Che tempismo invidiabile: mentre l’Alleanza contro la povertà ci ricorda che in Italia 2,2 milioni di famiglie e un italiano su dieci vivono in povertà, la politica si appresta a riportare il 4 ottobre, giorno di San Francesco tra le feste nazionali. Il santo che predicava la povertà, celebrato con un giorno libero. È come onorare un maratoneta con un abbonamento al divano.
In libreria arriva anche
l’ultimo lavoro di Alessandro Barbero su Francesco d’Assisi: uno scavo storico
che toglie gli orpelli agiografici e rimette al centro l’uomo che si spogliò —
letteralmente — del superfluo. Barbero ci ricorda che Francesco non è un
soprammobile spirituale: è una rottura. Rinuncia, essenzialità, scelta
radicale. Altro che gadget.
Intanto, su Diogene Notizie passano ogni giorno i
volti della povertà reale: mense piene, frigoriferi vuoti, stipendi che non
reggono l’inflazione, case troppo care per salari troppo bassi. È la geografia
dell’Italia normale, quella che non fa notizia finché non la guardi da vicino —
e quando la guardi capisci che non è un’emergenza, è la nuova normalità.
Ora, la trovata: trasformare il
4 ottobre in festa “vera”. Idea suggestiva, per carità. Ma che cosa
festeggiamo, esattamente? La rinuncia di Francesco con la nostra voglia di ponte?
La sobrietà con le vetrine aperte? La fraternità con i conti pubblici che
risparmiano miliardi proprio su chi resta indietro? Negli stessi mesi in cui si
chiedono 2 miliardi in più l’anno per altre voci di bilancio, alle persone in
povertà si dice: «Tornate domani, oggi è chiuso: è San Francesco».
Il punto non è essere contro
una festa. È essere contro la scorciatoia simbolica che sostituisce le
politiche. Se proprio vogliamo onorarlo, San Francesco, potremmo farlo alla
lettera: aprendo gli sportelli sociali proprio il 4 ottobre; annunciando un
piano stabile per i contributi affitto e gli alloggi sociali; allargando
l’accesso alle misure di sostegno in base al reddito, non all’etichetta
familiare; indicizzando davvero i benefici all’inflazione. Sarebbe un bel
miracolo laico: meno parole, più pane.
Francesco non chiedeva di
festeggiarlo: chiedeva di imitare un pezzo della sua radicalità. E qui sta
l’ironia (amara): abbiamo preso il santo della povertà scelta per metterci a
posto la coscienza davanti alla povertà subita. Un giorno all’anno per passare
in rassegna il sacro, e gli altri trecentosessantaquattro per passare oltre.
Se proprio serve una
ricorrenza, scegliamone una che costi a noi quel minimo di scomodità che dia
senso al rito: niente bonus immagine, niente proclami. Qualche miliardo in più
dove serve, qualche procedura in meno dove blocca, qualche porta aperta quando
tutto il resto è chiuso. Sarebbe il modo più serio — e, concediamoci
l’ossimoro, più francescano — di trasformare una festa in giustizia.
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