domenica 5 ottobre 2025

a proposito del piano dei criminali di guerra

 Il piano di pace del Gangster dei due mondi - Tomaso Montanari

Il piano di pace del Gangster dei due mondi riporta indietro la storia di più di un secolo, quando alla fine della prima guerra mondiale e con il disfacimento dell’impero ottomano, la Palestina divenne un Protettorato britannico. Allora, pero’, il mandato britannico della Palestina si concluse con la risoluzione dell’ONU 181 del 29.11.1947 che proponeva la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo palestinese. Quel che ne è seguito -guerre, risoluzioni ONU a tutela dei diritti dei Palestinesi- lo conosciamo.

Il piano concepito da Trump, che esautora del tutto qualsiasi legittima Autorità palestinese, e’ stato subito condiviso da Netanyahu e sottoposto ad Hamas, sapendo che non lo avrebbe mai accettato. Il Commissario della ricostruzione sarà probabilmente Blair che, avendo dato prova in passato di cinico supporto ai piani predatori degli US, andrà a completare la triade criminale.
Il Popolo palestinese, vittima sacrificale, e’ letteralmente obliterato in questa tragica, oscena pantomima che verrà ricordata come una delle pagine più buie della Storia.

“Mentre seguiamo la Flotilla con il cuore gonfio di ansia, arriva dalla corte del Grande Gangster un ‘piano di pace per Gaza’.

È una proposta oscena: immaginate se qualcuno avesse trattato con Hitler, ma non con gli ebrei, proponendo la fine della Shoah in cambio di una cessione dei beni delle vittime, e di sovranità sulle loro vite. E con la minaccia di riaccendere i forni, se gli ebrei avessero rifiutato.

Non siamo molto distanti. Il primo coautore del genocidio, Trump, insieme all’autore principale Netanhyau, propongono di trasformare Gaza in un protettorato americano, governato da quel Tony Blair che si è conquistato sulla pelle degli iracheni i galloni di criminale di guerra. E se le vittime – ritenute indegne perfino di partecipare alla genesi del piano, perché inferiori e subumane: oggetti, non soggetti – dovessero dire di no, che riprenda il «lavoro»: il genocidio, lo sterminio, la soluzione finale.

In un distopico ritorno al 1948, le potenze occidentali riassumono il controllo della Palestina: un trionfo del peggior colonialismo predatorio, tutto devastazione e saccheggio. Un quadro in cui i crimini terribili di Hamas rischiano di sfigurare per inconsistenza.

Non so cosa potranno fare i palestinesi, disperati e allo stremo. Collaborazionisti, speculatori, avvoltoi di ogni tipo volteggiano sulla scena del genocidio, che naturalmente il ‘Piano di Pace’ (che profanazione, usare questa parola!) ha il preciso scopo di lavare per sempre, annullando crimini e responsabilità.

So cosa dovremmo fare noi, italiani ed europei: insorgere. E invece il nostro governo nero, e quello guerrafondaio di Von der Leyen si precipitano a lodare il piano, genuflettendosi al Gangster. E l’eclissi dell’Europa, lo schianto della civiltà occidentale.

Sono sempre più vere le parole scritte da Omar el Akkad sul genocidio di Gaza: «Considerando anche lo spargimento di sangue che scatenerà in futuro, quello che è successo sarà ricordato come il momento in cui milioni di persone hanno guardato all’Occidente, all’ordine basato sulle regole, al guscio del liberalismo e a come è asservito al capitalismo, e hanno detto. Non voglio averci più niente a che fare».

da qui

 

 

“Nessuno ha alternative ad Hamas: piano Blair pura fantasia coloniale” - Gideon Levy

(intervista di Riccardo Antoniucci)

“È stato un discorso allucinante, ma un discorso inutile. Ha paragonato Israele ai nazisti, complimenti”. Gideon Levy, editorialista di Haaretz tra i più noti, è atterrato a Roma (dove ha ricevuto ieri il premio Kapuscinski nell’ambito del Festival della Letteratura di Viaggio promosso dalla Società Geografica Italiana) qualche ora dopo aver finito di vedere in televisione il discorso di Benjamin Netanyahu all’Onu. “L’unica cosa rilevante del discorso è stata la platea vuota, segno dell’isolamento di Israele”.

Ieri hanno ripreso a circolare ipotesi di tregua a Gaza, Netanyahu le sembra pronto?

Dovrà farlo per forza, se sarà Trump a costringerlo. Gli Stati Uniti sono rimasti l’unico alleato di Israele, dopo che Netanyahu è riuscito a perdere il sostegno degli europei. Senza gli Usa, Israele non sarebbe la potenza militare che è. Per questo l’unico vero evento che conta è l’incontro di lunedì con Trump a Washington.

Cosa resterà di Gaza dopo la fine della guerra?

Nessuno di noi può anche solo immaginare la dimensione della distruzione. Mi fanno ridere i piani di ricostruzione che circolano: 1 o 2 anni non basteranno mai a rimettere in piedi la Striscia. E poi, vogliono mettere a capo di tutto Tony Blair. Cioè, tornare alle colonie britanniche? La verità è che l’unica alternativa reale è che si torni al 6 ottobre. Hamas non se ne andrà, non la cacceremo così, nessuno, né i sauditi né gli americani, vogliono finanziare la ricostruzione di un posto che sanno che Israele distruggerà di nuovo tra 5 anni.

Il suo ultimo libro (Meltemi) si chiama Killing Gaza, non Killing Hamas

Da mesi ho capito che non possiamo chiamare quest’offensiva in nessun altro modo che un genocidio. La Striscia viene sistematicamente distrutta, muoiono decine di palestinesi al giorno, non c’è un giorno in cui non muoiano bambini. Ci sono prove indubitabili della fame. E quello che vediamo è una minima parte di quanto accade. Una risposta militare dopo il 7 ottobre era attesa e legittima, ma subito dopo il 7 ottobre è diventato una scusa per portare avanti il vecchio piano di pulizia etnica dell’estrema destra al governo.

