Non lasciamoci ingannare. Quella ottenuta da Trump non è una pace, ma per il momento una tregua, un cessate il fuoco, comunque benvenuto per le martoriate popolazioni palestinesi. Esso schiude spiragli per il futuro aperti a importanti possibilità su cui occorrerà ritornare. La rivolta di massa che ha investito i paesi europei, le divisioni interne allo stato di Israele, lo scandalo della posizione genocida americana di fronte al mondo, ha costretto Trump, o qualche suo influente consigliere, a intervenire con qualche soluzione che fermasse il massacro. Il sollievo che proviamo in questo momento, le emozioni che ci suscitano le immagini dei disperati, che festeggiano la tregua tra le rovine delle proprie case, non ci deve, tuttavia, annebbiare la mente, né far desistere dai compiti dell’analisi storica. L’unica in grado di restituire la corretta lettura dei fatti. Anche se oggi bisogna pur sottolineare un fatto di grandissimo rilievo: la potenza politica delle mobilitazioni di massa. Quello che non hanno fatto gli stati di quasi tutto il mondo, il Parlamento europeo, le inconsistenti élites di un continente alla deriva, lo hanno fatto milioni di cittadini, tantissimi ragazzi e ragazze che per giorni e giorni sono scesi nelle strade nostre città. Ma il fine di questo articolo è un altro.
Oggi, in
Italia, assistiamo a un evidente fenomeno di comportamento gattopardesco. Di
fronte all’abbagliante evidenza del genocidio compiuto a Gaza, i
narratori delle magnifiche sorti e progressive dell’Occidente cominciano ad
ammettere qualcosa, ma non per rivedere errori di valutazione, accennare a
un’onesta autocritica. No. Cedere su questa o quella questione particolare
risponde a un intento politico preciso: mantenere intatta la visione egemonica
che il genocidio manda in frantumi. Esponenti politici, giornalisti,
intellettuali democratici (soprattutto quelli democratici) sono pronti a
scaricare i sensi di colpa con cui per due anni hanno nascosto e giustificato i
massacri, concedendo che, si, “Israele ha sbagliato, doveva fermarsi prima”, e
qualcuno osa persino esporsi con “Netanyahu è un criminale”. E altre
concessioni di simile tenore. Ammissioni più penose per superficialità delle
menzogne precedenti. Se poi si fa cenno alle responsabilità americane
naturalmente tutte vengono selettivamente concentrate sul violento e
imprevedibile Trump, che aveva proposto di trasformare Gaza in un resort per
miliardari come lui.
Sappiamo
bene che il genocidio e il disegno della “soluzione finale” nei
confronti della popolazione di Gaza e della Cisgiordania, non erano una
solitaria follia del criminale Netanyahu e degli uomini del suo Governo, ma
di tutto il fronte sionista delle classi dirigenti israeliane. E non solo,
gran parte del gruppo dirigente israeliano ha condiviso quella scelta. Basti
ricordare che il 24 luglio di quest’anno la Knesset, il parlamento di Tel Aviv,
con 71 voti favorevoli e 11 contrari ha approvato una mozione che impegna
il Governo d’Israele a procedere all’annessione della Giudea e della
Samaria, che nel linguaggio biblico corrispondono all’odierna Cisgiordania.
Ma fermarsi
alle responsabilità di Israele di fronte a quanto è accaduto, anche soltanto in
questi ultimi due anni, oggi non è ammissibile neppure nelle chiacchiere da
bar. In realtà abbiamo tutte le ragioni per affermare che senza l’ampio
appoggio militare, politico, diplomatico e mediatico degli USA il genocidio non
sarebbe stato neppure concepibile. Cominciamo col ricordare gli ingenti
capitali messi a disposizione di Israele: dal 7 ottobre 2023 al 30 settembre
2024 gli Stati Uniti hanno speso ben 22,7 miliardi di dollari in sostegno
militare a Israele (L. J. Bilmes, W.D. Hartung, S. Semler, United
State on Israel’s Military Operations and Related U.S. Operations in the
Region. October 7,
2023 – September 30,
2024, Watson Institute for International Public Affairs, 7 ottobre
2024). E questo è solo un aspetto del supporto militare. Trascuriamo
per brevità le portaerei nel Mediterraneo, le migliaia di soldati insediati in
area, le basi militari, ecc.
