23
https://iari.site
il-problema-dei-tunnel-di-hamas-si-rischia-un-nuovo-vietnam 02.11.23 Il problema dei tunnel
di Hamas: si rischia un nuovo Vietnam invictapalestina.org/archives/49608 Il ragno dalle molte zampe 22.10.23
abitare.it Architetture senza pedigree: I tunnel di
Gaza 17.04.2013
https://www.thenmusa.org/articles/tunnel-rats-of-the-vietnam-war/ 01.10.20253
B)
2025.09.29 ristretti.org
/dal-vietnam-a-gaza-cosi-i-popoli-in-rivolta-cambiano-la-storia
2025.10.03 ilmanifesto.it Portelli
2025.10.03 ilmanifesto.it Santoro
2025.10.03 https://www.unita.it/2025/10/03/la-palestina-e-il-vietnam-di-oggi-i-giovani-scendano-in-piazza-per-scrivere-la-storia La Palestina- è il Vietnam di
oggi
2025.10.03 www.rivoluzioneanarchica.it/pro-vietnam-pro-palestina/
2025.10.03 terzogiornale.it la-palestina-e-il-vietnam
valledaostaglocal.it
da-vietnam-a-gaza-la-storia-che-si-ripete
2025.10.05 remocontro.it
il-mondo-e-le-piazze-attorno-a-gaza-memoria-di-vietnam
2024.04.26 editorialedomani.it
2025.10.08 Giancarlo Scotoni su Transform oggi-ho-visto-nel-corteo
Canzoni degli anni Settanta contro la
guerra
Sono stati un’infinità i cantanti/musicisti che hanno
composto o proposto canzoni ispirate alla guerra in Vietnam, così come i film.
Da Dylan a Joan Baez, da Neil Young a John Lennon, dai Doors al celeberrimo
assolo di chitarra di Jimmy Hendrix a Woodstock. In Italia l’hanno cantata
molti dei cantautori militanti di quegli anni, da Ivan Della Mea a Paolo
Ciarchi, per tralasciare la famosa “C’era un ragazzo” di Mario Lusini, cantata
da Morandi e Baez. Facili da trovare in rete (rockit.it peacelink.it
antiwarsongs.org).
Propongo invece una delle canzoni che “mi formò” da
ragazzino: Chitarre contro la guerra, di Umberto Napolitano,
del 1966 qui testo e link al disco
E una, sempre fra quelle meno note ma a me care,
di Settimeli-Morricone, splendidamente cantata da Sergio
Endrigo, dalla colonna sonora del film Grazie zia, Filastrocca
vietnamita, qui
Infine il brano di un poco conosciuto gruppo
olandese, De Elegasten (1967 -1976) che nel 1973 incisero questa
ballata “Chili, Vietnam, Israel” dove, con richiami evangelici alla
pace come di frequente in quegli anni, si accostano proprio Vietnam e Israele,
assieme al Cile, come luoghi dove “stiamo trasformando il mondo in un inferno”.
Una curiosità: la casa discografica che la incise, la Cardinal Records,
era una di quelle fondate da Rocco Granata, il cantante italiano
emigrato in Belgio autore della famosissima “Marina”.
I profeti hanno predetto la sua venuta per
anni
Hanno fornito stelle e canti angelici
Persino i Re Magi si sono spostati da
Oriente a Occidente
Ma dopo la sua partenza, lo spettacolo non
è andato così bene
Ha promesso pace e libertà per il suo
paese
L'effetto in seguito è sfuggito di mano
Stiamo ancora trasformando il mondo in un
inferno
Dal Cile e Vietnam a Israele
Dopo di lui, altri sono venuti con i loro
insegnamenti
A difesa dell'amore o del cannone e del
fucile
Alla ricerca della felicità, sognando o
combattendo
Ma il finale del pezzo manca sempre
Promettono pace e libertà per il loro
paese
L'effetto è sempre sfuggito di mano
Stiamo ancora trasformando il mondo in un
inferno
Dal Cile e Vietnam a Israele
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