All’Onu il premier ha detto che l’Idf evita vittime civili, consente aiuti umanitari e chiede alla popolazione di lasciare le zone di guerra…

Ha detto che i nazisti non hanno trasferito gli ebrei, è falso: lo hanno fatto eccome, ed era parte della strategia dell’Olocausto. È quello che stiamo facendo a Gaza: pulizia etnica. Gli unici a credere alle bugie di Netanyahu ormai sono gli israeliani.

Non sono abbastanza i critici di Netanyahu in Israele?

La maggioranza degli israeliani purtroppo non vuole sapere, non vuole vedere. Cercano di evitare il dilemma morale di sapere che sono i loro figli che, nell’Idf, stanno massacrando i palestinesi. Le proteste sono per gli ostaggi, in troppi dicono ‘fate tornare gli ostaggi e poi ricominciamo la guerra’. E la cosa grave è che i media israeliani li assecondano e non mostrano immagini di Gaza nei notiziari e sui giornali. Da due anni sembra che a Gaza vivano solo 20 persone: gli ostaggi. Qualsiasi italiano di provincia ha visto più immagini dalla Striscia di noi. E non c’è la censura, è tutta auto-censura. La colpa non è del governo, ma dei miei colleghi che hanno tradito la professione. Siamo peggio della Russia, almeno lì la censura esiste e i giornalisti che tacciono la verità sono giustificabili.

Come spiega questa mancanza di critica dell’opinione pubblica israeliana?

Con un lavaggio del cervello lungo decenni. E poi c’è stato il 7 ottobre. Quando faccio vedere ai miei amici i video da Gaza la loro prima reazione è dire che sono fake.

La Flotilla è ripartita per Gaza, le autorità israeliane minacciano di arrestarli o peggio. Gli europei possono mediare corridoi umanitari?

Su Haaretz abbiamo scritto un editoriale col titolo ‘Fateli entrare’. Lasciateli andare a Gaza per raccontarci la realtà di quella tragedia! Ma non succederà, e quanto agli Stati europei, direi che prima di trattare con la Flotilla dovrebbero fermare Israele, militarmente o meno.

da qui

 

 

Il piano di Trump per Gaza: un tentativo di impresa coloniale nel XXI secolo

(da lavaligiablu.it)

Aggiornamento 4 ottobre 2025: Hamas ha risposto al piano di 20 punti per la pace e la ricostruzione di Gaza, proposto da Trump. Il presidente statunitense aveva dato un ultimatum di tre o quattro giorni preannunciando gravi conseguenze in caso di rifiuto. Il piano prevede il disarmo di Hamas, il rilascio degli ostaggi israeliani, la fine graduale degli attacchi, l’ingresso di aiuti umanitari e la ricostruzione. Gaza sarebbe governata da un’autorità transitoria di tecnocrati, supervisionata da un “Consiglio di pace” internazionale guidato dallo stesso Trump.

Hamas ha affermato di accettare il piano, di essere pronto a rilasciare a tutti gli ostaggi e a cedere l'amministrazione di Gaza a un organo palestinese di “tecnocrati”, ma chiede di poter negoziare alcune questioni.

Poco dopo la comunicazione di Hamas, Trump ha chiesto a Israele di “interrompere immediatamente i bombardamenti su Gaza”, aggiungendo che Hamas era “pronto per una pace duratura”. “Vedremo come andrà a finire”, ha detto Trump: “È molto importante, non vedo l'ora che gli ostaggi tornino a casa dai loro genitori”. Il Forum delle famiglie degli ostaggi ha chiesto “al primo ministro Netanyahu di avviare immediatamente negoziati efficaci e rapidi per riportare a casa tutti”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Israele si preparerà ad attuare la “prima fase” del piano di Trump per il rilascio degli ostaggi e si è impegnato a lavorare “in piena collaborazione con il presidente e il suo team per porre fine alla guerra”.

Il piano statunitense prevedeva che, una volta che Israele avesse accettato pubblicamente l'accordo, si sarebbe aperto un periodo di 72 ore per il ritorno di tutti gli ostaggi.

Andando nel dettaglio, Hamas ha dichiarato che rilascerà gli ostaggi “secondo la formula di scambio contenuta nella proposta del presidente Trump e una volta soddisfatte le condizioni sul campo per lo scambio”, senza però specificare quali sono queste condizioni. 

Per quanto riguarda il futuro di Gaza, il gruppo accetta “di cedere l'amministrazione della Striscia di Gaza a un organo palestinese composto da tecnocrati indipendenti, sulla base del consenso nazionale palestinese e del sostegno arabo e islamico”. Non è chiaro se Hamas veda un posto per sé o per i suoi membri all'interno di tale organo di tecnocrati.

La dichiarazione chiarisce che Hamas vuole svolgere un ruolo nella discussione sul futuro del popolo palestinese. Hamas vuole un dibattito tra i palestinesi sulle questioni “relative al futuro della Striscia di Gaza e ai diritti intrinseci del popolo palestinese”. Ha inoltre affermato che “Hamas prenderà parte” a tale discussione e “contribuirà in modo responsabile” alla stessa.

Non ci sono riferimenti, infine, sul disarmo del gruppo e sulla proposta di amnistia per i membri che si impegnano a coesistere.

I leader mondiali hanno accolto con favore la dichiarazione di Hamas che – ha commentato a BBC Oliver McTernan, che che da oltre vent'anni si occupa di risoluzione dei conflitti in Medio Oriente – “ha rimesso la palla nel campo di Trump e di Netanyahu, chiedendo loro di decidere se accettare la richiesta di Hamas di ulteriori negoziati su alcuni aspetti del piano di pace”.