In questi
due anni è stata l’amministrazione del democratico Biden a fornire all’esercito
di Israele le bombe che hanno
distrutto abitazioni, ospedali, scuole, università, annientato tende di
rifugiati, bruciato campagne coltivate, ucciso anziani inermi, donne e bambini
a migliaia al mese. Un rapporto del Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulle
pratiche israeliane nei territori occupati, presentato all’Assemblea Generale
il 18 novembre 2024, ricordava che nel solo mese di febbraio le forze
israeliane avevano utilizzato, nella striscia di Gaza, più di 25.000 tonnellate
di esplosivo: l’equivalente di due bombe nucleari, vale a dire circa il doppio
della potenza distruttiva della bomba sganciata su Hiroshima. Erano bombe
spedite costantemente dagli USA, che evidentemente condividevano, con
Netanyahu, il progetto della “soluzione finale” della questione palestinese.
Qualcuno ricorda quante volte, durante il 2024, Joe Biden annunciava come
prossimo un cessate il fuoco? Menzogne suggerite dagli esperti della
comunicazione. Dovevano consentire a Israele di continuare il “lavoro sporco”
(come si è espresso con eleganza quel grande statista tedesco) contro i
palestinesi, ingannando l’opinione pubblica americana e offrendo ai giornalisti
occidentali l’immagine di una falsa neutralità mediatoria degli USA su cui
poggiare il proprio pacchetto di menzogne. Biden sotto banco inviava tonnellate
di bombe, in pubblico annunciava imminenti accordi di pacificazione che non
arrivavano mai.
E qui sfioro
una questione capitale. Il sostegno mediatico che gli USA forniscono alle
classi dirigenti occidentali per ottenere consenso, manipolare la propria
opinione pubblica, mascherare anche le operazioni più criminali, è uno degli
aspetti più ignorati e politicamente più rilevanti della storia contemporanea
recente. Sono gli Americani che decidono (e convincono larga parte del
mondo) quali formazioni sono da considerare terroriste, quali stati sono “Stati
canaglia”, quali sono le forze del bene e quelle del male. Essi forniscono
il materiale informativo e l’indirizzo ideologico al fine di consentire alla
stampa vassalla la possibilità di impastare il nobile racconto occidentale.
E alla realizzare di tale compito lavorano non soltanto con le loro potenti
agenzie di stampa, come Associated Press e l’Agenzia Reuters (senza considerare
l’influenza dei colossi mediatici), ma anche, e in maniera più mirata, con
decine di migliaia di esperti di comunicazioni di massa al servizio del
Pentagono. Gruppi di creatori di notizie che confezionano le narrazioni
destinate alle redazioni dei giornali. È grazie a questa gigantesca opera
sotterranea, che l’oppressione quotidiana, l’apartheid conclamato,
l’imprigionamento di fatto di milioni di palestinesi a Gaza, un oltraggio
all’umanità che dura decenni, è stato sapientemente cancellato agli occhi
dell’opinione pubblica mondiale. (Sul ruolo della stampa oggi, P. Bevilacqua, Stampa
di guerra, Historia Magistra, 2023, n. 43, ma la pubblicazione è del
2024)
Ma c’è un
sostegno storico più ampio degli USA a Israele, che ha trovato il suo culmine
dopo il 7 ottobre 2023, e che colloca l’iniziativa americana entro una
prospettiva più vasta. Washington ha cominciato a finanziare
decisamente Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Le capacità
militari dimostrate dall’esercito di Tel Aviv in quel conflitto hanno convinto
gli americani a farne il proprio avamposto strategico in Medio
Oriente. Con gli anni, poi, le potenti lobby ebraiche USA, com’è largamente
noto, hanno finito col condizionare il sistema elettorale americano, legando
così in maniera sistemica lo Stato di Tel Aviv al suo protettore. Israele,
spesso va oltre le indicazioni USA, vassallo irrequieto, e impetuoso. Alcuni
studiosi – in una ricerca ingiustamente trascurata – hanno addirittura messo in
evidenza come in fatto di tecniche militari gli israeliani hanno talora fornito
insegnamenti all’esercito americano (E. Bartolomei, D. Carminati, A.
Tradardi, Gaza e l’industria israeliana della violenza,
DeriveApprodi, 2015). Tuttavia Israele resta il braccio armato della
politica estera dell’impero americano in quella importante regione del mondo.
