I NOBILI OPPOSITORI DI HAMAS NELLA
STRISCIA - Carlo Augusto Melis-Costa
Da qualche giorno sono tutti in apprensione per le sorti degli "oppositori di Hamas" già assurti al ruolo di "dissidenti". Nientemeno.
Ma vediamo chi sono i Gandhi della Palestina.
Il più noto è Yasser Abu Shabab, leader di una banda dal nome ambizioso
"Forze popolari", talmente popolare da essere stato rinnegato persino
da tutta la sua famiglia.
Abu Shabab inizia la sua carriera come ladro, attirando non a caso le
simpatie dei sionisti.
Trafuga oggetti antichi dall'Egitto e li vende agli israeliani.
Passa poi allo spaccio di droga a causa del quale nel 2015 viene arrestato
a Gaza governata da Hamas, e condannato a 25 anni di prigione.
A fine ottobre 2023, Israele bombarda il carcere di Asda, i superstiti
evadono, come anche il nostro eroe che raduna un centinaio di uomini, in gran
parte conosciuti in carcere, e forma una banda di gangsters.
Notati dai servizi segreti israeliani, vengono finanziati e armati con
kalashnikov sottratti alla Resistenza palestinese diventando di fatto
collaborazionisti degli sterminatori del loro popolo e dai quali prendono
ordini in cambio di denaro e protezione.
Quando lo scorso giugno Haaretz diede la notizia di bande di criminali
palestinesi armate dal governo israeliano, Netanyahu ammise: "Ci siamo
avvalsi di clan a Gaza che si oppongono ad Hamas. Che male c'è? È solo
positivo, salva la vita dei nostri soldati".
Alla banda di Abu Shabab vengono dati gli ordini più abietti con il chiaro
intento di creare caos e malcontento verso la resistenza e porre le basi per la
guerra civile.
Spetta poi alla miriade di giornalisti e politici venduti o sotto ricatto
trovare il modo per addossare ogni colpa ad Hamas.
Lo scorso maggio, l'European Council on Foreign Relations, pubblica un
rapporto dettagliato dove afferma che "La banda di Abu Shabab è coinvolta
in diverse attività. Tra queste figurano il saccheggio degli aiuti umanitari
delle Nazioni Unite e la loro vendita al mercato nero.
Nel.primo scambio prigionieriche e venuto a Febbraio, il prigioniero
israeliano liberato Alexander Turbanov ha rilasciato una dichiarazione che ha
scioccato l'Israele occupato:
La vostra gentilezza è impressa per sempre nella mia coscienza.
Durante i 498 giorni che ho vissuto tra voi, nonostante le aggressioni e i
crimini che avete subito,
ho imparato il vero significato della virilità, del puro eroismo e del
rispetto per l'umanità e i valori.
Voi eravate uomini liberi assediati mentre ero prigioniero.
Eravate i protettori della mia vita.
Vi siete presi cura di me come un padre premuroso si prende cura dei suoi
figli.
Avete preservato la mia salute, la mia dignità e le mie benedizioni.
Sebbene fossi nelle mani di uomini che lottavano per la loro terra e i loro
diritti rubati, e sebbene il governo del mio paese stesse commettendo il più
atroce genocidio contro un popolo assediato,
non mi avete mai permesso di soffrire la fame o di essere umiliato.
Non ho mai conosciuto il vero significato di "Per la virilità"
finché non l'ho visto nei vostri occhi. E non ho capito il valore del
sacrificio finché non ho vissuto tra voi.
Finché non vi ho visti sorridere di fronte alla morte.
Resistere a un nemico armato di strumenti di distruzione.
Non avete altro che i vostri corpi nudi.
Non importa quanto io sia eloquente o espressivo,
non troverò mai parole che riflettano il vostro vero valore o esprimano il
mio stupore e la mia ammirazione per la vostra nobile morale.
La vostra religione vi insegna davvero a trattare i prigionieri in questo
modo?
Quanto è grande questa fede che vi eleva a un livello di fronte al quale
tutte le leggi sui diritti umani stabilite dall'uomo crollano.
E di fronte al quale tutti i protocolli di guerra crollano! Anche nei
momenti più difficili, dimostrate giustizia e misericordia.
Non attraverso slogan vuoti,
Ma attraverso la realtà delle vostre esperienze.
Non scendete mai a compromessi sui vostri principi, nemmeno nelle
circostanze più buie.
Credetemi, se dovessi tornare qui,
sarei solo un mujahid tra le vostre fila.
Perché ho imparato la verità dal vostro popolo. E ho capito che non siete
solo i proprietari della terra,
ma siete i proprietari dei principi e di una giusta causa.
Diffondetelo affinché il mondo fuorviato possa saperlo.
La morale dei mujaheddin di Gaza è orgoglio e dignità.
Non sono terroristi.