L’immediata risposta di Trump sembra aumentare, a sua volta, la pressione su Israele, già alta dopo l'attacco israeliano del 9 settembre contro i rappresentanti di Hamas in Qatar che aveva spinto il presidente statunitense a premere su Netanyahu affinché sostenesse un accordo quadro per porre fine alla attacchi su Gaza. Come rivelato da Axios,  Trump ha firmato lunedì scorso un ordine esecutivo per fornire al Qatar una garanzia di sicurezza degli USA con condizioni simili a quelle dell'articolo 5 della NATO. È stato uno degli elementi chiave che hanno portato all’appoggio di Israele al piano di Trump.

Dopo la dichiarazione di Trump, un giornalista della stazione radio militare ufficiale israeliana Galatz ha riferito che l'IDF avrebbe ridotto al minimo l'attività delle truppe a Gaza. Tuttavia, diverse esplosioni sono state udite nelle prime ore di sabato. Gli attacchi continuano. 

Mentre a Gaza proseguono gli attacchi Israeliani e le uccisioni di civili – almeno 33 palestinesi nella sola giornata di ieri, riferiscono gli ospedali gazawi – Trump ha dato ad Hamas un ultimatum di “tre o quattro giorni” per rispondere al suo piano di pace e ricostruzione nella Striscia, preannunciando gravi conseguenze in caso di rifiuto. “Abbiamo bisogno di una sola firma, e chi non firmerà la pagherà cara”, ha detto Trump ai generali e agli ammiragli statunitensi riuniti in una base militare a Quantico, in Virginia. Il presidente ha già affermato che sosterrà Israele nel proseguimento degli attacchi su Gaza se Hamas rifiuterà la proposta o rinnegherà l'accordo in qualsiasi momento.

La proposta di cui si parla è quella annunciata da Trump il 29 settembre in una conferenza stampa congiunta a Washington con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Trump lo ha presentato come un accordo storico per portare la pace dopo due anni di violenze catastrofiche ma, scrivono sul New York Times Luke Broadwater e Shawn McCreesh, è parso più un ultimatum ad Hamas.

Il piano di 20 punti prevede il disarmo di Hamas e l’esclusione da ruolo politico futuro a Gaza, che sarebbe gestita da un’autorità di transizione composta da tecnocrati apolitici guidata da Trump. Nel caso in cui il piano venisse accettato da entrambe le parti, la fine degli attacchi sarà accompagnata dal rilascio di tutti i 48 ostaggi israeliani, sia vivi (circa le metà) che morti, “entro 72 ore”, e dal ritiro graduale delle forze militari israeliane in una zona cuscinetto concordata, all’interno di Gaza. 

In cambio del rilascio degli ostaggi, Israele rilascerà 250 palestinesi attualmente condannati all'ergastolo e 1.700 palestinesi detenuti a Gaza dal 7 ottobre 2023, dopo l’attacco terroristico di di Hamas contro Israele. Per ogni ostaggio israeliano i cui resti saranno restituiti, Israele restituirà i resti di 15 palestinesi deceduti. Durante il periodo di rilascio degli ostaggi saranno sospese tutte le operazioni militari, compresi i bombardamenti aerei e di artiglieria. 

Una volta rilasciati tutti gli ostaggi, sarà concessa l'amnistia ai membri di Hamas che accetteranno la coesistenza pacifica e la consegna delle armi. A coloro che desiderano lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso i paesi che hanno accettato di accoglierli.

Per quanto riguarda gli aiuti umanitari, “l'ingresso avverrà senza interferenze da parte delle due parti attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali non associate in alcun modo a nessuna delle due parti”. Il ripristino degli aiuti comporterà la riapertura del valico di frontiera nella città meridionale di Rafah, in gran parte rasa al suolo da Israele.

E la Gaza futura? Il piano parla di “una zona deradicalizzata e libera dal terrorismo che non rappresenti una minaccia per i paesi vicini”. In un altro punto, si dice che il territorio sarà “riqualificato a beneficio della popolazione di Gaza, che ha sofferto già abbastanza”.

Il piano promette che Israele non occuperà né annetterà il territorio e che nessuno sarà costretto a lasciare Gaza. Coloro che desiderano andarsene potranno farlo liberamente e potranno tornare.

Come detto, Hamas non potrà svolgere alcun ruolo, “direttamente o indirettamente”, nella futura governance del territorio. Il governo di Gaza passerebbe a un organo transitorio, definito “comitato palestinese tecnocratico e apolitico”, che a sua volta sarebbe controllato e supervisionato da un “Consiglio di pace” internazionale, guidato da Donald Trump. Il consiglio includerebbe altri capi di Stato e funzionari internazionali, tra cui l'ex primo ministro britannico Tony Blair. 

Questo organismo lavorerebbe per definire il quadro dei finanziamenti per la ricostruzione di Gaza, mentre l'Autorità palestinese, l'entità politica nominalmente responsabile degli affari palestinesi in Cisgiordania, dovrebbe intraprendere un processo di riforme.

Verrà convocato un gruppo di esperti per creare quello che il piano definisce un “piano di sviluppo economico di Trump per ricostruire e rilanciare” il territorio, che il presidente degli Stati Uniti aveva precedentemente immaginato di trasformare in una “riviera” con una serie di megalopoli high-tech.

Lo scenario di uno Stato palestinese resta una vaga possibilità. Alla fine del piano si parla dell’istituzione di un “processo di dialogo interreligioso” per promuovere “i valori della tolleranza e della coesistenza pacifica” e si dice che “con il progredire della ricostruzione di Gaza e l'attuazione fedele del programma di riforme dell'Autorità Palestinese, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese”.

Il piano è stato accolto con favore dalla comunità internazionale. Sostegno è arrivato dal cancelliere tedesco Merz, dal presidente francese Macron, dalla Russia e anche da Pakistan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano di essere pronti a collaborare in modo costruttivo con gli Stati Uniti e altri paesi per garantire la pace. L'Autorità palestinese, che esercita un'autorità parziale su alcune parti della Cisgiordania occupata da Israele, ma che potrebbe eventualmente assumere un qualche ruolo nel governo postbellico di Gaza, ha accolto con favore gli “sforzi sinceri e determinati” di Trump.