Gli USA non si limitano a mandare armi, ma hanno bloccato dal
1948 ben 45 volte le 94 risoluzioni dell’ONU che
sanzionavano le violenze e le infrazioni di Israele (tutte
lodevolmente pubblicate in appendice a J. Baud, Operazione Diluvio
Al-Aqsa. La sconfitta del vincitore, Max Milo, 2024). Tutti i ferventi
difensori dell’ordine internazionale si ricordano della sua esistenza solo per
la Russia che ha invaso l’Ucraina e dimenticano l’essenziale. Vale a dire che
l’ordine internazionale è stato sistematicamente violato per 80 anni da
Israele, con la copertura degli USA, i quali hanno finito con l’infliggere
danni irreparabili al prestigio e alla credibilità dell’ONU. Con la
copertura politica della potenza americana, Israele, soprattutto dopo la guerra
del 1967, ha potuto compiere tutta la propria operazione di espropriazione
delle terre palestinesi, la politica di apartheid nei territori occupati, i
massacri a Gaza seguiti alle varie intifade, le occupazioni illegali in
Cisgiordania, i bombardamenti in Libano e in Siria, insomma tutta l’opera che
precede e accompagna il genocidio di questi ultimi due anni.
Infine
un’ultima considerazione. Chi ha a cuore le sorti del popolo palestinese spesso
lamenta l’indifferenza, se non l’ostilità, di gran parte degli Stati
arabi nei suoi confronti. Ma di quanta corruzione in fiumi di dollari, di
quante minacce militari subite si nutre da decenni questa indifferenza? Che
cosa ne sappiamo noi delle operazioni segrete delle agenzie USA presso le élites politiche
di questi paesi? La storia segreta della politica estera americana si può
conoscere solo dopo decenni, quando vengono desecretate le carte d’archivio e
il castello di menzogne con cui è stata ingannata l’opinione pubblica mondiale
viene alla luce. Spesso, bisogna dire, per merito di storici e giornalisti
americani. Ma davvero i governi del Qatar, del Libano, della pur debole
Giordania, dell’Egitto, della Turchia, della stessa Arabia Saudita, con le loro
opinioni pubbliche ferocemente antisraeliane, sarebbero rimaste inerti di
fronte a tanto massacro senza la presenza militare USA, le sue basi militari,
le sue portarei, la sua minaccia di devastanti bombardamenti? Forse che che
le élites di
quegli stati non ricordano i bombardamenti in Iraq, Libia, Siria, e ultimamente
sull’Iran?
Dunque il
genocidio a Gaza è interamente parte del progetto di dominio unipolare
dell’Impero americano. E i governi europei che nel genocidio hanno fatto la
loro parte, soprattutto Germania e Italia (E. Traverso, Gaza davanti
alla storia, Laterza, 2024), oggi vedono macchiato dal disonore un
mito che dura da 80 anni, pilastro egemonico della loro narrazione: quello
dello Stato democratico più antico del mondo, che esporta la democrazia
presso gli stati autocratici. Oggi quella democrazia appare per quello che è da
decenni, una plutocrazia aperta agli esiti più avventurosi, come mostra la
presidenza Trump. È evidente dunque che le élites europee si trovano
intrappolate nelle menzogne con cui hanno cercato di mascherare la propria
subalternità al Grande Fratello e ora cercano di fronteggiare un duplice
scacco: la sconfitta nella guerra in Ucraina, con cui si voleva far crollare la
Russia, e il fallimento del progetto genocida a Gaza, compresa la liquidazione
dell’Iran. Perciò le loro posizioni pubbliche oscillano oggi penosamente tra il
ridicolo e il grottesco. Come fanno a schierarsi con gli USA, mentre il loro
governo si è trasformato in nemico, agente di una guerra economica e
commerciale senza precedenti contro l’Europa? E infatti non possiamo non porci
la grande domanda che riguarda il nostro immediato futuro: quale grave e
irreversibile delegittimazione subiranno le classi dirigenti del nostro
continente, che continuano a indicare nella Russia il nemico alle porte, mentre
l’America tenta di arginare il suo declino saccheggiando il nostro patrimonio
industriale e imponendoci esborsi finanziari rovinosi?
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