Che cosa sono i clan a Gaza - Eliana Riva
In molti
casi le milizie armate, spesso criminali, sono appoggiate da Israele in
funzione anti-Hamas
L’esistenza
e il ruolo dei gruppi e dei clan armati di Gaza sono tornati
centrali nella cronaca del dopo 7 ottobre 2023. Il premier israeliano
Netanyahu, nel giugno di quest’anno, ha ammesso ciò che da mesi diverse fonti
stavano riportando: Israele ha cooptato e armato diversi gruppi palestinesi in
funzione anti-Hamas. Quello diventato più celebre, per la sua natura criminale,
è la milizia armata guidata da Yasser Abu Shabab, della tribù Tarabin,
nota a Gaza per una lunga storia di collaborazionismo con le autorità
israeliane. Alcuni membri della famiglia beduina Tarabin si erano rifugiati
per anni in un campo di “protezione” costruito dai militari israeliani a Rafah.
La piccola città, circondata da filo spinato, era nata proprio come rifugio per
coloro che avevano ceduto alle promesse e ai compensi israeliani, accettando di
operare per la destabilizzazione politica nella Striscia.
Le famiglie
di Gaza abbastanza grandi da rappresentare dei clan tribali spesso non operano,
tuttavia, come un corpo unico. Anche nel caso della tribù Tarabin, non tutti i
membri hanno appoggiato e sostenuto le attività di Yasser Abu Shabab. Anzi, già
anni prima del 7 ottobre, una parte consistente della famiglia aveva
pubblicamente preso le distanze dalle attività criminali del loro parente.
Abu Shabab si dedicava a furti e omicidi, ed è stato nelle prigioni di Hamas
per diversi anni, accusato di traffico di stupefacenti. Sotto la sua guida,
Israele ha armato un piccolo esercito di mercenari, per lo più
criminali o disperati che avevano perso ogni cosa a causa della guerra,
impegnati a saccheggiare i convogli delle Nazioni Unite per rivendere la merce
al mercato nero. A queste milizie, autoproclamatesi “Forze popolari”, Israele
ha consegnato un’area nei pressi di Rafah, da occupare e gestire militarmente,
controllandone il territorio. Dopo la firma dell’accordo di cessate il
fuoco tra Israele e Hamas, alcune milizie sono state abbandonate da Tel Aviv,
mentre ad altre è stata offerta protezione. Non si conoscono le sorti di Abu
Shabab. Qualcuno pensa che si sia ritirato insieme all’esercito israeliano, e
che viva protetto dai militari sotto la cosiddetta “linea gialla”. Qualcun
altro dice che si trovi già al sicuro in Egitto.
Ma le “Forze
popolari” non sono l’unico gruppo che Israele ha finanziato. Molti altri hanno
collaborato con Tel Aviv, subendo l’ira di Hamas dopo il ritiro dei militari.
Come il clan Doghmush, uno dei gruppi jihadisti-salafiti più antichi e
potenti di Gaza. La famiglia Doghmush fondò, tra il 2005 e il 2006, il
gruppo denominato Jaysh al-Islam (Esercito dell’Islam), guidato da Mumtaz
Doghmush. Secondo diverse ricostruzioni, durante gli anni Novanta, Mumtaz
faceva parte delle Preventive Security Organization – Pap (Organizzazione di
sicurezza preventiva): un’agenzia di sicurezza interna dell’Autorità
palestinese, nata con lo scopo di contrastare l’opposizione agli accordi di
Oslo e, più in generale, il programma di pace tra l’Organizzazione per la
liberazione della Palestina (Olp) e Israele. Il Pap lavorava a stretto contatto
con la Cia e con Tel Aviv, per cui spesso eseguiva arresti, interrogatori e
torture di palestinesi. Dopo le elezioni del 2006, le milizie Doghmush, guidate
da Mumtaz, operavano autonomamente e, insieme alle Brigate al-Qassam (braccio
armato di Hamas) e ai Comitati di resistenza popolare, presero parte al rapimento
del soldato israeliano Gilad Shalit. I militanti armati costruirono un
tunnel che, nella zona di Rafah, collegava Gaza a Israele e lo percorsero per
attaccare una postazione dell’esercito israeliano. Due militari vennero uccisi
(e anche due combattenti palestinesi), e Shalit venne fatto prigioniero. Dopo
cinque anni di lunghe trattative con Israele e la comunità internazionale, si
raggiunse un accordo di scambio: per la liberazione del soldato, Tel
Aviv rilasciò 1027 prigionieri palestinesi. Tra essi, Yahya Sinwar, che
diventerà capo dell’ufficio politico di Hamas e uno degli ideatori dell’attacco
del 7 ottobre 2023.
Ma i
rapporti tra Hamas e la famiglia Doghmush si incrinarono presto. Nel 2007,
l’Esercito dell’Islam rapì Alan Johnston, un giornalista della Bbc.