E i diretti interessati? “Nessuno ci ha contattato, né abbiamo partecipato ai negoziati”, ha dichiarato Taher al-Nounou, un alto funzionario di Hamas, in un'intervista televisiva. Secondo quanto dichiarato da una fonte di Hamas all’Agence France-Presse, il gruppo ha “avviato una serie di consultazioni all'interno della sua leadership politica e militare, sia in Palestina che all'estero”, che “richiederanno diversi giorni a causa della complessità delle comunicazioni tra i membri della leadership e i movimenti”. Turchia, Egitto e Qatar potrebbero esercitare pressioni su Hamas, hanno affermato gli analisti. Un funzionario qatariota ha dichiarato che il Qatar incontrerà Hamas e la Turchia per discutere il piano.

Secondo quanto riportato dai media locali, le fazioni palestinesi alleate con Hamas sembrano aver inizialmente respinto il piano, mentre una fonte vicina ad Hamas ha definito i venti punti presentati da Trump “completamente sbilanciati a favore di Israele” con “condizioni impossibili” che hanno l’obiettivo di eliminare il gruppo. “In questo modo, Israele sta tentando, attraverso gli Stati Uniti, di imporre ciò che non è riuscito a ottenere con la guerra”, ha dichiarato la Jihad islamica.

In Israele, molti commentatori hanno accolto con favore la proposta. Tuttavia, i ministri di estrema destra hanno promesso di lasciare la coalizione di governo se Netanyahu interromperà l'offensiva israeliana a Gaza senza ottenere la “vittoria totale” o assicurarsi il territorio per gli insediamenti israeliani. Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano, ha affermato che il piano è un “clamoroso fallimento diplomatico” che “finirà in lacrime”.

Intanto, in una dichiarazione video pubblicata sul suo canale Telegram dopo la conferenza stampa congiunta con Trump, Netanyahu ha già fatto sapere che l'esercito israeliano rimarrà nella maggior parte di Gaza e che non è disponibile ad accettare la creazione di uno Stato palestinese. “Recupereremo tutti i nostri ostaggi, vivi e in buona salute, mentre l'esercito israeliano rimarrà nella maggior parte della Striscia di Gaza”, ha affermato.

Il piano funzionerà? Nel manifestare il proprio sostegno, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato che è compatibile con il piano per la Palestina definito nella dichiarazione di New York approvata questa settimana dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. In effetti, ci sono alcuni aspetti in comune che potrebbero far pensare a una convergenza: nessuno dei due piani prevede lo sfollamento di massa dei palestinesi da Gaza, assegna ad Hamas un ruolo nel futuro governo della Palestina e ulteriori annessioni israeliane in Cisgiordania. 

Ma poi iniziano le differenze, evidenzia Patrick Wintour sul Guardian. La dichiarazione di New York, approvata dall’ONU, propone un'amministrazione tecnocratica per un solo anno nella fase iniziale di transizione, ma poi pone l'Autorità Palestinese al centro di un nuovo governo unificato che copre Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. I paletti posti dal piano di Trump per arrivare a un nuovo governo sembrano invece circoscrivere e marginalizzare il ruolo dell’Autorità Palestinese. Inoltre, nessuno può dire quale tipo di leadership politica palestinese potrebbe emergere dopo due anni di attacchi su Gaza e di assalti in Cisgiordania. Per questo Trump è favorevole a un organismo tecnocratico di transizione che consulti l'Autorità Palestinese.

Altro punto di divergenza è la gestione degli aiuti umanitari. La dichiarazione di New York assegna un ruolo centrale all'agenzia di soccorso delle Nazioni Unite, l'UNRWA, la stessa agenzia accusata da Israele senza prove di terrorismo. C’è chi dice che Trump possa assegnare all’Autorità Palestinese il ruolo dell'UNRWA, ma dall'ottobre 2023 Israele sta esercitando pressioni finanziarie sull'Autorità Palestinese trattenendo le entrate fiscali che le spettano. “Come potrebbe Trump sostenere il ruolo di un'organizzazione che Israele sta cercando di mandare in bancarotta? La risposta è la riforma dell'Autorità Palestinese, un'espressione che risuona nelle sale diplomatiche da oltre 20 anni, ma che non è mai stata realizzata”, scrive Wintour.

Le incognite sono così tante che il piano è lungi dal poter avere successo, osserva il diplomatico statunitense Michael Ratney su Haaretz. Due aree sono particolarmente problematiche, scrive Ratney: il ritiro militare di Israele e il percorso verso uno Stato palestinese.

Il ritiro militare israeliano da Gaza sarà “basato su standard, tappe fondamentali e tempistiche legate alla smilitarizzazione che saranno concordati tra l'IDF” e la Forza di stabilizzazione internazionale creata per Gaza, nonché gli altri garanti del piano e gli Stati Uniti. Ciò lascia essenzialmente qualsiasi ritiro dalla Striscia quasi interamente a discrezione di Israele. Secondo Netanyahu, ciò significa che, per quanto riguarda Gaza, “Israele manterrà la responsabilità della sicurezza, compreso un perimetro di sicurezza per il prossimo futuro”. 

Per quanto riguarda la statualità palestinese, il piano afferma che “mentre la ricostruzione di Gaza avanza e quando il programma di riforma dell'Autorità Palestinese sarà fedelmente attuato, potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese”. Quindi, anche se l'Autorità Palestinese attuerà le riforme, la statualità non è garantita. “Alle orecchie della maggior parte dei palestinesi, questo suona molto simile a ‘mai’, riflette Ratney.

La riuscita del piano, infine, è particolarmente problematica perché chiede di fatto ad Hamas di smettere di essere Hamas e di impegnarsi al disarmo come condizione preliminare, prima ancora che siano attuate le altre misure (e nonostante il fatto che, secondo centinaia di ex funzionari della sicurezza israeliani, la capacità militare di Hamas sia stata ridotta al punto da non rappresentare più una minaccia strategica per Israele già da molti mesi).

Perplessità raccolte anche da Jason Burke sul Guardian. È improbabile che Hamas guardi con favore a un piano che afferma esplicitamente che deve rinunciare a tutte o alla maggior parte delle sue armi e stare a guardare mentre un “Consiglio di pace” tecnocratico guidato dallo stesso Trump prende il controllo di Gaza. E “anche il collegamento tra il ritiro israeliano e il ritmo e la portata del disarmo e della smilitarizzazione è vantaggioso per Israele”, osserva Burke. “Tutti i territori ceduti sono stati rasi al suolo dall’offensiva incessante di Israele. Un ritiro lento costa poco. Israele potrebbe alla fine ritirarsi in un perimetro, ma non è chiaro quanto tempo ci vorrà. Le mappe pubblicate sono vaghe. Tutto questo è molto lontano dalle richieste di Hamas nei recenti negoziati. Né c'è stata alcuna promessa di qualcosa che si avvicini a uno Stato palestinese”.

Più netto è il commentatore americano M.J. Rosenberg. Il piano di Trump è il primo tentativo di impresa coloniale di XXI secolo, scrive Rosengberg. “Non offre nulla ai palestinesi, nulla alla pace e tutto ai due gruppi che dovrebbe servire: la leadership israeliana e gli investitori miliardari (...) Israele può dire di aver ‘vinto’ fingendo di aver sradicato Hamas, anche se mesi di bombardamenti non sono riusciti a sconfiggere una forza di guerriglia. Il capitale straniero ottiene l'accesso alle migliori terre del Mediterraneo, liberate dai loro abitanti grazie all'assedio e agli attacchi aerei”.

Ecco perché questo piano è peggio che inutile, conclude Rosenberg. “Non fa avanzare di un millimetro la pace. Non riconosce i diritti dei palestinesi né la loro sovranità. Non garantisce nemmeno la sopravvivenza, figuriamoci la dignità, dei gazawi. È un piano per riciclare la sconfitta di Israele in una ‘vittoria’ di pubbliche relazioni e consegnare la terra palestinese a imprenditori miliardari.

da qui

 

Il piano “Gaza Riviera”: gentrificare il genocidio israeliano - Muhammad Shehada

Il cosiddetto Piano “Gaza Riviera” è più un necrologio scritto nel linguaggio del lusso che una visione del futuro.

Avvolto in rappresentazioni patinate e pubblicizzato come un balzo in avanti, è in realtà il culmine di anni di devastazione deliberata: un Piano per Cancellare i palestinesi da Gaza e rilanciare la loro assenza come innovazione.

Ciò che viene presentato come investimento e rigenerazione è, in realtà, il riciclaggio del Genocidio in spettacolo, una copertura estetica per un progetto politico il cui fondamento sono le macerie di Gaza e il silenzio dei suoi abitanti espulsi.

Perchè Israele non ha mai sviluppato un piano postbellico per Gaza

Il Piano “Gaza Riviera”, ampiamente condannato, proposto per trasformare un’enclave completamente distrutta in una serie di futuristiche megalopoli costiere ad alta tecnologia, si presenta con il linguaggio degli investimenti e della modernità.

Ma se si guarda oltre le presentazioni degli investitori, emerge una verità più cruda: questa non è una strategia diplomatica, ma un’estetica della scomparsa. Mette a nudo il motivo per cui, per due anni, non c’è stato un piano politico israeliano coerente per Gaza, al di là della Distruzione di Massa, dello Sterminio di Massa e della Fame di Massa; la Cancellazione di Gaza è stata il Piano stesso fin dall’inizio.

La coreografia politica delle ultime settimane tradisce le priorità di questo Piano. Mentre il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, suo genero Jared Kushner, Tony Blair e gli inviati israeliani si riunivano per immaginare il futuro di Gaza senza un solo palestinese nella stanza, il Genocidio continuava a infierire, distruggendo ciò che restava della densità urbana e del tessuto sociale della Striscia.

La conclusione è che la Cancellazione non è un ostacolo al Piano, ma la precondizione.

Il piano di Netanyahu fin dall’inizio

I contorni essenziali del Piano Riviera sono emersi in documenti trapelati di recente che descrivono proposte per porre Gaza sotto amministrazione fiduciaria statunitense per circa un decennio, spopolare completamente l’enclave dei suoi abitanti palestinesi e promuovere la costa come un futuristico polo turistico-tecnologico: “la Riviera del Medio Oriente”.

Niente di tutto ciò, tuttavia, è una novità. Il progetto originale di questo promettente polo fantascientifico, costruito su fosse comuni e città rase al suolo, è stato creato dallo stesso Benjamin Netanyahu diversi mesi prima dell’elezione di Trump.

La “Visione Gaza 2035” del Primo Ministro israeliano, rivelata nel maggio 2024, immaginava l’enclave a lungo assediata come una zona industriale e di libero scambio simile a Dubai e utilizzava le stesse immagini generate dall’Intelligenza Artificiale che ora vengono utilizzate nel Piano Riviera.

Non è un caso che entrambi i piani abbiano una frase di apertura quasi identica. “Da una Gaza demolita a un prospero alleato abramitico”, recita il Piano Riviera, mentre quello di Netanyahu sottolineava “ricostruire dal nulla”.

Sono implicite le stesse due precondizioni: che Gaza debba essere completamente rasa al suolo senza lasciare nulla di sé, e che debba essere svuotata della sua popolazione per trasformarla in una tela bianca su cui sviluppare il proprio sviluppo partendo da zero.