L’azione non era coordinata con Hamas, la quale, come l’Autorità nazionale
palestinese, mediò per la liberazione del reporter. In quel momento l’Esercito
dell’Islam era diviso al suo interno: mentre una parte rivendicò l’azione,
un’altra smentì di esserne responsabile. Il giornalista venne rilasciato dopo
114 giorni di prigionia. Il capo della redazione mediorientale della Bbc, Simon
Wilson, ringraziò sia il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, sia Abu Mazen
per il loro impegno. In un momento di grande instabilità a Gaza, l’Esercito
dell’Islam (vicino ad al-Qaida), entrò in uno scontro ideologico ma
soprattutto politico e di potere con il movimento che controllava la Striscia.
Nel 2008, prima ancora che Gilad Shalit venisse rilasciato, sanguinosi scontri
a fuoco avvennero a Sabra, quartiere di Gaza City roccaforte dei Doghmush, e,
in un solo giorno, il potere del clan familiare venne ridimensionato.
Almeno dodici persone, tra cui una bambina, persero la vita. In un comunicato
Hamas dichiarò che l’azione militare aveva lo scopo di combattere “individui
responsabili di causare il caos”.
Nel 2015
l’Esercito dell’Islam ha giurato fedeltà formale a Daesh, il cosiddetto Isis
(ovvero l’organizzazione denominata Stato islamico). Così scriveva il gruppo
nel suo comunicato stampa: “Noi, i soldati di Jaish al-Islam nella Striscia di
Gaza e il nostro leader Mumtaz Doghmush, che Allah lo protegga, ci consideriamo
parte integrante di Wilayat Sinai [Isis nella penisola del Sinai, ndr]
(…), promettiamo fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi al-Qurayshi, il califfo di
tutti i musulmani nella Casa dell’Islam e in ogni luogo in cui risiedono i
musulmani”. Mentre il gruppo, o parte di esso, accusava Hamas di imprigionare i
suoi membri e di fare gli “interessi degli ebrei”, il Cairo faceva
pressioni sulla stessa Hamas perché si liberasse dei salafiti legati all’Isis,
organizzazione che stava compiendo diversi attacchi in Egitto. Le relazioni
tra Hamas e i gruppi salafiti-jihadisti di Gaza si erano già complicati dopo le
elezioni del 2006, quando Hamas, salita al potere, fu accusata di non
imporre una interpretazione salafita della Sharia.
Nonostante
le divergenze, Hamas è riuscita, in tutti questi anni, a mantenere sotto
controllo i clan di Gaza. La maggior parte di essi si è dedicata a furti e
contrabbando, e buona parte della famiglia Doghmush ne ha preso le distanze.
Diversi membri sono stati arrestati passando lungo tempo nelle prigioni della
Striscia. Ma dopo il 7 ottobre 2023 le cose sono cambiate. Con il conseguente
attacco israeliano, l’uccisione dei leader del movimento islamista che
amministrava Gaza e l’occupazione da parte delle truppe di terra, i
clan potevano tornare ad avere un ruolo, approfittando del vuoto di potere.
Tel Aviv ne
è stata ben consapevole: così ha provato a sfruttare la situazione, prendendo
contatti con i clan avversi a Hamas, armandoli e, insieme, creando dal
nulla nuove milizie formate per lo più da mercenari. Israele ha scavato
nella galassia salafita, promettendo di favorire questo e altri gruppi una
volta che Hamas fosse stata sconfitta. I leader dell’esercito sono convinti
che, se non si creano gruppi armati capaci di prendere il posto di Hamas,
non sarà mai possibile assicurare un’alternativa governativa. Ovviamente,
la stabilità non è l’obiettivo del governo Netanyahu (né di quelli precedenti).
Poco importa se le bande rivali dovessero scatenare una guerra civile.
In ogni
caso, nonostante le previsioni israeliane, dopo due anni di stragi, la
distruzione quasi totale della Striscia, l’assedio e il blocco di cibo e
medicine, non sono bastati a distruggere Hamas. Anzi, appena il
cessate il fuoco ha avuto in inizio, il 10 ottobre scorso, il gruppo
palestinese ha ripreso a gestire la sicurezza. Cosa che, in questo
frangente, comprende arresti ed esecuzioni dei leader dei clan alleati con
Israele. È quello che è accaduto ai Doghmush. Secondo le
ricostruzioni, la polizia di Hamas è andata a cercare, per arrestarli, alcuni
membri del clan. Quando uno di loro ha risposto sparando e
uccidendo un poliziotto, è scattata la vendetta, con esecuzioni sommarie
sulla pubblica piazza. Nelle operazioni, è rimasto ucciso anche Saleh al
Jafarawi, un giornalista molto noto a Gaza e nel mondo, che stava seguendo gli
scontri a Sabra. Era scampato agli attacchi di Israele, che hanno ammazzato più
di duecento reporter, ma ha perso la vita dopo l’inizio del cessate il fuoco,
mentre raccontava gli scontri tra Hamas e il clan Doghmush. Intanto Israele,
come in passato, ha creato delle zone sicure in cui far prosperare una
galassia di gruppi armati da utilizzare in funzione anti-Hamas. Il clan
Doghmush non è tra questi.
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