Questo era il Piano di Netanyahu fin dall’inizio, quando il primo giorno di guerra ordinò alla popolazione civile di Gaza di “andarsene subito” prima di una distruzione senza precedenti “ovunque”. Netanyahu poi raddoppiò l’impegno quando il suo Ministero dell’Intelligence elaborò un Piano dettagliato per l’espulsione di massa e il trasferimento forzato della popolazione di Gaza.

Gli israeliani convinsero persino l’allora Segretario di Stato americano Anthony Blinken a visitare Paesi arabi come l’Egitto e l’Arabia Saudita per promuovere l’idea del “trasferimento temporaneo” della popolazione di Gaza nel Sinai. Questo tentativo fallì all’epoca e Israele non riuscì a trovare un pubblico disposto a condividere il futuristico Piano di Gaza.

Netanyahu ha continuato ad aspettare il momento opportuno finché Trump non è entrato in carica ed è volato rapidamente a Washington per convincere il Presidente americano a presentare l’idea di una Pulizia Etnica e di Occupazione di Gaza come se fosse di sua proprietà.

Da allora, Netanyahu ha continuato a riferirsi alla sistematica ricerca di espulsioni di massa da parte di Israele a Gaza come “attuazione del Piano Trump” per attribuire la responsabilità di questa politica Genocida.

La storia di copertura di Netanyahu e il pubblico per cui è stata creata

Gli esperti hanno ripetutamente definito il Piano Riviera di Gaza “folle”, irrealistico, poco pratico e pieno di ostacoli legali e morali che renderebbero chiunque lo promuova Complice di Crimini di Guerra e Crimini Contro l’Umanità.

Ecco perché il Gruppo di Consulenze di Boston si è affrettato a sconfessare i propri maggiori consulenti quando hanno prodotto un Piano dettagliato che rendeva operativo il Trasferimento di Massa della popolazione a Gaza, includendo scenari simulati e fogli di calcolo che includevano la Pulizia Etnica. Chiunque contribuisse a questo abominio sarebbe stato esposto a cause legali e procedimenti penali per i decenni a venire.

Ma la futuristica fantasia di Trump sul Mediterraneo potrebbe non essere intesa come un piano serio, tanto per cominciare. È semplicemente una storia con un “lieto fine” artificiale al Genocidio e alla Pulizia Etnica che Israele racconta ai suoi alleati Complici.

La vera utilità per Netanyahu in questa idea stravagante è la gestione narrativa. Mentre il governo israeliano porta avanti una campagna che riorganizza la geografia e la topografia di Gaza e la rende inabitabile, radendo al suolo quartieri, espellendo in massa centinaia di migliaia di persone nei Campi di Concentramento, bruciando case e facendo morire di fame i bambini, le frane della Riviera forniscono un alibi proiettato nel futuro.

Alla destra di Netanyahu, sussurrano il vecchio sogno del ritorno degli insediamenti per soli ebrei a Gaza; ai suoi alleati all’estero, offrono un ottimismo investibile. Alla base di Trump, vendono la favola definitiva del MAGA: “Faremo fiorire il deserto e lo faremo nostro”.

Il punto è lo sfarzo; Il Piano che circola alla Casa Bianca è persino formalmente denominato GREAT (acronimo di Ricostituzione, Accelerazione Economica e Trasformazione di Gaza). Per il marchio politico di Trump, la promessa di trasformare le rovine in villaggi turistici è un classico del teatro.

I paesaggi urbani scintillanti contribuiscono a vendere al mondo del MAGA (Rendere l’America di Nuovo Grande) e ai gestori di capitali di rischio un’immagine di Gaza come una tela bianca in attesa di un genio esterno, mentre, sul campo, il Genocidio procede ininterrotto e senza limiti verso la sua fase finale.

In questo senso, la fantasia della Riviera non è una deviazione dagli ultimi due decenni di politiche draconiane di assedio e Massacri a Gaza, ma piuttosto il loro culmine.

È un gioco di parole per camuffare l’indifendibile; La distruzione diventa “preparazione del sito”, lo sfollamento diventa “pianificazione urbana”, l’annientamento diventa un trampolino di lancio verso profitti inesplorati e opportunità commerciali.

Questo è ciò che rende la rappresentazione della Riviera di Gaza un potente strumento di propaganda, per come capovolgono la realtà. Propongono spiagge senza abitanti, torri senza inquilini, porti senza politica. Fanno apparire l’assenza dei palestinesi come un progresso.

Israele promette Gaza ai coloni, non a investitori futuristi

È illogico che Israele si spinga fino in fondo per compiere un Genocidio a Gaza, spendere quasi 90 miliardi di dollari (77 miliardi di euro) in questa guerra, perdere oltre 900 soldati, diventare uno Stato reietto, solo per poi consegnare Gaza su un piatto d’argento al governo degli Stati Uniti e ai magnati americani della tecnologia e del mercato immobiliare.

Yehuda Shaul, co-fondatore di Breaking the Silence (Rompere il Silenzio), ha dichiarato di ritenere che il Piano per la Riviera di Gaza “non sia collegato allo sforzo principale del Movimento dei Coloni israeliani”, che sta spingendo per un ritorno a Gaza.

“Il Piano originale delle organizzazioni dei coloni, che si adatta anche alla geografia di base di Gaza, è di tornare a quella che un tempo veniva chiamata ‘la zona settentrionale’, ovvero i tre insediamenti nel Nord di Gaza: Elei Sinai, Nisanit e Dugit”, ha aggiunto Yehuda.

“Questi sono gli insediamenti che un tempo si trovavano a Nord di Beit Lahia. È su questo che i coloni hanno puntato gli occhi”.

Shaul ha spiegato che commentatori israeliani di destra come Amit Segal hanno insistito su questo aspetto sui principali media. “Viene spacciato come una ‘semplice’ espansione dei confini israeliani, invece di un’annessione di parti significative della Striscia di Gaza”.

La promessa di torri e porti turistici su una costa spopolata non è un piano di pace, ma un teatro di espropriazione, una storia scritta per investitori stranieri, raduni del MAGA e fantasie dei coloni.

La “Riviera di Gaza” non indica un futuro di coesistenza o prosperità; rimanda alla più antica Logica Coloniale che trasforma le vite in ostacoli e la Cancellazione in opportunità.

Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto

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“Israele rilasci l’ostaggio Barghouti e tratti con lui. Il piano Trump? È una truffa, e Blair un criminale”, parla Moni Ovadia

(intervista di Umberto De Giovannangeli)

 

Moni Ovadia è tante cose. Attore, cantante, musicista, scrittore. Soprattutto, è uno spirito libero, coscienza critica che sa andare controcorrente, mettendoci la faccia, il cuore e una insaziabile sete di giustizia.

Cosa racconta la vicenda della Global Sumud Flotilla e come definire la reazione d’Israele?
La reazione di Israele? Un atto di pirateria tout court. Invece di giustificare l’ingiustificabile arrivando all’impudenza di incolpare le vittime e giustificare gli assalitori, chi governa l’Italia dovrebbe dire chiaro e tondo che questo è un atto di pirateria contro il nostro Paese. Questi signori cianciano di nazione, di patriottismo, e poi si genuflettono ai piedi dei prepotenti, dei criminali. Alla faccia dell’orgoglio patrio! L’atto di pirateria è stato commesso da Israele con assoluta naturalezza, perché per lo Stato d’Israele non esiste la legalità internazionale. Intanto, quelle in cui si è consumato quel vile atto di pirateria – vile perché quello che si favoleggia essere l’esercito più morale del mondo ha mostrato la forza contro gente pacifica, disarmata – non sono acque israeliane, ma sono acque di Gaza. A Gaza, Israele è un invasore. E poi, te lo dico apertis verbis, c’è una cosa che non sopporto più.

Di cosa si tratta?
Di questa storia del terrorismo. Chi si batte per cacciare un occupante, un colonizzatore, un aggressore, ha tutto il diritto a opporre resistenza. L’aggressione israeliana a Gaza e alla sua gente non nasce dopo il 7 ottobre 2023. Si dice: “ma Israele si era ritirato da Gaza”. Chi lo afferma si dovrebbe vergognare, mente sapendo di mentire…

Perché?
Perché Israele ha blindato Gaza, l’ha resa la più grande prigione a cielo aperto al mondo. L’ha assediata. E questo dura da anni e anni. L’acqua, l’elettricità, tutto dipende da Israele, tutto. Dall’epoca della guerra di Troia, l’assedio è un atto di guerra. Chi si batte contro l’occupazione, la colonizzazione, l’oppressione, le violenze continue, le punizioni collettive, i bombardamenti a tappeto con l’uccisione di civili, di bambini, chi si batte contro tutto questo si chiama o patriota o partigiano. Quanto al terrorismo, tutti i popoli che si sono liberati dalle occupazioni coloniali, e il sionismo è una ideologia puramente colonialista, razzista, segregazionista e da ultimo genocidaria, usa lo strumento del terrorismo. L’hanno usato anche i combattenti ebrei della Palestina mandataria. Begin è stato un terrorista, Shamir è stato un terrorista. Vogliamo dire che l’Algeria è uno Stato terrorista perché ha conquistato l’indipendenza con una lotta di liberazione nazionale usando anche un pesantissimo terrorismo? Bisogna smetterla con questa storia. Anche i nazisti chiamavano i nostri partigiani, banditi. Ricordiamocelo. La lotta al terrorismo è diventata la scusante per ogni nefandezza perpetrata. Si manipola il linguaggio.

Ribellarsi è legittimo?
Ribellarsi è legittimo. Non lo dice Moni Ovadia, l’ha detto l’Onu e l’hanno detto anche Giulio Andreotti e Bettino Craxi nel Parlamento italiano. Quelli che compiono degli atti che sono considerati crimini contro l’umanità, come la presa di ostaggi, vanno indagati, si deve istruire un processo, vanno giudicati e condannati. Cito un caso che riguarda Israele. Quando ci fu l’attentato contro la squadra olimpica israeliana a Monaco nel ’72, gli israeliani – allora primo ministro era Golda Meir – cercarono uno per uno i responsabili, con un’azione discutibile, però li individuarono e cercarono i colpevoli di quell’azione. Non è che si misero a fare un genocidio contro i palestinesi. Netanyahu è l’epitome del sionismo, anche se va ricordato, per verità storica, che a fare la Nakba furono i laburisti. Va ristabilito l’ordine del linguaggio. E poi, lasciami un altro grido di indignazione.

Quale?
Adesso sono tutti galvanizzati dal piano di Trump. Un piano di pace dice il coro degli aedi. Questa non è una pace…

E cosa sarebbe?
Una operazione colonialista in stile ottocentesco. Lo definirei colonialismo ottocentesco 5.0. Questa sarebbe una proposta di pace? Netanyahu continua a dire, apertis verbis, che lo Stato palestinese non ci sarà mai. Che razza di pace è mai questa! È una truffa. Una truffa sanguinosa che produrrà ancora violenze, che produrrà altri disastri. Il popolo palestinese non viene tenuto in minimo conto da questo “piano di pace”. In minimo conto. Per fare una pace che coinvolge il popolo palestinese, si vedono Trump e Netanyahu. E i palestinesi non esistono? Ricordo che quando si volle fare la pace di Oslo, alla fine, sul prato della Casa Bianca, erano presenti Rabin, come primo ministro rappresentante dello Stato d’Israele, e Arafat come capo dell’Olp e rappresentante del popolo palestinese, e il mediatore Bill Clinton. Sappiamo tutti come andò a finire Oslo, ma almeno quella cerimonia mostrò al mondo un riconoscimento reciproco.

Mentre adesso c’è il piano Trump…
Un’operazione di stampo commerciale. E per sommo disprezzo dei palestinesi, propongono, anzi impongono, nella squadra Tony Blair.

Non va bene Blair?
Tony Blair! Che è stato, pure lui, un criminale di guerra, perché ha contribuito a scatenare una guerra, quella in Iraq, micidiale, che ha causato la morte di 500mila civili innocenti, sulla base di acclarate menzogne. Questo si definisce tecnicamente un criminale di guerra. Se tu scateni una guerra e non ci sono presupposti per farlo, di nessun tipo, anzi sono menzogne quelle che usi per giustificare e legittimare quella guerra, sei un criminale di guerra. Punto. Blair e Bush non sono stati neanche portati davanti a una Corte internazionale, non dico per essere condannati ma quantomeno per essere indagati e giudicati. Invece Slobodan Milosevic si. E alla fine Milosevic è stato prosciolto, però non lo sa quasi nessuno. L’Occidente è ancora intriso della pestilenza colonialista. Il suo modo di vedere il mondo, il suo modo di stabilire le relazioni con i popoli dell’alterità, quelli che non sono bianchi caucasici. Cosa triste è che anche i neri d’America hanno interiorizzato questo colonialismo. Colin Powell, ai tempi dell’Iraq segretario di Stato Usa, mostrò una boccetta vuota dicendo che c’era antrace e poi la storia della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq… Tutte falsità. Ricordi che si sia scusato per questo?

No. Ma torniamo sulla Global Sumud Flotilla.
Verrà ricordata come uno dei grandi momenti della storia dell’umanità di questa epoca. È dal tempo delle brigate internazionali che accorsero in Spagna da tutto il mondo per combattere il nazifascismo, che non c’è stato qualcosa di simile. Ha lo stesso tenore: andiamo a impedire un genocidio. Andiamo a dichiarare che esiste un’umanità. Perché se c’è una umanità disumana, c’è anche un’umanità umana.
Un’umanità umana che si dichiara e dice ai palestinesi e al mondo: noi non vi abbandoneremo, perché voi siete nostri simili, quindi nostri fratelli e sorelle. Invece, per come si comportano, i reazionari di tutto il mondo demoliscono il principio più sacrale, fondato dal monoteismo ebraico e poi dal cristianesimo e poi ancora dalla grande cultura laica, cioè che l’essere umano su questa terra è uno solo. È sacro e inviolabile, e questo è proprio del monoteismo ebraico, perché porta l’impronta divina. Loro distruggono questo, perché trattano quelli che non sono del loro clan come esseri inferiori. E poi continuano a reiterare il 7 di ottobre.

Una ferita aperta per Israele.
Il 7 ottobre ha prodotto orrore. Però va ricordato che il 7 ottobre nasce dopo decenni di oppressione da parte israeliana. Invece tutti vogliono far partire, in modo squallido e miserabile, quello che di criminale e disumano che è accaduto dopo, che continua ad accadere due anni dopo, da quel tragico giorno, come una reazione giustificata, sia pure, qualcuno aggiunge per pudore, un po’ eccessiva. Il 7 ottobre è conseguenza di anni di oppressione del popolo palestinese, di torture, di violenze, di uccisioni, di occupazione, di furto di territori, di occupazione. Basta leggere un grande storico israeliano qual è Ilan Pappé. La parola genocidio l’ha usata in Israele Amos Goldberg, professore di Storia dell’Olocausto nel Dipartimento di Storia ebraica all’Università ebraica di Gerusalemme. Credo un po’ più competente in materia di Matteo Salvini. Queste posizioni vengono celate, quelle di eminenti storici israeliani così come dei militari israeliani che lo dichiarano.
L’Occidente marcio e decadente si aggrappa ormai ad ogni cosa per cercare di rilanciare il suo dominio, la sua egemonia. Solo che ha un problema, e che problema…

Quale?
Adesso ci sono i Brics, in cui è entrata anche quella che viene considerata l’ottava potenza economica mondiale: l’Indonesia.

Per tornare alla Palestina, e alla pace che non c’è. Su cosa dovrebbe fondarsi ad avviso di Moni Ovadia, una vera pace?
Punto primo: tutto il mondo, compresi gli americani, riconosca lo Stato palestinese e lo si dichiara nei suoi confini, ovvero Cisgiordania, la Striscia di Gaza, Gerusalemme Est, con un corridoio che unisca la Cisgiordania a Gaza. Poi si potevano discutere i tempi, le tappe di realizzazione. Non lo si fa, secondo me, perché Israele rischierebbe una pesantissima guerra civile. Come dice Ilan Pappé, in Israele ci sono due stati ebraici: uno è lo stato d’Israele, del sionismo politico, e l’altro è quello della Giudea e Samaria, quello degli ottocentomila coloni.
Costoro siccome pensano di agire in nome di Dio, chi li leva di lì? Il riconoscimento di uno Stato palestinese non è contemplato. I palestinesi resteranno, bontà loro, ma a fare cosa? Gli schiavi. Manodopera a basso costo. Dicono: “Non c’è un rappresentante del popolo palestinese con cui negoziare”. Il popolo palestinese ha il diritto a indicare la propria rappresentanza. Non lo decidono gli altri chi dovrebbe o non dovrebbe rappresentarlo. E poi, se ci fosse una vera volontà di pace, il rappresentante ideale per trattare ci sarebbe. È detenuto in un carcere israeliano, perché è un partigiano per la liberazione del suo popolo. Si chiama Marwan Barghouti. Lui gode del prestigio necessario e della stima di tutti i palestinesi. Lui potrebbe negoziare anche perché conosce molto bene il mondo israeliano. Liberarlo dimostrerebbe la vera volontà di una pace. Perché la pace si fa nella giustizia, altrimenti si chiama diktat imposto con la forza.

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1 commento:

  1. Caitlin Johnstone: Il piano di “pace” di Trumpanyahu e altre note

    https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-caitlin_johnstone_il_piano_di_pace_di_trumpanyahu_e_altre_note/39602_62844/

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